Nella prima domenica dell'aprile 1855 don Bosco fece una predica ai suoi ragazzi parlando della santità. Qualcuno arricciò il naso. Domenico Savio invece ascoltò con attenzione. Man mano che don Bosco procedeva con la sua bella voce calda e persuasiva, gli sembrava che la predica fosse fatta solo per lui. Raggiungere la santità come il principino san Luigi, come il grande missionario Francesco Saverio, come i martiri della Chiesa.
Da quel momento Domenico cominciò a sognare, e il suo sogno fu la santità.
Il 24 giugno era il giorno onomastico di don Bosco. Si fece festa grande all'oratorio, come tutti gli anni. Don Bosco, per ricambiare l'affetto e la buona volontà, disse:
- Ognuno scriva su un biglietto il regalo che desidera da me. Vi assicuro che farò tutto il possibile per accontentarvi.
Un biglietto con cinque parole.
Quando lesse i biglietti, don Bosco trovò domande serie e sensate, ma trovò anche richieste stravaganti che lo fecero sorridere: qualcuno gli chiese cento chili di torrone “per averne per tutto l'anno”. Sul biglietto di Domenico Savio trovò cinque parole: “Mi aiuti a farmi santo”.
Don Bosco prese sul serio quelle parole. Chiamò Domenico e gli disse: “Ti voglio regalare la formula della santità. Eccola: Primo: allegria. Ciò che ti turba e ti toglie la pace non viene da Dio. Secondo: i tuoi doveri di studio e di pietà. Attenzione a scuola, impegno nello studio, impegno nella preghiera. Tutto questo non farlo per ambizione, ma per amore del Signore. Terzo: far del bene agli altri. Aiuta i tuoi compagni sempre, anche se ti costa sacrificio. La santità è tutta qui”.
Domenico si impegnò seriamente. Nella Vita di Domenico Savio che don Bosco scrisse subito dopo la morte del ragazzo, sono raccontati molti episodi, semplici e commoventi. Ne ricordiamo solo uno.
Un giorno un ragazzo aveva portato nell'oratorio un giornale illustrato con figure poco decenti. Subito gli si radunarono intorno cinque o sei compagni. Guardavano, ridacchiavano. Anche Domenico si avvicinò. Prese dalle mani del proprietario il giornale e lo fece in pezzi. Il ragazzo si mise a protestare, ma Domenico protestò anche lui, a voce ancora più alta:
- Belle cose porti dentro l'oratorio! Don Bosco si affatica tutto il giorno per allevarci buoni cittadini e buoni cristiani, e tu gli porti in casa questa roba! Queste figure offendono il Signore, e qui dentro non devono entrare!
Arrivarono e passarono veloci le vacanze scolastiche del 1855. Quando in ottobre i ragazzi tornarono all'oratorio, don Bosco rivide Domenico Savio e ne fu preoccupato:
- Non ti sei riposato durante le vacanze?
- Sì, don Bosco, perché?
- Sei più pallido del solito. Come mai?
- Forse la stanchezza del viaggio - e sorrise tranquillo.
Ma non era stanchezza passeggera. Gli occhi infossati e brillanti, il volto pallido e smunto dicevano chiaramente che la salute di Domenico non era buona. Don Bosco decise di prendere qualche precauzione.
- Quest'anno non andrai a scuola in città. Uscire con la pioggia e la neve potrebbe farti male. Andrai alla scuola di don Francesia qui in casa. Così al mattino potrai riposare di più. E abbi moderazione nello studio: la salute è un dono di Dio, e non dobbiamo sciuparla.
Domenico obbedì. Ma qualche giorno dopo, come se prevedesse qualcosa di grave che stava per succedergli, disse a don Bosco:
- Mi aiuti a farmi santo in fretta.
La “Compagnia dell'Immacolata”.
Domenico era diventato molto amico di Michele Rua e Giovanni Cagliero, anche se avevano rispettivamente cinque e quattro anni più di lui. Altri suoi amici erano degli ottimi ragazzi, approdati all'oratorio in quegli anni: Bongiovanni, Durando, Cerruti, Gavio, Massaglia.
