Accadde proprio qui a Nazareth?

In fondo, abbiamo tutti dieci anni Abbiamo bisogno di toccare con mano. Come a Cafarnao il paralitico che si fece calare dal tetto di una casa. Gli uomini, la loro attesa, ecco ciò che rimane sempre uguale Sulla riva del lago di Tiberiade, Bernardo chiede: «Ma le pietre sono le stesse di allora?». E se ne mette in tasca mezza dozzina: magari, dice, Gesù le ha calpestate...

Accadde proprio qui a Nazareth?

da Teologo Borèl

del 20 dicembre 2005

Vigilia di Natale, 2005 anni dopo. Sulla collina Nazareth di Galilea nel buio della notte è una distesa di luci. Luci di case e di botteghe, e della mole della Basilica dell'Annunciazione, e dai minareti alle sei l'eco della preghiera dei muezzin, mentre le madri spingono a casa i bambini. Una città in pace, dove convivono cristiani e islamici e ebrei. Dove nel mercato respiri quell'odore di caffè turco e spezie, che è il profumo di questa terra, e delle sue antiche annodate radici. Che strano, dice tuo figlio di dieci anni, per la prima volta qui nella sua vita, «mi immaginavo Nazareth come la figura di un libro, e invece è un posto di terra, ci sono le case, le strade, i bar». Un posto di terra e di pietra, disordinato e qua e là trasandato come le cittadine arabe, le case affastellate, odore di carne arrostita dai carretti degli ambulanti.

Ma avvenne proprio qui, in questo «posto di terra» tra le colline della Galilea. In un villaggio che duemila anni fa contava forse 500 abitanti. In nessuna delle capanne di quell'epoca gli archeologi hanno trovato tracce di ori o argento. Nulla che scintillasse. Non c'era un solo ricco, a Nazareth. Le truppe dell'imperatore Tito, che nel 70 dopo Cristo devastarono Gerusalemme per punire la rivolta dei giudei di qui non passarono. Per quei quattro straccioni, non ne valeva la pena.

Avvenne qui, il primo inizio. L'annuncio. Qui abitava la prescelta. La prediletta, fin dall'inizio dei tempi. Al cui confronto, questi duemila anni passati sono pochi. Ma così tanti per noi: così che, schiacciati sotto il peso di due millenni, e nell'opaca modestia di queste strade, la sproporzione di ciò che è accaduto ti ammutolisce.

Camminando nel buio dell'Avvento di Nazareth, senza le luci e le vetrine del Natale d'Occidente, nel silenzio il bambino ti rimanda come l'eco dei tuoi pensieri: «Ma come mai, è stato proprio qui?». La prediletta, la amata da sempre aveva quattordici anni ormai. Era giunto il momento. Da quanti mesi Dio la s tava osservando? «Verbum caro hic factum est», sta inciso sulla pietra nella grotta dell'Annunciazione.

Quella grotta larga due metri per due, in cui a stento si sta in piedi, era la casa di Maria. Già nel terzo secolo i pellegrini incidevano sulle pareti «Khaire Maria», Ave Maria, quando la tradizione orale dei luoghi era ancora viva. E poi, nei secoli, una dopo l'altra, l'avvicendarsi di chiese sempre distrutte e sempre ostinatamente ricostruite. Nella quiete dei giorni prima del Natale, prima che arrivino i pellegrini, quel «Verbum caro factum est» in una spelonca di tufo risuona con tutta la potenza di un Dio che ha amato un'adolescente, in un paese dimenticato dagli uomini.

Certo, si fa fatica. Tra le automobili, e i clacson, e la modernità in ritardo ma comunque arrivata, si fatica a pensare a come dovevano essere questi posti allora. Quando ci visse per trent'anni quell'uomo. Eppure è una necessità, e quasi un istinto per chi venga da lontano, cercando di quell'uomo le tracce. In realtà, ti inoltri per le vie oltre la strada principale continuando a fare questa marcia a ritroso: come poteva essere allora Nazareth, e cosa è rimasto uguale?

Getti l'occhio, nei vicoli del mercato, dentro a certe vecchie botteghe di fabbro, di panettiere, di falegname. Buie, anguste, con l'artigiano intento al lavoro in un angolo. Guardi quelle assi, senti l'odore di legno, l'uomo è assorto, non s'accorge dei passanti. Era tanto diversa quella lontana bottega? C'è almeno qualcosa che è intatto, o tutto è stato macinato dal tempo? Se lo chiedono, probabilmente, i pellegrini che camminano su queste pietre.

