Verso il termine dell'agosto 1887, si tenevano a Valsalice, sulla collina torinese, alcuni corsi di Esercizi Spirituali per i giovani che avevano chiesto di entrare nella Congregazione Salesiana. Don Bosco vi si recò, mettendosi a disposizione per le confessioni.
Dal 25 maggio non aveva più presieduto le riunioni del Capitolo Superiore della Congregazione, lasciando il compito al suo vicario don Rua. Partecipò a quella del 12 settembre, che si tenne a Valsalice.
Nella seconda metà di settembre si sentì male. Lo assaliva la febbre e violenti mali di capo. Alcuni giorni non poteva nemmeno celebrare Messa. Don Viglietti, suo segretario, nel diario di quei giorni annota: “Eppure è sempre allegro, lavora, scrive, dà udienza. Avrebbe bisogno di conforto, eppure è sempre lui a confortare gli altri”.
Una sera, sulla fine di settembre, mentre tentava di fare cena in camera, gli teneva compagnia don Veronesi, direttore della colonia agricola di Mogliano Veneto. A un tratto gli disse:
- Io ho ancora poco tempo da vivere. I Superiori della Congregazione non se ne persuadono, credono che don Bosco debba vivere ancora a lungo. Non mi rincresce morire. Ciò che mi fa pena sono i debiti della chiesa del Sacro Cuore. Pensare che si sono raccolti tanti denari. Ma quel caro don Dalmazzo è buono, ma non è un amministratore. Che cosa diranno i miei figli trovandosi quei pesi sulle spalle? Prega per l'anima mia. L'anno venturo, agli Esercizi, non ci sarò più.
Sentiva la solitudine fasciarlo a poco a poco.
Don Paolo Albera, ispettore delle Case salesiane di Francia, doveva partire. Andò a salutarlo. Don Bosco guardò con affetto il suo “Paolino”, e mormorò con le lacrime agli occhi:
- Anche tu te ne vai. Mi abbandonate tutti. So che don Bonetti partirà stasera. Don Rua se ne andrà anche lui. Mi lasciano qui solo.
Si mise a piangere in silenzio. Era un povero uomo stanco, che dopo tanto lavoro sentiva la solitudine fasciarlo a poco a poco. Anche don Albera si lasciò vincere dalla commozione. Allora don Bosco si fece forza:
- Non ti rimprovero mica, sai. Tu fai il tuo dovere. Ma io sono un povero vecchio. Pregherò per te, che Dio ti accompagni.
Prima di ridiscendere a Valdocco, don Bosco passò alcuni minuti con don Barberis, direttore di Valsalice. Teneva gli occhi fissi sullo scalone, e disse adagio:
- D'ora innanzi, starò io qui alla custodia di questa casa - Poi, dopo qualche istante: - Fai preparare il disegno.
Don Barberis credette accennasse all'ultima parte dell'edificio in costruzione.
- Lo farò preparare, e quest'inverno glielo presenterò.
- Non quest'inverno, ma la prossima primavera. Il disegno lo presenterai a don Rua. - E continuava a fissare lo scalone.
Sul pianerottolo di quello scalone, quattro mesi dopo, venne preparata la tomba di don Bosco. Il disegno del piccolo monumento che l'avrebbe adornata, don Barberis lo presentò davvero a don Rua nella primavera del 1888. E allora ricordò quelle parole misteriose.
Come una candela che si spegne.
Rientrò a Valdocco il 2 ottobre. I ragazzi l'accolsero con il loro entusiasmo. Lo accompagnarono gridando festosi attraverso tutto il cortile, fino alla scala che portava alla sua camera. I più grandi lo aiutarono a salire, gradino dopo gradino. Giunto lassù, don Bosco salutò con la mano dalla ringhiera, e i ragazzi gli risposero agitando le mani e gridando “Viva don Bosco”.
Era una candela che si andava spegnendo.
Celebrava la Messa nella cappelletta privata, ma sempre assistito da qualche sacerdote.
