3.9 Chi è il cristiano maturo?

Che cosa potrebbe significare quest'espressione nel campo della rivelazione biblica? Ci sono, ad esempio, nell' Antico Testamento dei giudei maturi? Cristo, obbediente al Padre fino alla morte, è stato maturo?

3.9 Chi è il cristiano maturo?

da L'autore

del 01 gennaio 2002

Che cosa potrebbe significare quest’espressione nel campo della rivelazione biblica? Ci sono, ad esempio, nell’ Antico Testamento dei giudei maturi? Cristo, obbediente al Padre fino alla morte, è stato maturo? Nella Chiesa il sacerdote, il religioso, la monaca possono mai essere designati come maturi? Oppure l’espressione dev’essere applicata soltanto ai laici, che forse sono maturi quando sono usciti dalla ‘tutela’ del clero? Per ottenere un po’ di chiarezza dobbiamo aprire la Bibbia.

’Minorenne’ (nepios) può essere chiamato semplicemente il bambino normale («quando ero bambino, parlavo da bambino, e da bambino pensavo e ragionavo» 1Cor. 13,11. «Dalla bocca dei bambini e dei lattanti ti sei procurato una lode» Mt. 21,26; Sal. 8,3). Ma se lo stato d’infanzia spirituale si protrae oltre il tempo, diventa riprovevole. Eb. 5,11-12: «Sopra di che molte cose avremmo da dire, difficili a spiegare, poiché siete divenuti lenti a capire. Infatti, mentre dovreste, a ragione del tempo, essere maestri, avete ancora bisogno che altri v’insegni i primi rudimenti degli oracoli di Dio e siete divenuti bisognosi di latte e non di solido nutrimento». Qui l’immaturità è un non comprendere, e questo a sua volta si fonda su una durezza d’orecchio nei confronti della parola; l’espressione significa alla lettera: siete lavoratori indolenti, cattivi con le orecchie. In modo del tutto simile Paolo in 1Cor. 3,1 s. In precedenza egli aveva detto che l’uomo terreno non comprende lo spirito di Dio, che per capirlo occorre essere uomo spirituale ed egli, Paolo, ha lo Spirito. Poi continua: «E io, o fratelli, non potei parlare a voi come a uomini spirituali ma come a carnali, come a bimbi nel Cristo. Latte vi diedi a bere, non cibo solido». Se dal contesto della lettera si cerca di comprendere che cosa Paolo intende con le cose spirituali, che soltanto gli uomini spirituali possono capire, risulta trattarsi (nel cap. 1, 18-25) essenzialmente della «dottrina della croce», che per il mondo è una stoltezza, ma una stoltezza che è sapienza nascosta di Dio, la quale convince di stoltezza la sapienza del mondo. L’immaturità dei Corinti consiste nel non essere ancora all’altezza di questo ‘scandalo’, che solo permette di vedere nell’ ‘intimo di Dio’. Ciò viene confermato nel passo più importante: Col. 4,1-7, che è nello stesso tempo il più paradossale.

