Adolescenti e spiritualità: è un rapporto i cui due termini si attraggono o si respingono?...
del 06 ottobre 2005
 
 
 
Adolescenti e spiritualità: è un rapporto i cui due termini si attraggono o si respingono? La risposta, come la domanda, può suonare retorica: intendiamo evitarla, ponendo la questione in  termini dinamici, e cioè con le sue evidenze e i suoi imbarazzi.
 
 
IL TEMA NEL SUO CONTESTO VITALE
 
Prima di addentrarci nel nostro specifico argomento, è indispensabile, oggi più che mai, collocarci nel contesto del tema per configurare utilmente il testo e la sua interpretazione.
 
 
Ambiguità e ambivalenza
 
Una costante odierna sta nel costatare che nella società moderna proliferano proposte molteplici e differenziate. L'adolescente si trova di fatto davanti a numerose possibilità di scelta, come eccedenza di opportunità. E d'istinto avverte che non è più vincolato a seguire responsabilmente un unico modello di vita. Si trova di fronte alla sfida della scelta soggettiva.
Alla responsabilità personale è affidata la ricerca delle motivazioni del proprio agire e progettare, il cui passaggio obbligato è percorrere le ragioni della mente e del cuore insieme.
Ma due categorie interpretative attraversano, specialmente oggi, il tessuto culturale e il vissuto personale: l'ambiguità e l'ambivalenza. Queste sembrano intaccare ogni espressione umana, anche la più trasparente ed univoca (analisi dell'inconscio, cultura del sospetto, scienze ermeneutiche).
Il complesso intreccio delle situazioni rende sovente difficoltosa, sotto il profilo esistenziale, una distinzione netta tra il vero da riconoscere e il falso da respingere. Il compromesso appare una mediazione, e l'ambiguità una necessaria imposizione: un gesto (autoerotismo) è fatalmente negativo o positivo a seconda dell'aspetto su cui viene valutato.
Così la scelta di valori (libertà) non può essere data per scontata nella sua valenza: essa viene intaccata da una determinante ambivalenza. La motivazione interiore ne invera la validità, per cui qualsiasi buon gesto può divenire riprovevole.
 
 
Adolescente e adolescenti
 
Si suole spesso parlare di universo o pianeta adolescenti, ma con quale significato o con che approccio?
E' caduta ormai l'illusione di capire l'identità della condizione giovanile, quasi fosse una categoria omologante. Ci è chiaro che non esiste l'adolescente bensì ci sono adolescenti, nella loro soggettività. L'approccio quindi al loro mondo non può essere che diversificato nella cultura e differenziato nell'esperienza. Di certo si colgono delle sensibilità comuni o delle istanze condivise. Ma l'articolazione delle identità è d'obbligo.
Decisivo per l'educatore sarà valutare la fase di sviluppo del soggetto. Quanto si perde nel sincronico, lo si acquista nel diacronico, ossia nel percorso delle fasi di sviluppo, che mantengono una loro valida configurazione evolutiva.
La preadolescenza allora merita attenzione come l'età di una nuova crescita: è l'esplosione della vita in transizione nelle diverse espressioni e direzioni. L'adolescenza rappresenta la fase dell'accestire: è l'implosione della vita che costruisce identità dal di dentro, ponendone la piattaforma di lancio. La giovinezza viene considerata come la fase della fioritura di un'identità debole: siamo nella faticosa scelta dei riferimenti di vita, cui affidare il senso e aggrappare gli impegni.
 