All'inizio del 1856 i convittori dell'oratorio erano 153: 63 studenti e 90 artigiani.
Nella primavera, Domenico ebbe un'idea. Perché non unirsi, tutti i giovani più volenterosi, in una “società segreta”, per diventare un gruppo compatto di piccoli apostoli nella massa degli altri? Ne parlò con alcuni. L'idea piacque. Si decise di chiamare la società “Compagnia dell'Immacolata”.
Don Bosco diede il suo permesso, ma suggerì di non precipitare le cose. Provassero, stendessero un piccolo regolamento. Poi se ne sarebbe riparlato.
Provarono. Nella prima “adunanza” si decise chi invitare a iscriversi. Pochi, fidati, capaci di tenere il segreto. Si discusse sul nome di Francesia, il giovanissimo professore di lettere, un ragazzone candido, amico di tutti. Fu scartato perché era un gran chiacchierone, e il segreto con lui avrebbe avuto vita breve.
L'assemblea incaricò tre iscritti perché abbozzassero il regolamento: Michele Rua, 19 anni, Giuseppe Bongiovanni, 18 anni, Domenico Savio, 14 anni. Don Bosco afferma però che chi scrisse il testo fu Domenico. Gli altri lo ritoccarono.
Il piccolo regolamento era formato di 21 articoli. I soci si impegnavano a diventare migliori sotto la protezione della Madonna e con l'aiuto di Gesù Eucaristia; ad aiutare don Bosco divenendo, con prudenza e delicatezza, dei piccoli apostoli tra i compagni; a diffondere gioia e serenità attorno a sé.
L'articolo 21, il conclusivo, condensava lo spirito della Compagnia: “Una sincera, filiale, illimitata fiducia in Maria, una tenerezza singolare verso di Lei, una devozione costante ci renderanno superiori ad ogni ostacolo, tenaci nelle risoluzioni, rigidi verso noi stessi, amorevoli col prossimo ed esatti in tutto”.
La Compagnia fu inaugurata l'8 giugno 1856, davanti all'altare della Madonna nella chiesa di S. Francesco. Ognuno promise di essere fedele all'impegno.
Quel giorno Domenico aveva realizzato il suo capolavoro. Gli rimanevano da vivere soltanto 9 mesi, ma la sua “Compagnia dell’Immacolata” sarebbe durata più di cento anni (per l'esattezza fino al 1967). In tutte le Case e gli oratori salesiani sarebbe diventata un manipolo di ragazzi impegnati e di future vocazioni sacerdotali.
I soci della Compagnia scelsero di “curare” una categoria di ragazzi che nel loro linguaggio segreto chiamarono “clienti”: gli indisciplinati, quelli che avevano la parolaccia facile e menavano le mani. Ogni socio ne prendeva in consegna uno, e gli faceva da “angelo custode” per tutto il tempo necessario a metterlo sulla buona strada. Una seconda categoria di “clienti” erano i nuovi arrivati. Li aiutavano a trascorrere in allegria i primi giorni, quando non conoscevano nessuno, non sapevano giocare, parlavano solo il dialetto del loro paese, avevano nostalgia.
Nella quaresima di quel 1856, Domenico Savio (che ricordava tanto a don Bosco la figura pallida e tesa di Luigi Comollo) finì in qualche esagerazione. Sentendo, nelle letture liturgiche del tempo, continui inviti alla penitenza, volle farne qualcuna anche lui. Don Bosco fu avvertito da un assistente di refettorio che Domenico Savio digiunava.
Lo avvicinò immediatamente. In un colloquio franco seppe da Domenico che non solo aveva cominciato a “digiunare a pane e acqua almeno nel giorno di sabato”, ma si era spinto anche più in là: aveva tolto dal letto la coperta (mentre il clima era ancora freddo), aveva messo cocci di mattone sotto le lenzuola per rendere il sonno più disturbato. Don Bosco lo bloccò con decisione:
- Ti proibisco assolutamente qualunque penitenza. O meglio, te ne concedo una sola: l'obbedienza. È una penitenza che costa, piace al Signore, e non rovina la salute. Obbedisci, e a te basta.