Nell’Antico Testamento i fedeli sono sotto la legge come sotto un pedagogo; ma ormai, mediante la fede in Gesù Cristo, essi sono tutti quanti figli di Dio. Paolo si serve qui di una immagine giuridica: «Sino a quando l’erede è fanciullo, non differisce in nulla da uno schiavo, quantunque sia padrone di tutti i beni, ma sottostà a tutori e amministratori fino alla data fissata dal padre. Casi noi pure: da minorenni eravamo asserviti agli elementi del mondo. Ma allorché il tempo raggiunse la sua pienezza, Iddio mandò il suo Figlio, nato da una donna, nato sotto la legge, affinché riscattasse quelli che erano soggetti alla legge; affinché ricevessimo la dignità di figli adottivi. E prova che siete figli si è che Iddio mandò lo Spirito del Figlio suo nei nostri cuori, il quale grida: Abba, Padre! Di conseguenza, tu non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio sei, grazie a Dio, anche erede».‚Ä® Qui minorenne non è più il cristiano immaturo, ma il fedele precristiano, il giudeo, perché serviva a Dio soltanto per mezzo della legge, un ‘elemento del mondo’ (amministrato da ‘angeli’, cioè da potenze cosmiche), e non in libertà ed a diretto contatto con Dio. La emancipazione a vero figlio maggiorenne avviene per mezzo del Figlio di Dio, ma, caso strano, proprio perché il Figlio, soggetto alla legge fisica dello sviluppo (‘da una donna’), viene inoltre sottomesso ancora alla ‘legge’; per mezzo dello Spirito di questo Figlio gli schiavi diventano figli ed eredi. È lo spirito dell’amore obbediente, disinteressato, che discende e si sottomette, come lo descrive efficacemente Paolo in seguito (Gal. 5,6). È lo spirito di coloro «che appartengono a Cristo ed hanno crocifisso la carne con le sue passioni e le sue voglie» (Gal. 5,24). ‚Ä®L’elemento comune di questi passi è la connessione tra maturità e croce. Si spiega la conclusione del citato passo della lettera agli Ebrei: «Ora chi si nutre di latte perché è bambino, è ignaro della dottrina di giustizia che invece è solido nutrimento dei perfetti, di quelli che, per l’esercizio, hanno le facoltà addestrate a distinguere il buono e il cattivo» (Eb. 5, 13-14). La ‘dottrina di giustizia’ di Dio, apparsa in Cristo, è la stessa che la ‘dottrina della croce’ o, nella lettera agli Ebrei, la dottrina del sommo sacerdozio di Cristo. Ciò rimane insipido ed indigesto per i cristiani non cresciuti. Per assimilarlo, l’uomo ha bisogno di un sensorio adulto. Soltanto chi ne è provvisto «gusta il dono celeste... gusta la buona parola di Dio e le meraviglie del secolo futuro» (ibid. 6,4-5), perché nella sua esistenza la verità esistenziale della morte e risurrezione di Cristo ha acquistato il primato ed è divenuta il criterio della percezione di ciò che è bene e di ciò che è male.‚Ä®Se questo sensorio per la croce è sviluppato in un individuo, in una comunità, l’apostolo può considerare come terminata la sua opera di nutrice. «È cosa buona – dice ai Galati – essere oggetto di zelo, ma nel bene e sempre, e non solo quando io mi trovo presso di voi. Figlioli miei, di nuovo io soffro per voi i dolori del parto, finché Cristo non sia formato in voi» (Gal. 4,18-19). Questa ‘forma’, che deve imprimersi nel cristiano, è la stessa che inizialmente è stata impressa in lui dalla Chiesa con il sacramento del battesimo, nella speranza che essa si imponga nella materia recalcitrante: «Non sapete forse che tutti noi, che fummo battezzati in Cristo Gesù, fummo battezzati nella sua morte? Fummo, col battesimo, sepolti con lui nella morte, affinché, come Cristo fu risuscitato da morte dalla potenza gloriosa del Padre, così noi pure vivessimo di una vita nuova. Se infatti siamo diventati un essere solo con lui nella somiglianza della sua morte, lo diventeremo altresì nella somiglianza della sua risurrezione; poiché, sappiamo bene, il nostro vecchio uomo fu crocifisso con lui..., crediamo che con lui parimenti vivremo» (Rom. 6,3-8). Conseguentemente è maturo colui che realizza in sé, in modo soggettivo-esistenziale, la realtà sacramentale oggettiva. Colui che non ha più bisogno di essere continuamente costretto dall’esterno a morire a questo mondo, ma liberamente e responsabilmente una volta per tutte «ha crocifisso la carne con le sue passioni e le sue voglie» e può dire con l’apostolo: «grazie a Cristo il mondo è per me crocifisso ed io lo sono per il mondo... porto impresse nel mio corpo le stigmate di Gesù» (Gal. 6,14-17).