 
Spiritualità e formazione
 
E' un binomio che appare in dissidio, eppure i termini si richiamano, anche se in dipendenza da una loro determinata concezione.
Spiritualità può assumere più accezioni. A noi interessa configurare una precisa proposta.
La consideriamo come uno stile di vita che intesse l'esistenza, e non una semplice parentesi di intensità religiosa; la guardiamo svilupparsi nell'intreccio del vivere quotidiano, che ne svela il mistero, e non nella straordinarietà degli eventi; la proponiamo immersa nel mistero del Signore della vita, da cui scaturisce l'impegno, e non indaffarata nei percorsi ascetici, che rincorrono valori ispirativi e mistici.
Formazione è la carta vincente oggi: senza la sua mediazione non esiste crescita globale e integrale nello Spirito.
Gli educatori devono prenderne coscienza: si cresce spiritualmente formando.
E' finita l'epoca dell'informazione dottrinale e spirituale, che parla semplicemente alla mente e alla ragione. Così è al suo termine l'era della comunicazione, che si accontenta della trasparenza testimoniale, i cui canoni sono spesso difficilmente interpretabili o faticosamente trasferibili, a causa della differenza del linguaggio e della variazione dei linguaggi.
Oggi si punta sulla formazione come percorso educativo, che parla al soggetto come protagonista della propria vita, che lo interpella su tutte le espressioni della sua esperienza umana.
 
  
DETERMINANTI VITALI DEL PIANETA ADOLESCENTI
 
Alla ricerca di consonanza tra adolescente e spiritualità, facciamo emergere talune istanze che giocano un ruolo determinante nell'accoglienza di una proposta spirituale.      Da esse non possiamo astrarci, poiché sintonizzano con l'animo giovanile, sviluppandone la vitalità.
 
 
La realizzazione umana come tensione spirituale
 
La realizzazione dell'uomo in Dio è uno dei temi qualificanti nel dibattito odierno. Nel recente passato le proposte spirituali suonavano spesso come negazione o perlomeno ottundimento dell'umano. Nell'usuale modello di perfezione evangelica non trovava spazio il fattore umano, se non per essere controllato, quando non represso o combattuto. Le zone d'ombra venivano ignorate, per impegnarsi a canalizzare le energie di bene verso la santità.
Senza dubbio una certa concezione di spiritualità non ha favorito il vivere in pienezza la propria umanità, anzi ne ha ostacolato il cammino, consegnandosi a una malintesa ascesi.
Di contro, in questi scorsi anni, si è fatta avanti una nuova visione, in cui domina una attenzione esasperata alla propria realizzazione umana. Alberga in essa una sorta di idolatria, cui si consacrano energie vitali. Forse appare addirittura come una parola magica, risolutrice dell'autenticità di un progetto di vita. Così, se prima si accentuava indebitamente l'aspetto ideale e asettico della spiritualità, con il concetto di autorealizzazione si incatena la costruzione dell'identità spirituale alle proprie realizzazioni, e dunque alle qualità umane. Ma tale idolo avanza pretese da autosufficienza o da autoriferimento, condannando a morte la vita interiore.
L'adolescente si trova attanagliato in questo dilemma. E' vero che la sua voglia di vivere lo proietta verso la realizzazione di sé con tutte le sue forze. Egli è affascinato dalla vita che gli si apre davanti, così come è sospinto da un istinto vitale a perseguire quanto gli si schiude all'interno.
E tuttavia una falsa concezione del proprio progetto di vita gli fa correre il serio rischio di ripiegarlo su di sé, ad autoconsumazione del proprio esistere.
Il discernimento autentico avviene nella mediazione, che non dice compromesso, tra i due estremi, nella concessione di qualcosa. La realizzazione umana è invece il punto di partenza: ossia tutto fa perno sul farsi carico della propria realtà nel suo insieme, sia favorevole che problematica. Nell'uomo totale (Mounier) non si abolisce nulla di sé, anzi si coinvolge ogni impulso vitale attorno ad un nucleo centrale, come particelle attorno all'atomo. L'intera esperienza dell'adolescente, in ogni sua espressione e dimensione, deve venire assunta dall'istanza spirituale.
La questione si pone così nello stabilire il perno che sorregge l'impianto e nel trovare le interconnessioni con tutti gli aspetti della vita. In questo modo il vivere spirituale abbraccia tutto il vissuto dell'individuo, chiedendo di dare il meglio di se stessi. Così il dono dello Spirito si incarna in una persona, che lo rende visibile e palpabile, in uno stile singolare. E così la sequela di Cristo è dono accolto con gratitudine e insieme impegno umano per lo sviluppo della pienezza di vita in ciascuno. L'esito è il profilo di un adolescente storico, fenomenico, quotidiano, che valorizza doni e talenti per riferirli al suo centro vitale, e assume i propri limiti e infedeltà sperimentando la sua povertà radicale di fronte a Dio
E' un progetto che prende volto, mentre viene costantemente riferito a una salda roccia, che è il Signore della vita, e al contempo è una proposta che valorizza al massimo quanto è espressione della vita giovanile, sia nell'intimità della persona che nelle manifestazioni visibili.
 