Mamma Margherita se ne va.
15 novembre 1856. Cade ammalata mamma Margherita. Una polmonite violenta che si manifesta subito micidiale per i suoi 68 anni logorati dal gran lavorare. Per un attimo, la vita dell'oratorio pare arrestarsi. Come si fa ad andare avanti senza di lei? Attorno al letto si alternano i chierici di don Bosco, i ragazzi più grandi. Quante volte sono entrati nella sua cucina dicendo:
- Mamma, me la date una mela?
- Mamma, è pronta la minestra?
- Mamma, non ho più il fazzoletto. - Mamma, ho strappato i pantaloni.
L'eroismo di questa grande donna che si sta spegnendo è stato tutto a base di stracci da rammendare, di fieno e grano da falciare, di bucato e pentole. Eppure in quelle umili faccende c'era la fortezza del non stancarsi mai, la fiducia nella Provvidenza. Tra le patate da sbucciare e la polenta da rimestare venivano fuori gli insegnamenti della fede, il buon senso pratico, la bontà dolce della mamma.
Don Bosco ha imparato da lei il suo sistema educativo. È stato lui per primo ad essere educato con ragione, religione e amorevolezza. La Congregazione Salesiana è stata cullata sulle ginocchia di mamma Margherita, che ora si va spegnendo come una candela.
Viene dai Becchi Giuseppe con i nipoti più grandi. Il teologo Borel, suo confessore da quando è arrivata a Torino, viene a portarle il Viatico.
Raduna le ultime forze per parlare al suo Giovanni:
- Stai attento, perché molti invece della gloria di Dio, cercano l'utilità propria. Vicino a te ci sono di quelli che amano la povertà negli altri, ma non in se stessi. Quello che si chiede agli altri bisogna cominciare a farlo noi.
Non vuole che Giovanni la veda soffrire, pensa agli altri fino all'ultimo momento.
- Va', Giovanni. Tu soffri troppo nel vedermi così. Ricordati che questa vita consiste nel patire. I veri godimenti saranno nella vita eterna. Adesso va' via, te lo chiedo per piacere. Prega per me, addio.
Margherita Bosco ha espresso in queste semplici parole la genuina “concezione cristiana della vita” della gente contadina. La convinzione che ha aiutato uomini e donne della campagna a tirare avanti la vita, nonostante la carestia, la morte dei bambini, la fatica che fiaccava. E questo per secoli.
Accanto alla vecchia mamma che muore rimangono Giuseppe e don Alasonatti. Si spegne alle 3 del mattino del 25 novembre. Giuseppe va nella stanza di don Bosco, e si gettano le braccia al collo piangendo.
Due ore dopo, don Bosco chiama Giuseppe Buzzetti. È l'amico dei momenti più amari, l'unico da cui non ha vergogna di farsi vedere piangere. Va a celebrare la Messa per sua madre nella cappella sotterranea del Santuario della Consolata. Dopo, si inginocchiano davanti all'immagine della Madonna, e don Bosco mormora: “Ora io e i miei figli siamo senza madre sulla terra. Stateci vicina, fateci da madre voi”.
Alcuni giorni dopo, Michele Rua va a trovare sua mamma, la signora Giovanna Maria:
- Da quando è morta mamma Margherita - dice - non sappiamo più come fare. Non c'è nessuno che faccia la minestra, che rammendi le calze. Mamma, vuoi venirci tu?
A 56 anni la signora Giovanna Maria segue il figlio e diventa la seconda mamma dell'oratorio. Lo sarà per 20 anni.
Un ragazzo che parla con Dio.
Dicembre. Le strade di Torino sono già spruzzate dalla prima neve. È notte, e per le vie sono accesi i fanali. Don Bosco, come ogni sera, è curvo al tavolo di lavoro davanti a un mucchietto di lettere che attendono risposta. Lo impegneranno fin oltre mezzanotte. Ed ecco un leggero bussare alla porta:
- Avanti. Chi è?
- Sono io - dice Domenico Savio entrando rapido -. Presto, venga con me, c'è un'opera di carità da fare.
- Adesso, di notte? Dove vuoi portarmi?
