Situazione al tempo di Francesco: i poveri erano tanti anche perché sovente succedevano della calamità che li facevano aumentare a vista d’occhio:
La peste: nella vita di Francesco ci furono 3 ondate di peste con tanti morti e poveri
La carestia: bastavano una o due annate in cui i raccolti erano scarsi o nulli per aumentare il numero di chi non aveva nulla da mangiare
Il passaggio di eserciti nelle campagne: distruggevano tutto, facevano razzie, qualche volta incendiavano case e villaggi con le conseguenze che si possono immaginare.
Fin da piccolo Francesco impara la carità verso i poveri dall’esempio della mamma: la porta del castello era sempre aperta e pentole di minestre e ceste colme di fette di pane non mancavano mai. Talvolta anche il piccolo Francesco distribuiva il cibo e certe scene si sono impresse bene nella sua mente e nel suo cuore.
Il fare la carità donando cibo, vestiti, denaro fu una costante di tutta la vita del Santo.
Da Vescovo sovente andava a visitare i carcerati imprigionati su un piccolo isolotto al centro del canale, ancora ben visibile oggi, portando loro ciò di cui necessitavano; sotto i portici del suo Vescovado sovente distribuiva vestiti e denaro.
Eppure la migliore carità Francesco la faceva con la sua bontà e pazienza nell’ascoltare le persone, nel confortarle nelle loro difficoltà e disgrazie. Le sue lettere sono un segno di questa carità che diventa amicizia, cordialità, affetto. E’ stato questo il segreto che ha permesso tante conversioni negli anni passati come missionario nel Chiablese: l’abbattere i muri della diffidenza e creare ponti di fiducia e di dialogo. Questo dice che l’elemosina non va pensata solo in termini materiali, ma anche affettivi e spirituali.
Infine l’elemosina che Francesco ha distribuito maggiormente, a piene mani è stata la preghiera per le innumerevoli persone che si rivolgevano a lui. Nella Messa ricordava tutti e pregava per tutti.
Giovanna di Chantal scrive nell’articolo intitolato “Il suo amore per il prossimo”:
“Il beato Padre amava Dio nell’uomo e l’uomo in Dio. Sovente lasciava il bere, il mangiare e il dormire per fare la carità e a chi gli faceva notare che andando avanti così non avrebbe potuto durare a lungo, rispondeva con dolcezza che dieci anni di vita in più o in meno non erano niente. A chi gli diceva che tanta gente rozza gli faceva perdere un mucchio di tempo inutilmente, Francesco rispondeva che anche queste persone, come le altre, hanno bisogno di essere ascoltate nei loro bisogni.
Assisteva i poveri prendendo dalle sue risorse, anche se modeste: era un miracolo come riuscisse a far fronte alle continue elemosine e gesti di ospitalità che faceva di continuo. Tutti i religiosi di passaggio erano ospitati gratuitamente nel suo palazzo.
L’elemosina si faceva due volte la settimana (il lunedì e il giovedì) e in alcune stagioni dell’anno, quando il bisogno era più intenso, ordinava che fosse più abbondante. Ancora durante il suo ultimo viaggio a Parigi ci chiede 8 o 10 scudi per pagare il debito ad una povera ragazza che, penso, aveva convertito alla religione cattolica. Sovente capitava che donava i suoi vestiti, la sua biancheria e le sue scarpe. Il suo confessore, testimone oculare, assicura che le elemosine fatte dal Beato Padre sono state innumerevoli. Durante il suo ultimo viaggio in Piemonte la Serenissima Principessa (Madama Cristina) gli regalò un diamante bello e di valore e il Beato disse: “Bene, servirà per i nostri poveri”.
[…] Quindi, per evitare che la cura dei beni temporali si trasformi in avarizia, bisogna, praticare assai spesso la povertà reale ed effettiva in mezzo a tutti i beni e le ricchezze che Dio ti avrà dato.
Privati dunque ogni giorno di una parte dei tuoi beni, dandoli di buon cuore ai poveri, poiché il dare ciò che si ha vuol dire impoverirsi di altrettanto, e più darai e più impoverirai. È vero che Dio te lo renderà, non solo nell’altro mondo, ma anche in questo, perché non v’è nulla che faccia tanto prosperare nelle cose temporali quanto l’elemosina; ma intanto, mentre aspetti che Dio te lo renda, ne resterai impoverita. O santo e ricco impoverimento, quello dell’elemosina!
Ama i poveri e la povertà, poiché con questo amore diventerai veramente povera; infatti, come dice la Sacra Scrittura, noi siamo tutti come le cose che amiamo. L’amore rende uguali gli amanti: Chi è infermo, che io non sia infermo con lui? dice san Paolo. Egli avrebbe potuto dire: «Chi è povero che non sia povero anch’io?», perché l’amore lo faceva essere simile a coloro che egli amava. Se ami i poveri, sarai veramente partecipe della loro povertà e povero come essi. Allora, se ami i poveri, frequenta la loro compagnia, rallegrati di vederli in casa tua e di visitarli in casa loro; discorri volentieri con loro; sii ben lieta che ti si accostino in chiesa, per strada o altrove. Sii povera di lingua con loro, parlando loro come loro compagna, ma sii ricca di mano, facendo loro parte dei tuoi beni, avendone di più.
