Filosofa e carmelitana, santa Teresa Benedetta della Croce, nata Edith Stein, è morta ad Auschwitz nel 1942. La sua eredità offre una visione vibrante e profonda della femminilità...
del 24 agosto 2018
Filosofa e carmelitana, santa Teresa Benedetta della Croce, nata Edith Stein, è morta ad Auschwitz nel 1942. La sua eredità offre una visione vibrante e profonda della femminilità...
Nata nel 1891 in Prussia in una famiglia giudaica, Edith Stein decise nell’adolescenza di allontanarsi da ogni credenza religiosa. Dotata di una viva intelligenza, studiò allora filosofia alla scuola del grande filosofo tedesco Edmund Husserl, fondatore della fenomenologia. Una lunga maturazione intellettuale e spirituale la condusse al cattolicesimo, al quale si convertì nel 1921. Prima di essere credente, sviluppò un’alta idea del posto della donna nella società e nel mondo. Si preoccupò in particolare del lavoro «di informazione e di educazione necessario per condurre le donne a votare».
Divenuta cattolica, prese parola a nome delle donne e provò il bisogno di fondare una riflessione filosofica, teologica e concreta sulla specificità femminile e sul ruolo della donna. Sviluppò allora quella che ebbe a chiamare una “teologia della Donna”. Il suo pensiero si ispira al metodo fenomenologico, alla Sacra Scrittura e a San Tommaso d’Aquino.
Perché Edith s’interrogava sulla complementarietà originale dell’uomo e della donna? Senza dubbio perché da sempre s’interessava a tutto quanto toccava la persona umana, la visione dell’umanità perfetta – quella di Cristo. Ma anche perché osservava nella Germania degli anni 1930 dei movimenti giovanili in rivolta contro la generazione dei loro genitori. Ella avvertì allora che si stava operando una rottura spirituale profonda, nel suo Paese, e comprese che per raccogliere la sfida della trasmissione culturale la donna avrebbe potuto giocare un ruolo essenziale. Secondo Cécile Rastoin, monaca nel Carmelo di Montmartre e autrice del libro Edith Stein. Enquête sur la Source [Edith Stein. Ricerca sulla fonte, N.d.T.], la filosofa tedesca avrebbe così
affrontato le questioni del momento prendendo la parola a nome delle donne ed esortandole a ricostruire il tessuto sociale per fare argine al nazismo.
Arrestata dalle SS, Edith Stein fu deportata ad Auschwitz, dove morì nell’agosto 1942. Fu canonizzata da Papa Giovanni Paolo II nel 1998.
Per Edith Stein la femminilità è la chiave per comprendere la capacità dell’umanità di amare e di connettersi col Creatore. Nelle sue ricerche sulla specificità dell’uomo e della donna, e sui loro rispettivi destini, l’uomo e la donna sono votati a riempire in un modo proprio la loro duplice missione. La quale consiste da una parte nell’essere a somiglianza di Dio, dall’altra nell’educare una posterità.
Per Edith Stein, la donna è chiamata a «cercare il sentiero che porta da Eva a Maria». Ella si vede assegnare la missione particolare di ristabilire «la natura femminile nella sua purità», il cui “archetipo” è la Vergine Maria. I quattro pilastri della femminilità secondo Edith Stein trovano tutta la loro essenza nella più alta delle virtù – l’amore.
Secondo Edith Stein le donne hanno un grande desiderio di dare e ricevere amore. Tale desiderio «si eleva al di sopra di un’esistenza quotidiana per entrare nella realtà di una persona migliore». Il nostro desiderio di ricevere amore ci rende vulnerabili e, soprattutto, ci fa apparire più deboli. La persona che si sforza di dimostrare la propria possanza e la propria dominazione non ammetterà mai di aver bisogno di checchessia da un’altra persona. Ma ciò che Edith Stein mette in evidenza è che la ricettività all’amore ci eleva, e che accresce la nostra comprensione del mondo.
nell’esperienza si rivela sensibile alle realtà personali, all’armonia, alla globalità […]. L’attenzione della donna è dunque naturalmente portata sulle persone mentre l’esperienza ci mostra che l’uomo aspira maggiormente all’efficacia esteriore, la quale lo porta a concentrarsi su azioni oggettive […]. L’anima femminile vive più forte ed è più presente in tutte le parti del suo corpo. Essa è toccata interiormente da tutto ciò che le capita, mentre nell’uomo il corpo ha maggiormente il carattere di uno strumento, che gli serve nel suo lavoro – e questo implica un certo allontanamento.
Tale apertura del cuore e dello spirito rinforza l’anima e la vita spirituale. Ciò produce un grande paradosso: quando usciamo da noi stesse al fine di diventare una benedizione per gli altri, diventiamo migliori. Ed è questa attitudine di generosità che ci rende felici.
Ogni donna che vive nella luce dell’eternità può rispondere alla propria vocazione – poco importa che ciò avvenga nel matrimonio, in una comunità religiosa o in un mestiere secolare.
Le donne sono capaci di esprimere la propria femminilità in numerosissime maniere. Edith Stein definisce così tre grandi categorie di stati di vita possibili per la donna: sposa-madre, nubile “nel mondo” e nubile consacrata nella vita religiosa.
Per lei, tutte le donne che si lasciano guidare da Dio compiono il significato profondo della femminilità perché le donne sono particolarmente intuitive in fatto di scoperta di come amare. Essere donne non è rispondere a tutto un insieme di attese o di ideali arbitrari. Significa che ovunque la vita ci conduca, ogni situazione può essere nobilitata e resa degna mediante l’amore.
La filosofa tedesca pensa che tutte le donne sentano il bisogno fisico di diventare madri. Eppure ella stessa non ebbe figli. Però credeva che tutte le donne possiedano un istinto materno. Secondo lei
le donne cercano per natura di abbracciare ciò che è vivente, personale, e intero. Accudire, proteggere, nutrire ed educare – è tutto un desiderio naturale e materno.
In altri termini, le donne danno la vita e la nutrono per natura. L’amore femminile è un impulso naturale capace non soltanto di mettere al mondo dei bambini, ma anche di rendere possibili i sogni e di aiutare così alla crescita degli altri.
Edith Stein mostra così il cammino di una femminilità che ritrova la propria dignità. Ella riconosce il valore insostituibile della donna e riscopre la propria particolare maniera di apportare amore al mondo.
Marzena Wilkanowicz-Devoud/Michael Rennier [Traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]
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