- Faccia presto, don Bosco, faccia presto.
Don Bosco esita. Ma guardando Domenico vede che il suo volto, di solito sereno, è molto serio. Anche le sue parole sono decise come un comando. Don Bosco si alza, prende il cappello e lo segue.
Domenico scende velocemente le scale, esce dal cortile, infila deciso la strada per la città, svolta in una via, in una seconda. Non parla né si ferma. Nel dedalo di vie e viuzze procede sicuro. Sale una scala. Don Bosco lo segue: primo piano, secondo, terzo. Domenico si ferma, bussa. Prima che qualcuno venga ad aprire dice a don Bosco:
- È qui che deve entrare -. E se ne torna a casa.
La porta si apre. Si affaccia una donna scarmigliata. Vede don Bosco ed esclama:
- È il Signore che lo manda. Presto, presto, altrimenti non fa più in tempo. Mio marito ha avuto la disgrazia di abbandonare la fede tanti anni fa. Adesso sta morendo, e chiede per pietà di potersi confessare.
Don Bosco si avvicina al letto dell'ammalato, e trova un poveri uomo spaventato e sull'orlo della disperazione. Lo confessa, gli dà l'assoluzione. Pochi minuti dopo quell'uomo muore.
Passa qualche giorno. Don Bosco è ancora impressionato da ciò che è accaduto. Come ha potuto Domenico sapere di quel malato? Lo avvicina in un momento in cui nessuno li ascolta:
- Domenico, l'altra sera quando sei venuto nel mio ufficio a chiamarmi, chi ti aveva parlato di quel malato? Come hai fatto a saperlo?
Allora succede una cosa che don Bosco non si aspettava: il ragazzo lo guarda con aria mesta e si mette a piangere. Don Bosco non osa fargli altre domande, ma capisce che nel suo oratorio c'è un ragazzo che parla con Dio.
“Dal Paradiso potrò vedere i miei compagni?”
Nel febbraio del 1857 l'inverno di Torino divenne rigidissimo. Domenico Savio si fece più pallido. Era scosso da una tosse profonda, e le sue forze diminuivano rapidamente. Don Bosco, preoccupato, chiamò dei buoni medici perché lo visitassero. Il professor Vallauri, dopo una visita accurata, disse:
- La gracile complessione e la continua tensione di spirito sono come lime che gli rodono la vita.
- Che cosa posso fare per lui? - insistette don Bosco. Vallauri si strinse desolato nelle spalle. La medicina, in quegli anni, praticamente non esisteva.
- Lo rimandi all'aria nativa, e gli faccia sospendere per un po' di tempo gli studi. Quando Domenico conobbe la decisione, si rassegnò. Ma gli rincresceva moltissimo lasciare gli studi, gli amici, e specialmente don Bosco.
- Ma perché non vuoi andare a godere la compagnia dei tuoi genitori?
- Perché vorrei finire la mia vita qui, nell'oratorio.
- Non dire così. Tu adesso vai a casa, ti rimetti in salute e poi torni.
- Questo no - sorrise Domenico, scuotendo la testa -. Io me ne vado e non tornerò più.
Don Bosco, è l'ultima volta che possiamo parlarci. Mi dica: cosa posso ancora fare per il Signore?
- Offrigli spesso le tue sofferenze.
- E che cos'altro ancora?
- Offrigli anche la tua vita.
- Dal Paradiso potrò vedere i miei compagni dell'oratorio, i miei genitori? - Sì - mormorò don Bosco cercando di vincere la commozione.
- E... potrò venire a trovarli?
- Se il Signore vorrà, potrai venire.
Era il 1° marzo, domenica. Il saluto più commovente lo diede agli amici della
“Compagnia”. Poi arrivò il calesse del babbo che
doveva condurlo a Mondonio. All'angolo della via agitò ancora la mano a salutare l'oratorio, gli amici, il “suo” don Bosco, che rimase con un dolore profondo a guardare la carrozza che si allontanava. Era partito il suo alunno migliore, il santino che la Madonna aveva regalato per tre anni al suo oratorio.