Vuoi fare ancora di più, mia Filotea? Non accontentarti di essere povera come i poveri, ma sii più povera dei poveri. Ed in qual modo? Il servo è da meno del suo padrone. Fatti dunque serva dei poveri; va’ a servirli quando sono a letto ammalati: servirli — intendo — con le tue stesse mani; sii la loro cuoca, ed a tue spese; sii la loro guardarobiera e lavandaia. O mia Filotea, questo servizio è più glorioso che un regno.
Non posso fare a meno di ammirare lo zelo con cui questo consiglio fu praticato da san Luigi, uno dei più grandi re che il sole non abbia mai visto: dico però grande di ogni sorta di grandezza. Assai spesso egli serviva a tavola i poveri che manteneva e quasi ogni giorno ne faceva venire tre alla propria mensa, e sovente mangiava gli avanzi della loro minestra con un amore senza uguali. Quando visitava gli ammalati negli ospedali (il che faceva molto spesso) serviva per lo più coloro che avevano i mali più ripugnanti, come i lebbrosi, i cancerosi e simili, e rendeva loro ogni servizio a capo scoperto ed in ginocchio, onorando nella loro persona il Salvatore del mondo, ed accarezzandoli con lo stesso tenero amore di una mamma affettuosa per il suo bambino. Santa Elisabetta, figlia del re di Ungheria, si frammischiava sovente tra i poveri, e talvolta si compiaceva di vestirsi da povera donna in mezzo alle sue dame, dicendo loro: «Se io fossi povera mi vestirei così». O mio Dio, Filotea, quant’erano poveri questo principe e questa principessa pur tra le ricchezze, e quanto erano ricchi nella loro povertà.
Beati coloro che sono poveri così, perché ad essi appartiene il regno dei cieli5. Io ho avuto fame e voi mi avete saziato; ho avuto freddo e voi mi avete vestito; possedete il regno che è stato preparato per voi fin dalla costituzione del mondo6, dirà il re dei poveri e dei re nel suo solenne giudizio.
Non c’è persona che in qualche occasione non provi una certa qual mancanza di comodità. Sopraggiunge qualche volta un ospite che vorremmo e dovremmo trattare bene, ma lì per lì non abbiamo la possibilità; oppure si hanno gli abiti migliori in un posto, mentre ne avremmo bisogno in un altro, dove occorrerebbe far bella figura; accade che tutto il vino in cantina inacidisca e vada a male e non ci resti più che il vino meno buono o non ancora stagionato; siamo in campagna in qualche stamberga e manca ogni cosa: non v’è né letto, né camera, né tavola, né servizio. Insomma: è facile avere sovente bisogno di qualche cosa, per ricchi che siamo; ora questo vuol dire essere effettivamente poveri di quel che ci manca. Filotea, rallegrati di siffatte contrarietà, accettale di buona voglia e sopportale con letizia.
Quando ti accadranno dei guai che ti impoveriscano o molto o poco, come sarebbero le grandinate, gli incendi, le inondazioni, la sterilità dei campi, i furti, i processi, oh! allora sì che è il tempo propizio per praticare la povertà, ricevendo in pace queste diminuzioni di ricchezza ed adattandoti con santa pazienza e fortezza a questo impoverimento. Esaù si presentò a suo padre con le mani ricoperte di pelo, e altrettanto fece Giacobbe; ma siccome il pelo che stava sulle mani di Giacobbe non era attaccato alla sua pelle, ma ai guanti che portava, glielo si sarebbe potuto levare senza scorticarlo e fargli male; invece il pelo delle mani di Esaù era attaccato alla sua pelle, per natura pelosa, e perciò chi glielo avesse voluto strappare gli avrebbe fatto un gran male; egli avrebbe gridato forte e si sarebbe difeso con vigore. Quando i beni sono attaccati al nostro cuore, se la grandine, se i ladri, se l’avversario in giudizio ce ne strappano qualche pezzetto, quanti pianti, turbamenti, quante impazienze! Ma se invece i beni ci preoccupano solo per quella parte che Dio vuole ne abbiamo, senza attaccarci il cuore, se ce li strappano non perderemo per questo la testa o la tranquillità. È la stessa differenza che corre tra gli uomini e le bestie per quanto riguarda le vesti: mentre la veste dell’animale è attaccata alla sua carne, quella degli uomini è solo indossata, pertanto la si può mettere e togliere quando si vuole.
Signore, quando ho fame, dammi qualcuno che ha bisogno di cibo;
quando ho un dispiacere, mandami qualcuno da consolare;
quando la mia croce diventa pesante, fammi condividere la croce di un altro;
quando non ho tempo, dammi qualcuno che io possa aiutare per qualche momento;
quando sono umiliato, fa che io abbia qualcuno da lodare;
quando sono scoraggiato, mandami qualcuno da incoraggiare;
quando ho bisogno della comprensione degli altri,
dammi qualcuno che ha bisogno della mia;
quando ho bisogno che ci si occupi di me, mandami qualcuno di cui occuparmi;
quando penso solo a me stesso, attira la mia attenzione su un’altra persona.
Rendici degni, Signore, di servire i nostri fratelli,
che in tutto il mondo vivono poveri ed affamati.
Dà loro oggi, usando le nostre mani, il loro pane quotidiano,
e dà loro, per mezzo del nostro amore comprensivo, pace e gioia.
Santa Teresa di Calcutta
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