Stentava a parlare e a respirare. Ai visitatori diceva scherzando:
- Cerco due mantici di ricambio. I miei non funzionano più. 4 dicembre. Don Cerruti, incaricato dell'andamento generale dell'oratorio, sale a parlare con lui. Dopo un esame accurato delle cose, don Bosco gli dice:
- Ti vedo pallido. Come stai di salute? Abbiti riguardo. Fa' per te quello che faresti per don Bosco.
Don Cerruti si commuove, e lui:
- Coraggio, caro don Cerruti, in Paradiso vedrai che staremo allegri.
I segretari gli consegnano aperte le tante lettere in arrivo. Egli annota qualche parola come traccia di risposta. Non riesce più a rispondere di persona. L'ultima lettera a cui aggiunge personalmente due righe è indirizzata alla signora Broquier: “Diamo molto, se vogliamo ottenere molto. Dio la benedica e la guidi”.
Durante la Messa il respiro gli manca. Celebra il giorno 4 e il giorno 6. Domenica 11 vorrà ritentare. Arriverà alla fine prostrato. Sarà la sua ultima Messa.
Arriva monsignor Cagliero.
La sera del 7 dicembre arriva dall'America mons. Cagliero. Don Rua gli ha telegrafato: “Papà è in stato allarmante”. È partito subito.
Mentre il vescovo passa per il cortile, i ragazzi gli fanno dimostrazioni festose. Ma lui alza gli occhi lassù, alle finestre chiuse dietro cui don Bosco si sta spegnendo. Entra nella stanza. Don Bosco è seduto su un modesto sofà. Mons. Cagliero s'inginocchia davanti a lui, che lo abbraccia, lo stringe al cuore, appoggia la fronte sulla sua spalla. La forza e il coraggio di questo suo antico ragazzo gli ridanno vita. Gli sfiora il petto, dove nella violenta caduta sulle Ande si è spezzato due costole, e gli domanda:
- Stai bene adesso?
- Sì, don Bosco. Sto proprio bene -. I suoi occhi intanto fissano don Bosco: com'è invecchiato, come s'è consumato in tre anni.
Passano la serata insieme, seduti su quel sofà. Il vescovo gli racconta tante cose delle missioni, dei salesiani che lavorano laggiù, degli indigeni che hanno salvato e battezzato a migliaia. E a un tratto, come quando era ragazzo, gli chiede:
- Don Bosco, mi confessi.
I consigli che don Bosco gli dà in quella serata il vescovo li scrive su un foglio che porterà con sé in America. Don Bosco, tra l'altro, gli ha detto: “Desidero che ti fermi fino a che saranno sistemate tutte le cose dopo la mia morte. Di' a tutti i salesiani che lavorino con zelo e ardore: lavoro, lavoro.
Vogliatevi tutti bene come fratelli: amatevi, aiutatevi, sopportatevi”.
Nei giorni seguenti, don Bosco gli parla ancora a lungo. A un tratto, come angustiato, gli dice:
- Sono agli ultimi della vita. Ora tocca a voi lavorare, salvare la gioventù. Ma devo manifestarti un timore. Temo che qualcuno dei nostri abbia a interpretare male l'affetto che don Bosco ha avuto per i giovani, che si sia lasciato trasportare da troppa sensibilità verso di loro. E prenda questo come giustificazione per affezionarsi in maniera sconsiderata a qualche creatura.
- Stia tranquillo, don Bosco. Nessuno di noi ha mai interpretato male il suo modo di trattare i ragazzi. E quanto al timore che qualcuno ne prenda pretesto, lasci il pensiero a me: questa raccomandazione la ripeteremo a tutti.
16 dicembre. Il medico ordina una passeggiata in carrozza: l'aria libera gli farà bene. Don Rua e don Viglietti lo reggono per la scala e lo accompagnano. Al ritorno, mentre la carrozza risale lentamente corso Vittorio Emanuele, don Viglietti vede sotto i portici il cardinale Alimonda. Don Bosco gli dice:
- Vallo a pregare di venire un momento. Desidero parlargli, ma non posso camminare fin là.