 
Un insieme di nuovi valori come percorsi spirituali
 
Non intendo favorire il giovanilismo, e tuttavia, al di là delle variazioni dei risultati di inchieste sui valori degli adolescenti e nella consapevolezza e della mutata accezione di valore in raffronto al bisogno, emerge con chiarezza la ricerca da parte dell'adolescente di valori che facciano da supporto alla propria vita.
Nonostante il loro disagio, i giovani esprimono anche oggi le speranze dell'umanità e «portano in sé gli ideali che si fanno strada nella storia» (OP 90, 44). La giovinezza è «una ricchezza singolare», un patrimonio di potenzialità e di valori: è voglia di scoperta, potenza di prospettiva, forza di scelta, si appassiona alla vita, ha voglia d'i felicità, rincorre la novità.
Li denominiamo nuovi valori, quelli degli adolescenti, perché si collocano nella prospettiva dell'esigenza di qualità di vita o qualità totale, percepita soprattutto dalle giovani generazioni. Essi scaturiscono fondamentalmente dalla coscienza della propria soggettività e dalla scoperta della solidarietà come dimensioni etiche dell'esistenza. E' pur vero che la soggettività è sottoposta alla dinamica dell'ambivalenza e che la solidarietà risulta essere più una conquista che un dato, ma è altrettanto evidente che la novità dei valori adolescenziali è reale, poiché vengono rivestiti della sensibilità culturale odierna (nuova cittadinanza, impegno sociale, riconoscimento dei diritti umani...) e si collocano nella prospettiva del futuro.
La questione decisiva sta nell'educare ai valori. Se valore è ciò che sveglia l'intelligenza e la motivazione interiore, allora non resta che predisporre, animare, accompagnare. E' il cammino dell'interiorizzazione che comporta il coinvolgimento di tutta la persona in ogni sua potenzialità. Si anticipa anzitutto nell'esperienza la percezione del valore come gratificante o significativo. In secondo luogo lo si comprende nella ricerca delle ragioni, che danno continuità all'esperienza e consenso consapevole.
Quindi perché il valore venga radicato nel quotidiano come stile di vita, lo si realizza nella diversità delle situazioni, tanto da farne parte di un progetto di vita. E infine si deve scandagliare la motivazione decisiva che fa vivere il valore, tanto da far scommettere su di esso nella completa gratuità. Il valore diventa definitivo, perché trova nel suo senso ultimo il fondamento: diviene risposta ad una chiamata di vita che impegna.           
Ogni valore può rappresentare un percorso di spiritualità. L'attenzione alla libertà della persona può trasformarsi in rispetto della sua dignità come creatura di Dio; la voglia di autenticità può condurre alla trasparenza di una vita consegnata a Dio; la ricerca della giustizia si, completa nell'impegno della solidarietà; l'interesse ecologico e all'ambiente può divenire ammirazione e salvaguardia del creato... Tutti i valori possono essere ricondotti alla vita teologale di fede, speranza e carità. Si tratta solo di riconoscere che ogni tessera serve a comporre il mosaico e che questo viene pazientemente costruito.
 