Cana. Le nozze del primo miracolo, furono davvero nel luogo dove si alza la piccola chiesa costruita nel 1880? L'identificazione dei luoghi non è certa. Nei sotterranei una grande giara di pietra è uguale a quelle che Gesù, piene d'acqua, indicò ai servi, e che arrivarono in tavola colme di vino buono. Salim, la guida dell'Opera Romana Pellegrinaggi, dice che ogni gruppo d i pellegrini chiede, qui, come altrove: ma è stato proprio qui? Quasi aggrappandosi, nell'immensità del tempo trascorso, alla certezza almeno delle pietre. Anche mio figlio lo chiede. (I bambini sono come la sezione aurea del pensiero degli adulti: colgono l'essenziale. Dove il 'qui' non allude solo al luogo fisico, ma, più ampiamente: è successo davvero?) Su Cana, l'identificazione esatta del luogo del banchetto non c'è. Fu in una casa, di questo villaggio.

Possiamo immaginare quella festa nuziale, come è d'uso, nella bella stagione, con un gran numero di invitati lietamente a tavola sotto a un pergolato. Canti, danze, bambini che correvano in cortile. E Cristo fra i commensali, e più in là sua madre, che s'accorge del vino che manca, e dell'ansia sul viso della sposa. Sa già bene chi è suo figlio, per rivolgergli quella preghiera sottovoce? Lui risponde bruscamente. Un momento dopo, un vino di un aroma straordinario colma i bicchieri. Cana. (È stato proprio qui? Qui, davvero?).

Ma ci sono in Galilea luoghi assolutamente certi. Come Tabgha. Dove Gesù moltiplicò i pani e i pesci. Nel 380 dopo Cristo, giunse in Terra Santa Egeria, pellegrina romana, che ha lasciato un dettagliato diario del suo viaggio. Tabgha, scriveva, era sul lago di Tiberiade, vicino a Cafarnao, lungo la romana via Maris. Egeria descrive un prato sul lago, sette fontane, dei palmizi, un altare di pietra da cui i pellegrini staccano schegge come reliquie. La pietra di Egeria è ancora visibile sotto l'altare della nuova chiesa. È scura, e tutta frammentata, come spezzata da migliaia di dita ansiose di portarsene a casa un pezzo. Le pietre, ecco cosa più tenacemente, tra le cose, ha retto al tempo. Come intuisce il figlio sulla riva del lago di Tiberiade, mentre la guida spiega che Pietro e gli altri apostoli qui andavano a pescare, e qui, dopo la resurrezione, a Pietro Cristo affidò la Chiesa. Bernardo: «Ma le pietre sono le stesse di allora?». E quindi se ne mette in tasca mezza dozzina: magari, dice, Gesù le ha calpestate.

Abbiamo poi tutti, in fondo, dieci anni. Abbiamo tutti bisogno di toccare con le mani. Come a Cafarnao, poco oltre sul lago, il paralitico aveva bisogno di toccare Cristo, e perciò si fece calare dal tetto di una casa. Dalla chiesa costruita sopra la casa della suocera di Pietro si vedono i resti del villaggio di allora, un villaggio miserabile, stanze di quattro metri quadrati in cui dormivano famiglie di dieci persone, chissà che calca sovrumana con quell'uomo che guariva i ciechi e i lebbrosi in una di quelle casupole, e altri sul tetto, addirittura, a calar giù il più disperato di tutti, in una bolgia di braccia, gambe, pianti, implorazioni. Cafarnao dei miracoli: numerose guarigioni avvennero qui. Ma la gente non si convertì e, come ad avverare la profezia di Cristo sulla sorte delle città incredule, Cafarnao che era allora fiorente di mercati, e frantoi, Cafarnao è oggi solo rovine.

Visto dall'alto del Monte delle Beatitudini, il lago è luminoso e quieto, enigmatico. Lo seguivano, è vero, quell'uomo, le folle, a piedi e per chilometri. Ma per i suoi prodigi, perché guariva dai mali, o per le sue parole? Beati i semplici, i miti, gli umili di cuore... Un andare contro il naturale egoismo, contro la legge del più forte, gli istinti antichi degli uomini. Quelle povere rovine di Cafarnao, impietrite per sempre davanti al grande lago chiaro. E tuo figlio, uomo come gli altri, che abbandonato nel sonno è del tutto simile ai figli degli uomini di duemila anni fa. Gli uomini, la loro attesa, ecco ciò che rimane sempre uguale.

Marina Corradi

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