Il cardinale, appena sentito Viglietti, affretta il passo verso la carrozza, allarga le braccia ed esclama:
- Oh, don Bosco, don Bosco!
Sale in vettura, lo abbraccia, lo bacia con effusione. Don Rua è sceso. Il cardinale e don Bosco parlano per mezz'ora, mentre la carrozza prosegue piano piano fino in via Cernaia.
Pensieri che hanno sapore di eternità.
17 dicembre. Le forze cominciano ad abbandonarlo completamente. È sabato. Fuori della stanza attendono una trentina di ragazzi per confessarsi da lui. Dice a don Viglietti:
- Non me la sento proprio. Poi, dopo qualche istante:
- Eppure è l'ultima volta che potrò confessarli. È l'ultima volta. Di' che vengano.
18 dicembre. Viene a trovarlo don Eugenio Reffo, dei Giuseppini. Gli dice dolcemente:
- Mio caro, ti ho sempre amato e sempre ti amerò. Sono al termine dei miei giorni.
Prega per me, e io pregherò per te.
19 dicembre. Don Viglietti lo trova così sollevato che lo prega di scrivere poche parole su alcune immagini che manderà ai Cooperatori. Don Bosco risponde: “Volentieri”. Semisdraiato sul divano, con una tavoletta di legno davanti, scrive sul retro di due immagini:
“O Maria, otteneteci da Gesù la sanità del corpo, se essa è bene per l'anima, ma assicurateci la salvezza eterna”.
“Fate presto opere buone, perché può mancarvene il tempo”.
A questo punto si ferma.
- Ma sai - dice meravigliato a don Viglietti - che non so proprio più scrivere? Sono troppo stanco.
Don Viglietti gli suggerisce di smettere, ma lui:
- No, devo continuare. Questa è l'ultima volta che scrivo -. E continua lentamente a tracciare pensieri sulle immaginette. Pensieri che hanno tutti sapore di eternità: “Beati coloro che si danno a Dio per sempre nella gioventù”.
“Chi ritarda di darsi a Dio, è in grande pericolo di perdere l'anima”. “Figliuoli miei, conservate il tempo, e il tempo conserverà voi in eterno”. “Se facciamo bene, troveremo bene in questa vita e nell'altra”.
“Chi semina opere buone, raccoglie buon frutto”.
“In fine della vita si raccoglie il frutto delle buone opere”.
Don Viglietti, che gli è accanto, letta quest'ultima frase non riesce a frenare le lacrime, e dice:
- Ma don Bosco, scriva qualcosa di più allegro -. E lui, scherzando:
- Ma che ragazzo sei, Carluccio. Non piangere. Te l'ho già detto che sono le ultime parole che scrivo. Ad ogni modo, cercherò di obbedirti. E riprende a scrivere: “Dio ci benedica e ci scampi da ogni male”.
“Date molto ai poveri, se volete divenire ricchi”.
“Date e vi sarà dato”.
“Che Dio ci benedica, e la santa Vergine sia nostra guida in tutti i pericoli della vita”.
“I giovanetti sono la delizia di Gesù e di Maria”.
“Dio benedica e compensi largamente tutti i nostri benefattori”.
“O Maria, siate la salvezza mia”.
A questo punto, senza accorgersene, don Bosco torna a scrivere pensieri che sanno di eternità:
“Chi salva l'anima, salva tutto. Chi perde l'anima perde tutto”.
“Chi protegge i poveri, sarà largamente ricompensato al divin Tribunale”. “Che grande ricompensa avremo di tutto il bene che facciamo in vita!”. “Chi fa bene in vita, trova bene in morte”.
“In Paradiso si godono tutti i beni, in eterno”.
Fu l'ultima frase che scrisse, con la grafia ormai quasi incomprensibile.
Il silenzio nel grande cortile.