 
Un sentimento religioso che apre all'Altro
 
L'adolescenza può essere correttamente configurata come l'età della transizione. E' tale anche riguardo alla religiosità.
Non è difficile ammettere che il momento religioso è altamente problematico per l'adolescente: forse è troppo parlare di sconvolgimento, ma senza dubbio si tratta di una energica revisione. Egli passa al vaglio critico i motivi della sua pratica religiosa, si raffronta con l'universo della fede nella sua inaccessibilità, viene attraversato da dubbi. Al contempo però rimane aggrappato emotivamente alla religione: si affida quasi per istinto ad un Dio intuito. Per questo gli è cara la tematica dell'intimità con Dio. La sua spontanea tensione morale gli fa utilizzare la religione a soluzione dei suoi problemi personali: per alleviare il senso di colpa, per nutrire l'io ideale, per evitare collassi di impegno etico. Eppure trova la sua fonte in Dio.
Ci è noto il volto dell'adolescente: ne contestualizza il senso religioso. Quella degli adolescenti non è oggi una generazione in conflitto: pur pensando diversamente, si adeguano con facilità. Il loro è un disagio dovuto alla controdipendenza, quasi passaggio obbligato verso l'autonomia. Sono adolescenti tutti concentrati sulle esperienze personali e contingenti: il proprio presente li attira e coinvolge. Così gli slanci per il futuro non sono un loro patrimonio, per cui la crescita verso un'identità adulta è assai lenta. I drammi vengono consumati il più delle volte nel loro mondo interiore, che prevale rispetto al dato sociale e culturale. Sembra quasi che l'adolescente intenda «fermare il tempo» per poter afferrare il suo io, voglia «sperimentare» le varie opportunità per non lasciarsi sfuggire il presente, faccia la «selezione» degli elementi culturali e delle norme sociali a servizio del proprio spazio di vita.
Di fronte a questo quadro di identità «a bassa tensione», dovuta all'ambivalenza dell'io e all'ambiguità del cambiamento, si colloca il tema della spiritualità, che appare come ancora.
Anzi, forse si impone più come sfida, perché nella faticosa ricerca dell'identità l'adolescente scopra limpida l'alterità che provoca la sua autentica crescita.
La persona è considerata così come vocazione radicale all'alterità (Lévinas) e quale soggetto comunicativo che intrattiene relazioni indispensabili alla maturazione. Oggi però prende spazio un sentimento che si ravvisa in una vaga religiosità o nel sincretismo religioso (es. New Age). E' la sensazione di essere parte di un «consapevolezza universale», che satura il bisogno umano di trascendersi. La nostra proposta va verso una spiritualità sapienziale, che sta nell'avvertire profondamente il rapporto con Dio, soffrendone la distanza e gustandone l'intimità (R. Otto). Il cuore dell'uomo diviene così saggio perché intuisce in che direzione cogliere il senso dell'esistenza e per che cosa lasciarsi appassionare nella vita. Tutto ciò si fonda non sulla logica del dovere, ma della libera decisione, non su un'astratta verità, ma su un'esperienza vitale. A tale scopo occorre sollecitare la scoperta del proprio io, facendo emergere quanto il giovane si porta dentro; è indispensabile riconoscere che l'altro mi interpella con la sua presenza e mi sfida alla comunione. Diviene allora compito dell'educatore non tanto constatare, quanto provocare rivolgendo l'appello ad andare oltre, nel tentativo di collocare il baricentro della vita al di là degli equilibri umani verso il dono di Dio.
Nell'azione educativa di questo percorso diventa fondamentale esibire all'adolescente, non immagini astratte, bensì delle metafore che evochino la sua esperienza. Le immagini bibliche sono impagabili, poiché frutto della storia vissuta di un incontro reale tra Dio e l'uomo.
Ma senza dubbio la metafora che più conquista nell'adolescenza è «l'amicizia». Il bisogno di intimità, la ricerca di confronto, il tessuto emotivo dell'adolescente fa di questa categoria uno dei percorsi privilegiati per accostare Gesù, il Salvatore e Redentore, al suo animo. Senz'altro non basta accontentarsi di avvicinare, occorre far sentire il fascino dell'«uomo perfetto» per conquistare al vigore divino del Signore della vita. Intanto però l'adolescente viene accompagnato a raccogliere e riorganizzare i frammenti della sua vita attorno ad un centro vitale, che è la persona di Cristo.
 