Se, concludendo, cercassimo un esempio di maturità, il quale possa nello stesso tempo servire anche di norma ad ognuno, si raccomanda di meditare gli Atti degli Apostoli 16,6-7: «Essendo stato loro proibito dallo Spirito santo di diffondere la parola nell’Asia proconsolare, attraversarono la Frigia e il territorio della Galazia. Arrivati di fronte alla Misia, si disponevano ad incamminarsi verso la Bitinia, ma lo Spirito di Gesù ancora non lo permise». Paolo ed i suoi fanno progetti – senza dubbio nello spirito di disinteresse cristiano, solleciti di ciò che era meglio per il regno di Dio, – ma ciò nonostante lo Spirito santo ha altri progetti più lungimiranti. Progetto contro progetto. Il cristiano che, avendo nella preghiera dimestichezza con lo Spirito santo di Gesù che continuamente guida e comanda, è in grado di sentire di dover abbandonare l’intero suo progetto a favore del disegno di Dio: ecco il cristiano maturo! Uno che sia divenuto totalmente ‘elemento’ atto a ricevere la forma di Cristo, ‘materia’ che da una simile ‘passività’ viene elevata alla suprema attività della ‘matrix’ e ‘mater’ di Gesù («...questi è a me fratello, sorella e madre» Mt. 12,50).

La maturità cristiana non è quindi una cosa così semplice ed univoca, come credono i più. Non è affatto solo un problema di formazione della propria coscienza in base a presunti princìpi cristiani purchessia. La coscienza, in quanto fa parte della nostra natura umana, è, sì, il fondamento della nostra azione morale naturale, ma in quanto siamo cristiani la nostra coscienza deve avere continuamente uno spiraglio aperto per lo Spirito santo di Cristo, che agisce in noi e su di noi in modo libero ed indipendente. Lo Spirito non si può travasare in bottiglie e princìpi che si possano turare una volta per sempre; soltanto la fresca vivezza di un ascolto continuo ha la possibilità di percepirlo, addirittura di comprenderlo. Ciò suppone una estrema docilità, un incarnato istinto soprannaturale di obbedienza, quindi il contrario di ciò che, nella nostra massiccia grossolanità, noi immaginiamo come ‘maturità’. Quanto più siamo obbedienti al libero Spirito di Cristo, tanto più possiamo crederci liberi o maturi. Tutto il resto è perfida autoillusione.

Le condizioni per realizzare questo ideale sono state indicate: si tratta di far nostra con tutta serietà la morte di Cristo in croce come la forma fondamentale della nostra vita terrena, perché soltanto così possiamo sperimentare ‘le forze del mondo futuro’ nella ‘buona parola di Dio’; cioè quelle forze eterne ed immortali, dall’alto delle quali il cristiano deve distinguere, amministrare, dominare le cose terrene. Queste ‘forze’ naturalmente non sono le nostre, ma sono messe a nostra disposizione, le possiamo ‘indossare’ come un abito, più ancora, come un nuovo corpo, possiamo infilarci dentro ed identificarci con esse; questo la Scrittura chiama «rivestire il Cristo», «rivestirsi dell’uomo nuovo» (Rom. 13,14; Gal. 3,27; Ef. 4,24; Col. 3,10).

Se facessimo ciò che vuole il nuovo uomo-Cristo, saremmo liberi e maggiorenni, ma, finché siamo sulla terra, questa libertà conserva il carattere di un servizio. Infatti questo uomo nuovo, libero, non ce lo siamo dato noi, ma lo dobbiamo alla grazia di Dio in Cristo; prima schiavi del peccato, ora siamo «divenuti servi di Dio», e di questo servizio è frutto la ‘santità’, «fine la vita eterna» (Rom. 6,22).

Hans Urs Von Balthasar

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