Quella stessa mattina diede le ultime udienze. Da quasi quarant' anni consacrava tutte le mattine a consigliare, benedire, consolare, soccorrere, rallegrare quelli che desideravano parlargli. Fu una fatica grande della sua vita. La lunga serie di quelle visite si chiuse con quella della contessa Mocenigo. Erano le 12,30 del giorno 20 dicembre.
Alla sera, il medico ordinò una nuova passeggiata in carrozza. Aveva assolutamente bisogno di aria libera. Nonostante le sue proteste, lo portarono giù per le scale di peso, su un seggiolone. Mentre la carrozza percorre lentamente corso Regina Margherita, uno sconosciuto la ferma. È un signore di Pinerolo, allievo dell'oratorio dei primi tempi. Don Bosco lo riconosce, lo abbraccia:
- Mio caro, come vanno le tue cose?
- Così così. Preghi per me. Mi hanno detto alla portineria che lei sarebbe passato di qui, e l'ho voluta salutare.
- Bravo. E nell'anima come stai?
- Procuro di essere sempre un degno allievo di don Bosco.
- Bravo, bravo. Dio ti ricompenserà. Prega per me. Vivi sempre da buon cristiano. Pareva che l'aria libera gli avesse fatto bene, invece il medico Albertotti, appena arrivò, lo trovò molto aggravato. Lo fece mettere a letto. Era lì il chierico Festa, che domandò a don Bosco:
- Come si sente?
- Ora non mi resta che fare una buona conclusione. Dal 20 al 31 dicembre, la fine parve imminente.
Il coadiutore Pietro Enria, che lo vegliava tutte le notti, riassunse quelle penose giornate con due parole: “Pativa e taceva”. La febbre è alta, il respiro affannoso. Il medico dice:
- Occorre assolutamente che si nutra.
Don Viglietti, accanto al letto, cerca di fargli prendere una minestrina. Don Bosco allunga la mano per prendere la scodella, ma Viglietti desidera reggerla lui. E don Bosco scherza:
- Già, me la vuoi mangiare tu, eh?
Nel grande cortile affollato di ragazzi si sente un silenzio insolito. Anche i più piccoli guardano a quella finestra, dove il loro grande amico sta morendo.
“Adesso ho bisogno che lo dicano a me”.
23 dicembre. A mezzogiorno sembra la fine. Don Bosco mormora:
- Qualcuno stia pronto a darmi l'Unzione degli infermi.
C'è don Bonetti accanto al suo letto. A un tratto gli stringe con forza la mano:
- Sii sempre il sostegno forte di don Rua.
Quando arriva mons. Cagliero, raduna le forze e gli dice:
- Dirai al Papa che la Congregazione e i salesiani hanno per scopo speciale di sostenere l'autorità della Santa Sede, dovunque si trovino, dovunque lavorino. Voi andrete, protetti dal Papa, nell’Africa. L'attraverserete. Andrete nell'Asia e altrove. Abbiate fede.
C'è Giuseppe Buzzetti, lì accanto, con la sua rossa barba imponente. Don Bosco non può parlare, ma cerca di scherzare lo stesso facendogli il saluto militare. Poi riesce a mormorare:
- Oh, il mio caro! Sei sempre il mio caro.
Verso sera, seduto accanto a lui è il missionario don Cassini, tornato dall'America con mons. Cagliero. Don Bosco gli sussurra all'orecchio:
- So che tua mamma è povera. Parlami liberamente, e solo a me, senza che debba dire a nessuno i tuoi segreti. Ti darò tutto ciò che credi necessario.
Pietro Enria gli fa i servizi più umili. Don Bosco lo guarda con riconoscenza, gli dice con un filo di voce:
- Povero Pietro. Abbi pazienza.
- Oh, don Bosco. Io darei la vita per la sua guarigione. E non soltanto io, sa? Ma molti che le vogliamo bene.
- L'unico distacco che proverò nel morire - riesce a rispondergli don Bosco - sarà quello di dovermi separare da voi.