 
 DOMINANTI ESPRESSIVE DEL PIANETA ADOLESCENTI
 
All'indicazione di taluni aspetti vitali della spiritualità adolescenziale, non può mancare il richiamo alle sue dominanti espressive. I percorsi che suscitano i temi generatori della spiritualità sono decisivi. Non meno lo sono però le questioni del «come».
La modalità è oggi centrale nell'azione educativa, poiché essa non è un canale asettico o neutrale, bensì uno strumento che veicola e comunica, esprime e modella la vita.
 
 
     Esprimersi: linguaggi e silenzi
 
Pare che gli adolescenti francesi - così asserisce un'inchiesta - amino esprimere la loro religiosità nei momenti più straordinari e in modo inusuale. Ciò che sa di consuetudine o di formale viene evitato. Si ricercano gesti religiosi che rispondano alla spontaneità delle loro attese, e si rincorrono forme nuove di manifestare la fede al di fuori delle modalità consolidate.
Non è difficile immaginare che gli adolescenti italiani sintonizzino su questa lunghezza d'onda. La nostra stessa esperienza lo conferma: i momenti circostanziati e forti sono i privilegiati.
Una simile situazione pone con evidenza un problema: la modalità espressiva non è più secondaria, la forma mostra la sua sostanza, il linguaggio non risulta essere semplice strumento.
Siamo di fronte ad una moltiplicazione dei linguaggi, peraltro assai eterogenei. Gli adolescenti dimostrano di essere di casa nell'uso di linguaggi diversi (look, musica, danza, strada, coreografia, trasgressione...). Anzi la crisi del monopolio del linguaggio formale e l'esigenza dell'utilizzo di differenti linguaggi portano alla consapevolezza che ogni modalità espressiva presenta limiti, è riduttiva. Questo spiega la riscoperta del paradosso: il linguaggio del silenzio. Esso deriva dalla cosciente impossibilità di dire anche le pieghe più recondite del vissuto, di prendersi il tempo per abitare se stessi, per mettere in incubazione la parola. Il silenzio può essere allora il tempo dell'introspezione, dell'afferrare il proprio io per identificarlo alla luce degli eventi.
Alla base del linguaggio totale sta una concezione: il vissuto è considerato come frutto di un mescolarsi di riferimenti, un comporsi e ricomporsi di tessere eterogenee nel mosaico. Si avverte tutto l'influsso del linguaggio delle immagini, l'iconico, che non procede per ragionamenti lineari bensì per germinazione circolare, come un fiore che sboccia.
Il linguaggio «razionale» appare così riduttivo e univoco, non consono a esprimere la ricchezza dei vissuti, specie spirituali. Il ricorso alla dimensione simbolica del linguaggio non è allora marginale; anzi, al contrario, si rivela come la strada più adeguata a dar voce all'afflato dello spirito. Il linguaggio religioso è in effetti ricco di immagini, metafore, simboli. Del resto parla assai più della nostra radicale unione con Cristo «il tralcio unito alla vite», di un'infinità di disquisizioni razionali. In questo il linguaggio biblico sintonizza assai con quello degli adolescenti, che si sentono interpellati dai simboli che evocano il loro vissuto interiore.
L'educatore deve operare con sensibilità ermeneutica: gli atteggiamenti degli adolescenti sono meglio interpretati se letti come simboli di un sentire, se li si coglie nella pluralità dei loro significati. Spesso, la volontà di sottrarsi ad una cultura post-autoritaria, che impone di dirsi tutto a tempo pieno, di parlarsi per capire ad ogni costo, che impone il dialogo ad oltranza o di aver sempre da dire qualcosa su ogni cosa, ha la meglio nell'adolescente, che si abbandona alla spontaneità.
Forse la difficoltà di comprensione tra generazioni non deriva in primo luogo dalla diversità di orientamenti o prospettive, quanto piuttosto dalla dissintonia dei linguaggi: non ci si capisce, più che non essere d'accordo. Ed allora la funzione dell'animatore è strategica al riguardo, perché provoca a porsi sulla medesima lunghezza d'onda nella ricerca.
 
