Di statura ero piccolo piccolo
A quale età cominciai a occuparmi dei fanciulli? Me l'hanno domandato tante volte. Posso rispondere che a dieci anni facevo già ciò che mi era possibile, cioè una specie di oratorio festivo.
Ero piccolo piccolo, ma cercavo di capire le inclinazioni dei miei compagni. Fissavo qualcuno in faccia e riuscivo a leggere i progetti che aveva nella mente. Per questa caratteristica, i ragazzi della mia età mi volevano molto bene, e nello stesso tempo mi temevano.
Ognuno mi voleva come suo amico o come giudice nelle contese. Facevo del bene a chi potevo, del male a nessuno. Cercavano di avermi amico perché, nel caso di bisticci nel gioco, li difendessi. Infatti di statura ero piccolo, ma avevo una forza e un coraggio che mettevano timore anche ai più grandi. Cosi, quando nascevano risse, liti, discussioni, io ero scelto come arbitro, e tutti accettavano le mie decisioni.
Racconti nei prati e nelle stalle
Quello che specialmente li attirava intorno a me e li divertiva moltissimo erano i miei racconti. Raccontavo i fatti che avevo ascoltato nelle prediche e al catechismo, le avventure che avevo letto nei Reali di Francia, il Guerin Meschino, Bertoldo e Bertoldino.
Appena gli amici mi vedevano, mi correvano vicino. Volevano che raccontassi qualcosa, anche se ero così piccolo che a stento capivo ciò che leggevo.
Ai ragazzi si aggiungevano sovente parecchi adulti. E così, mentre andavo e tornavo da Castelnuovo, attraverso campi e prati, qualche volta ero circondato da centinaia di persone. Volevano ascoltare un povero ragazzo che aveva solo un po' di memoria. Non avevo nessuna cultura, ma tra loro apparivo come un grande sapiente. Dice un vecchio proverbio: « Nel regno dei ciechi, chi ci vede anche solo da un occhio è proclamatore ».
Nell'inverno, molte famiglie contadine passavano le serate nella stalla (l'ambiente più caldo della casa). Mi invitavano tutti, perché raccontassi le mie storie. Erano tutti contenti di passare una serata di cinque e anche di sei ore ascoltando immobili la lettura dei Reali di Francia. Il piccolo e povero lettore stava ritto sopra una panca, perché tutti potessero vederlo. Curioso il fatto che in giro si diceva: « Andiamo ad ascoltare la predica », perché prima e dopo i miei racconti facevamo tutti il segno della Croce e recitavamo un'Ave Maria.
« Saltavo e danzavo sulla corda »
Nella bella stagione le cose cambiavano, diventavano più impegnative. Nei giorni di festa i ragazzi delle case vicine e anche di borgate lontane venivano a cercarmi. Davo spettacolo eseguendo alcuni giochi che avevo imparato.
Nei giorni di mercato e di fiera andavo a vedere i ciarlatani e i saltimbanchi. Osservavo attentamente i giochi di prestigio, gli esercizi di destrezza. Tornato a casa, provavo e riprovavo finché riuscivo a realizzarli anch'io. Sono immaginabili le cadute, i ruzzoloni, i capitomboli che dovetti rischiare. Eppure, anche se è difficile credermi, a undici anni io facevo i giochi di prestigio, il salto mortale, camminavo sulle mani, saltavo e danzavo sulla corda come un saltimbanco professionista.
Ogni pomeriggio festivo, spettacolo.
Ai Becchi c'è un prato in cui crescevano diverse piante. Una di esse era un pero autunnale molto robusto. A quell'albero legavo una fune, che tiravo fino ad annodarla a un'altra pianta. Accanto collocavo un tavolino con la borsa del prestigiatore. In terra stendevo un tappeto per gli esercizi a corpo libero.
Quando tutto era pronto e molti spettatori attendevano ansiosi l'inizio, invitavo tutti a recitare il Rosario e a cantare un canto sacro. Poi salivo sopra una sedia e facevo la predica. Ripetevo, cioè, l'omelia ascoltata al mattino durante la Messa, o raccontavo qualche fatto interessante che avevo ascoltato o letto in un libro. Finita la predica, ancora una breve preghiera e poi davo inizio allo spettacolo. Il predicatore si trasformava in saltimbanco professionista.
Eseguivo salti mortali, camminavo sulle mani, facevo evoluzioni ardite. Poi attaccavo i giochi di prestigio. Mangiavo monete e andavo a ripescarle sulla punta del naso degli spettatori. Moltiplicavo le pallottole colorate, le uova, cambiavo l'acqua in vino, uccidevo e facevo a pezzi un galletto per farlo subito dopo risuscitare e cantare con allegria.
Finalmente balzavo sulla corda e vi camminavo sicuro come sopra un sentiero: saltavo, danzavo, mi appoggiavo con le mani gettando i piedi in aria, o volavo a testa in giù tenendomi appeso per i piedi.
Dopo alcune ore ero stanchissimo. Chiudevo lo spettacolo, recitavamo una breve preghiera e ognuno se ne tornava a casa. Dai miei spettacoli escludevo quelli che avevano bestemmiato, fatto cattivi discorsi, e chi si rifiutava di pregare con noi. «Ma per andare alla fiera e ai mercati - mi domanderete -, per assistere agli spettacoli dei prestigiatori, si paga il biglietto. Da dove saltavano fuori i soldi? ».
Me li procuravo in mille maniere. Mettevo da parte le mance, i regali, le piccole somme che mia mamma e altri mi davano nelle feste per comprare le caramelle. Inoltre ero molto abile a catturare uccelli, che vendevo. Andavo a raccogliere funghi, erbe coloranti, erbe medicinali, che poi vendevo.
Mi domanderete ancora: « Ma tua mamma era contenta di saperti ai mercati e alle fiere, di vederti fare il saltimbanco? ». Vi dirò che mia mamma mi voleva molto bene. Io le raccontavo tutto: i miei progetti, le mie piccole imprese. Senza la sua approvazione non facevo niente. Lei sapeva tutto, osservava tutto e mi lasciava fare. Anzi, se mi occorreva qualcosa cercava di procurarmelo. Anche i miei amici, quando mi mancava qualcosa per lo spettacolo, me lo imprestavano con piacere.
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