La vocazione è, per natura, feconda di nuove vocazioni, impone però anche il dovere cosciente dell'apostolato vocazionale...
del 01 gennaio 2002
Ci sono delle questioni che si collocano al confine tra la teologia e la psicologia pastorale della vocazione (trattare queste ultime sarebbe un andare oltre i limiti di questo abbozzo). Ne mettiamo in risalto tre.
1. È soltanto in via eccezionale che le vocazioni non sono mediate. Normalmente invece lo sono. Le vocazioni degli Apostoli in Giovanni (i, 35-51) sono doppiamente mediate: una prima volta tramite il Battista, il quale ha educato i due primi discepoli di Gesù in maniera tale che comprendono subito il suo riferimento all'Agnello di Dio, lasciano lui e seguono Gesù; sono poi mediate dagli stessi discepoli: è Andrea che recluta Pietro, e Filippo invita Natanaele.
La vocazione è, per natura, feconda di nuove vocazioni, impone però anche il dovere cosciente dell'apostolato vocazionale. Deriva da qui il severo obbligo non solo per i religiosi (ad esempio nei collegi), ma anche per tutto il clero, di mostrare, nella predicazione e nella catechesi, la via del dono totale di sé come la via-archetipa del cristiano: è su di essa che, in maniera unica (negli Apostoli e Maria) e per sempre, poggia la Chiesa.
Le ideologie che con potenza si oppongono a ciò all'interno della Chiesa e che fanno colpo oggi sui giovani, devono essere contestate a partire dalla profondità e dalla pienezza della Parola di Dio e dalla chiarezza dell'idea di sequela.
In questa opera gli animatori devono mostrare il cammino vocazionale per linee generali; il clero secolare non dovrebbe parlare come se fosse l'unica realtà che rende beati e i religiosi come se il loro ordine fosse il solo in questione. Religiosi e clero secolare non dovrebbero complottare nel porre in discredito, come irrilevante, non sperimentata, pericolosa, o come "mezza misura", la nuova via degli istituti secolari, fortemente raccomandata dalla Chiesa.
È totalmente assurdo e caratterialmente abietto deridere, definendole «superate", antiche congregazioni femminili con determinati scopi caritativi - ospedali, cura privata degli ammalati, scuole, orfanatrofi - e al tempo stesso approfittare con tutta naturalezza del loro aiuto totalmente indispensabile.
Tutti devono tener presenti: da una parte la totalità delle forme ecclesiali di vita e dall'altra parte la loro rispettiva ricchezza. Dappertutto c'è sempre qualcosa da riformare. Ma questo non avviene sensatamente né con il sarcasmo né con un aggiornamento esteriore (introducendo televisori ed eliminando la clausura), ma con un prendere di nuovo coscienza dell'intenzione del fondatore, più profondamente anzi: dei bisogni del Signore della Chiesa in vista della salvezza del mondo.
2. “Ogni vocazione che viene da Dio, è sempre pura e limpida” (Esercizi 172), non è dubbia, probabile e perciò angosciante ma, nel momento del definitivo si dell'uomo ad essa, è sicura al cento per cento e per questo è fonte di tranquillità e di gioia. La limpidezza può non esserci per vari motivi. Per motivi di natura etica in colui che è chiamato: egli non si spinge fino alla piena disponibilità, ma tiene ferme di fronte a Dio condizioni e riserve (è noto che il demolirle è lo scopo principale degli Esercizi di S. Ignazio).
Ma anche per cause che, colui che si ritiene chiamato, non riesce ad eliminare, come incapacità alla vita verginale (I Cor. 7, 9), ostacoli ecclesiali irremovibili. Dio vuole chi dona con gioia, anche se forse il dono diventa sempre più una croce; se manca la gioia originaria del donare (come in coloro che scelgono la via dei consigli o del sacerdozio perché è la più difficile: questo é in fondo ambizione), allora la vocazione non è autentica.
3. Le vocazioni possono essere differenziate oggettivamente e soggettivamente. Oggettivamente possono benissimo esserci differenziazioni secondo l'urgenza con la quale una chiamata proviene dal Signore. Essa può essere talmente grande che Dio semplicemente si impossessa dell'uomo di cui ha bisogno, quasi senza lasciargli spazio per un consenso, lo sopraffà come Paolo (cfr. I Cor. 9,17-18), o lo sconvolge come Natanaele, o semplicemente lo "prende con sé" come Filippo e Matteo.
Ma la chiamata può anche essere, per così dire, un invito supplichevole, presentato con quella discrezione umano-divina che costruisce sulla comprensione dell'uomo e sulla sua libera decisione. Può, infine, essere qualcosa come una "permissione" che, per amore dell'uomo che lo desidera, rende libera questa via (Mt. 19, 16s).
La differenziazione soggettiva deve essere distinta da quella oggettiva per il modo in cui percepisce la chiamata: all'improvviso e con l'assoluta coscienza di essere interpellato dall'alto, oppure lentamente e, per così dire, in maniera persuasiva dall'interno, oppure a partire dalle proprie riflessioni logiche secondo cui egli, in quanto credente che vuole indirizzare tutta la propria vita secondo la propria fede, vorrebbe, più di ogni altra cosa, offrirsi a Dio a pieno servizio.
I giovani cristiani che hanno a che fare con problemi vocazionali hanno urgentissima- mente bisogno di essere guidati da personalità esperte, oranti, di spirito meditativo, e oggi in maniera ancora più urgente che nel passato della storia della Chiesa poiché tutta l'atmosfera della Chiesa è appestata da slogans e ideologie non riflettute teologicamente, dal respiro breve, spesso addirittura "degne di un teppista".
Sarebbe augurabile se dei responsabili di tutti gli stati di vita - preti, religiosi, laici - si riunissero per chiarire oggi ulteriormente, dal punto di vista teologico, i problemi della vocazione e per cercare insieme vie di realizzazione.
Hans Urs von Balthasar
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