È già tardi quando arriva il cardinale Alimonda. L'hanno avvisato che questa può essere l'ultima notte di don Bosco. Arriva, lo abbraccia, lo bacia. Don Bosco si sforza di dirgli qualche parola:
- Eminenza, preghi perché possa salvare l'anima mia.
- Ma lei, don Bosco, non deve temere di morire. Ha raccomandato tante volte agli altri di star preparati!
- Sì... e adesso ho bisogno che lo dicano a me.
Nel mattino del 24 gli portano il Viatico, e mons. Cagliero gli amministra l'Unzione degli infermi.
Si verifica un lieve miglioramento.
26 dicembre. Viene a trovarlo Carlo Tomatis, allievo dell'oratorio ai tempi di Domenico Savio. Porta a don Bosco il suo ragazzo, perché lo benedica. Ma non pensava di trovarlo così devastato dalla malattia. S'inginocchia ai piedi del letto, riesce a dire soltanto: “Oh, don Bosco! oh don Bosco!”. Quando esce dalla stanza, don Bosco fa cenno a don Rua che si curva su di lui:
- Sai che si trova in difficoltà -- gli mormora -. Paga loro il viaggio a mio nome.
Nella stessa giornata viene a fargli visita madre Caterina Daghero. Gli chiede la benedizione per tutte le Figlie di M. Ausiliatrice. Don Bosco mormora:
- Sì, sì, benedico tutte le case delle Figlie di Maria Ausiliatrice, benedico la superiora generale e tutte le sorelle. Procurino di salvare molte anime.
Il medico ha prescritto al malato perfetto silenzio e nessuna visita. Don Bosco passa le giornate assopito, in un dormi-veglia continuo.
29 dicembre. Al termine della giornata, fa chiamare don Rua e mons. Cagliero. Li prende per mano, e dice adagio:
- Vogliatevi bene come fratelli. Amatevi, aiutatevi e sopportatevi a vicenda come fratelli. L'aiuto di Dio e di Maria Ausiliatrice non vi mancherà. Promettetemi di amarvi come fratelli.
Nella notte chiede a Enria un sorso d'acqua. Poi gli dice: - Bisogna imparare a vivere e a morire.
L'ora in cui tornano i “mostri”.
Sembrava la fine. E invece dal 1° al 20 gennaio ci fu un miglioramento incredibile. Sembrava che la salute tornasse, che il vecchio tronco rifiorisse. Fu un tempo regalato da Dio, ma anche una speranza che si spense rapidamente.
21 gennaio. Mons. Cagliero entra nella stanza:
- Caro don Bosco, sembra che il pericolo che noi temevamo sia scongiurato. Mi chiamano a Lu per la festa patronale. È un paese che ci ha dato tanti bravi missionari e tante suore. Poi andrò a fare una breve visita ai nostri ragazzi di Borgo S. Martino.
- Vai, sono contento. Ma fa presto.
La mattina del 22 troncò ogni speranza. Don Bosco tornò a peggiorare rapidamente. Pomeriggio del 24 gennaio. Le condizioni sono tornate pessime. I medici dicono che si può perderlo da un momento all'altro. È tornato l'assopimento pesante, il dormi-veglia in cui inizia il delirio.
Pietro Enria, che è sempre presente, vede che a un tratto batte le mani, sente che cerca di gridare:
- Accorrete, accorrete presto a salvare quei giovani! Maria Santissima, aiutateli. Madre, Madre!
Qualcuno ha detto che in queste frasi pronunciate nel delirio, don Bosco manifestava timore nei riguardi dei giovani, non senso di fiducia. La migliore psicologia afferma oggi il contrario: i sentimenti, le paure che si sono “rimosse” con grande sforzo di volontà durante tutta la vita, in questi momenti sembrano tornare a vivere. Sono i “fantasmi”, i “mostri” che si ripresentano, uscendo dalle gabbie dell'inconscio quando la volontà (che li aveva incatenati) è paralizzata, annullata dal sonno della malattia.