Si spense quasi all'improvviso il 9 marzo 1857. Gli era accanto il papà. Ebbe appena la forza di mormorare:
- Addio papà... il parroco mi diceva... ma io non ricordo... che bella cosa io vedo. Pio XII lo dichiarerà santo il 12 giugno 1954. Il primo santo di quindici anni.
La fascia color del sangue.
Don Bosco l'avrebbe visto ancora una volta, nel grande “sogno” fatto a Lanzo nella notte del 6 dicembre 1876. La sua narrazione occupa dieci fitte pagine del 12° volume delle Memorie Biografiche. Noi siamo costretti a darne soltanto un rapido cenno.
“Mi sembrò di trovarmi sulle sponde di una pianura immensa, azzurra come il mare. Ma non era acqua: sembrava un terso e lucente cristallo. Nell'aria c'era una musica dolcissima.
Ed ecco apparire una quantità immensa di giovani; moltissimi li conoscevo, erano stati nell'oratorio e negli altri nostri collegi; ma la maggior parte mi era del tutto ignota. Quella folla sterminata veniva verso di me. Alla loro testa avanzava Savio Domenico, e subito dopo procedevano molti e molti altri chierici e preti, ciascuno guidando una squadra di giovani.
Savio Domenico si avanzò solo e si fermò così vicino a me, che se avessi steso la mano, l'avrei certamente toccato. Com'era bello! Una tunica candidissima gli scendeva fino ai piedi. Un'ampia fascia rossa cingeva i suoi fianchi. Il capo era cinto di una corona di rose. Sembrava un angelo.
Savio Domenico aperse la bocca:
- Perché stai lì muto? Non sei tu quell'uomo che una volta non ti spaventavi di nulla, che affrontavi intrepido le calunnie, le persecuzioni, i nemici, le angustie e i pericoli di ogni genere? Perché non parli?
Risposi balbettando:
- Sei tu dunque Savio Domenico?
- Sono io. Non mi riconosci più? Sono venuto per parlarti. Tante volte ci siamo parlati sulla terra. Quante volte tu mi hai dato segni di amicizia. E questo tuo vivo amore non era da me corrisposto? Era grande la mia confidenza in te!
- Ma dove siamo?
- Sei nel luogo della felicità.
- Perché hai questa tunica splendente? E perché quella fascia rossa ai tuoi fianchi?
Una voce cantò le parole della Bibbia: " Sono vergini, e seguono l'Agnello dovunque vada ". Allora capii che quella fascia rossa, color del sangue, era il segno dei grandi sacrifici fatti, quasi del martirio sofferto per conservare la virtù della purezza. Lo splendore della veste era segno dell'innocenza battesimale conservata.
- Perché vai avanti agli altri? - gli domandai ancora.
- Io sono ambasciatore di Dio. Quanto al passato ti dico che la tua Congregazione ha fatto molto del bene. Vedi quel numero sterminato di giovani? Furono salvati da te, o dai tuoi preti, o chierici, o altri che tu hai messo sulla via della vocazione. Ma sarebbero molto più numerosi se avessi avuto più fede e confidenza nel Signore.
- E il presente?
Domenico mi porse un mazzolino di fiori: rose, viole, gigli, genziane, spighe di grano...
E disse:
- Presentalo ai tuoi figli. La rosa è il segno della carità, la viola dell'umiltà, la genziana della penitenza, il giglio della castità, le spighe dell'amore all'Eucaristia.
- E per l'avvenire?
- Sappi che Dio prepara grandi cose per la tua Congregazione. Grande gloria è preparata per essa. Ma tu procura che i tuoi Salesiani non escano dal giusto sentiero da te indicato. Se i tuoi saranno degni della loro alta missione, l'avvenire sarà splendidissimo, e porterà salvezza a una infinità di persone. Alla condizione che i tuoi figli siano devoti della Beata Vergine e sappiano conservare la virtù della castità, che tanto piace agli occhi di Dio.
- E quanto a me?
- Oh, se sapessi quante vicende hai ancora da sostenere! Allora io tesi le mani per afferrare quel santo figliuolo, ma le sue mani mi sfuggirono, come se fossero d'aria, e non potei stringerle”.
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