In primo luogo, preparare il terreno in silenzio, con la bontà, con il contatto, con il buon esempio: stabilire il contatto, farsi conoscere da loro e conoscerli; amarli, dal profondo del cuore, farsi stimare e amare da loro; con ciò, far cadere i pregiudizi, ottenere fiducia, acquistare...
del 19 ottobre 2005
Undicesima Tappa
 
Col tempo, fratel Charles imparò il Tamachec (una delle più belle lingue africane) e tradusse il Vangelo, stabilì un’incredibile rete di spirituali amicizie.
Infine lo stesso capo della più nobile tribù Tuareg gli offrì di stabilirsi nel villaggio di Tamanrasset, una ventina di capanne.
Fratel Charles si costruì la sua abitazione di canne, poi iniziò la costruzione in pietra di un nuovo eremo: un edificio basso, lungo, diviso in due parti: una cappella e una stanza da lavoro.
Pian piano, anche in quell’eremo ci fu un via vai di Harratini (abitanti sedentari del luogo) e di Tuareg di passaggio. E da tutti Charles era considerato come una specie di Padre spirituale, anche se erano tutti musulmani.
Nel 1907 l’Hoggar fu colpito da una terribile siccità: per mesi e mesi la terra non produsse erba e le capre non diedero latte (ch’era il nutrimento abituale degli indigeni). Fratel Charles macinò la sua riserva di grano e ogni giorno, nella sua casetta, offriva almeno un pasto a una frotta di bambini. Li guardava mangiare così avidamente che non aveva cuore di consumare anch’egli la sua porzione. Alla fine di quel triste periodo fu lui l’unico ad essere malato, ridotto quasi in fin di vita.
 
 
Dai suoi scritti...
 
In primo luogo, preparare il terreno in silenzio, con la bontà, con il contatto, con il buon esempio: stabilire il contatto, farsi conoscere da loro e conoscerli; amarli, dal profondo del cuore, farsi stimare e amare da loro; con ciò, far cadere i pregiudizi, ottenere fiducia, acquistare autorità – e questo richiede tempo –, poi parlare in privato ai meglio disposti, con molta prudenza, a poco a poco, a ognuno in maniera diversa, in modo da dare a ciascuno quello che è capace di ricevere.
I musulmani sono incapaci di discussione. La fede può nascere in loro, con l’aiuto della grazia, soltanto quando ci saremo imposti alla loro ammirazione e alla loro stima, vivendo in mezzo a loro le virtù cristiane.
Prima di parlar loro del dogma cristiano, bisogna parlare di religione naturale, condurli all’amore di Dio, all’atto d’amore perfetto. Quando saranno arrivati a compiere atti d’amore perfetto e a chiedere con tutto il cuore la luce a Dio, saranno vicini alla conversione. Allorché vedranno uomini più virtuosi di loro, più sapienti di loro, che parlano di Dio meglio di loro, e che sono cristiani, allora essi saranno disposti ad ammettere che forse quegli uomini non sono nell’errore, e saranno pronti a chiedere a Dio la luce.
 
Amare, non significa convertire, ma per prima cosa ascoltare, scoprire questo uomo, questa donna, che appartengano a una civiltà e ad una religione diversa.
 
Tutta la nostra vita, per quanto muta essa sia, la vita di Nazareth, la vita del deserto, la stessa vita pubblica devono essere una predicazione del Vangelo fatta con l’esempio.
Tutta la nostra esistenza, tutto il nostro essere deve gridare che noi apparteniamo a Gesù, deve presentare l’immagine della vita evangelica. Tutto il nostro essere deve diventare una predicazione viva, un riflesso di Gesù, un profumo di Gesù, qualcosa che gridi Gesù, che faccia vedere Gesù, che risplenda come un’immagine di Gesù.
 
ë Per la preghiera personale:  Tutta la nostra vita deve far vedere Gesù.
s Una domanda per la tua riflessione:  Cosa mostro con la mia vita? Chi mi guarda, cosa potrebbe dire?
 
Redazione GxG
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