Dai lontani anni del Seminario, don Bosco portava (sedimentato ormai nell'inconscio) uno schema di educazione condensato nel binomio timore-sfiducia. Ma per tutta la vita, guidato dal suo amore per i ragazzi, l'aveva rovesciato in un altro binomio: amicizia-fiducia. L'aveva dimostrato ancora poco tempo prima la sua singolare maniera di confessare un ragazzo timoroso, Luigi Orione.
Paradossalmente, ciò che in questo momento sembra vincere in lui, è ciò che è stato vinto da lui in tutta la vita.
“Dite ai miei ragazzi”.
26 gennaio. È tornato mons. Cagliero. Si reca immediatamente al letto dell'ammalato. Capisce che la cosa è gravissima, ma tenta di “sapere” da don Bosco se vi è ancora una speranza. Gli dice:
- Mi chiamano a Roma. Posso andare?
- Andrai, ma dopo -. La sua bella voce è ormai un'ombra.
I dolori sono a volte intollerabili. Don Lemoyne gli suggerisce:
- Pensi a Gesù sulla croce. Anche lui soffriva senza potersi muovere.
- Sì, è quello che faccio sempre.
Il 27 e la mattina del 28 sono cancellati da un continuo vaneggiare.
Pomeriggio del 28. La coscienza di don Bosco riemerge in uno degli ultimi momenti di lucidità piena. Gli è accanto don Bonetti. Don Bosco mormora:
- Dite ai miei ragazzi che li aspetto tutti in Paradiso. Nella giornata del 29 i medici lo trovano gravissimo. Il dottor Fissore gli dice:
- Coraggio, domani le cose potrebbero andare meglio -. E lui, con lo sguardo ormai errante:
- Domani?... Domani?... Farò un viaggio lungo. Nelle prime ore della notte dice a voce alta:
- Paolino, Paolino, dove sei? Perché non vieni? -. Don Paolo Albera, ispettore delle opere salesiane in Francia, non è ancora arrivato.
30 gennaio. In un momento di lucidità mormora a don Rua:
- Fatti amare.
Verso l'una pomeridiana, accanto al suo letto sono Giuseppe Buzzetti e don Viglietti.
Don Bosco spalanca gli occhi, tenta di sorridere. Alza la mano sinistra e li saluta. Buzzetti scoppia a piangere.
31 gennaio. Verso le due dopo la mezzanotte don Rua s'accorge che le cose precipitano. Indossa la stola e inizia le preghiere per gli agonizzanti. Vengono chiamati in fretta gli altri superiori della Congregazione.
Quando arriva mons. Cagliero, don Rua gli cede la stola, passa alla destra di don Bosco, si china al suo orecchio e gli dice:
- Don Bosco, siamo qui noi, i suoi figli. Le domandiamo per dono di tutti i dispiaceri che per causa nostra ha dovuto soffrire. Come segno di perdono e di paterna bontà, ci dia ancora una volta la sua benedizione. Io le condurrò la mano e pronuncerò la formula della benedizione.
Don Rua alza la mano destra ormai insensibile e dice parole di benedizione per i salesiani presenti e per quelli lontani.
Nella camera risuona il rantolo del morente.
Alle quattro e mezzo cessa di colpo. Il respiro si fa corto per pochi istanti poi si spegne. Don Belmonte quasi grida:
- Don Bosco muore!
Tre respiri faticosi, a breve intervallo. Mons. Cagliero dice a voce alta la preghiera che ha imparato da lui quando era ragazzetto:
“Gesù, Giuseppe e Maria, vi dono il cuore e l'anima mia,
Gesù, Giuseppe e Maria, assistetemi nell'ultima agonia,
Gesù, Giuseppe e Maria, spiri in pace con voi l'anima mia”.
Poi si toglie la stola dal collo e la mette sulle spalle di don Bosco, che è entrato nella Luce.
Fine libro.
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