 
Comunicare: da testimoni ed educatori
 
Le considerazioni precedenti sollevano una questione eminentemente pedagogica. Qualcuno insiste sulla competenza tecnica che non deve mancare. E tuttavia il problema sta nel sapersi mettere in relazione per divenire mediatori di una proposta spirituale, ossia per tradurre in termini vitali la chiamata alla santità.
E' pur vero che la narrazione sembra la forma pi√π idonea per comunicare messaggi di valore, cionondimeno essa deve sapersi coniugare con la disposizione di una relazione trasparente e una comunicazione educativa.
La trasparenza proviene dall'autenticità del testimone, che racconta con semplicità e sincerità la sua esperienza, senza proporsi a modello, anzi riconoscendo la forza di Dio nella vita. Essa non comporta forme masochistiche o spogliate evidenze, bensì la carica del linguaggio dell'esperienza coniugato con quello della profondità. E' il linguaggio della logica della vita che per assaporare la crescita accoglie la legge del granello di frumento.
La forma moralistica di procedere porterà all'insuccesso, la modalità esemplare avvierà alla negazione, il modo contraffatto di comunicare provocherà continue interferenze.
In questa prospettiva il testimone chiede di essere educatore, che comunica con empatia e simpatia.
Per essere tale egli sa che bisogna chiamarsi per nome, ossia che non si può sfuggire anche al confronto serrato, poiché ciascuno è richiesto di essere se stesso.
Non ci si può coprire il volto per comunicare, e tanto meno celare il proprio animo.
Così, non si può evitare di dire male al male e bene al bene, dal momento che educare è proporre, è crescere insieme, è divenire compagni di viaggio verso una meta che ci è data. Chi bara con se stesso per compiacenza o froda l'amico per compassione, non è degno di essere chiamato educatore, tanto meno educatore alla fede. Certo, il compito educativo è un rischio, ma non ci si può sottrarre per pavidità.
 
 
Creare: cultura e modelli
 
E' intuibile che una simile lettura della situazione spirituale non può che collocarsi all'interno della cultura, e della cultura odierna. Una spiritualità o è inculturata o non è veramente tale. Essa deve raggiungere «i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita» (EN 19), ossia deve fermentare il tessuto culturale in cui il soggetto vive.
Se la proposta di spiritualità non è in grado di farsi presente nella cultura con un linguaggio comprensibile e provocante, risulta irrilevante per l'adolescente. Come sforzo di interpretare la realtà tutta, la cultura costituisce un sistema di significati, ossia l'insieme di percezioni del mondo, di immagini dell'uomo, di codici di comportamento, di giudizi di valore, di rapporti sociali, di processi di educazione, di celebrazioni e riti quotidiani. Questo universo di elementi va interpretato non in modo superficiale, ma penetrandolo dal di dentro, per farne emergere le potenzialità.
Occorre anche accettare la sfida di una cultura che rema controcorrente. Taluni progetti di vita, frutto della cultura moderna, rendono assai difficile il soggiorno evangelico.
La spinta «narcisistica» domina oggi. L'emblema è lo spontaneismo e il motore sta nel primato del desiderio. La vita si trasforma così in un inseguimento dei desideri, vissuti come assoluti, cui consacrare ogni energia. Conseguenza è una coscienza precaria e indebolita che non sa progettarsi.
Altrettanto incidente è la concezione di un uomo «debole». Ossia, è l'adolescente isolato senza storia, né passato né futuro, in solitudine con il suo presente. Rischia così di essere privato del suo mistero, poiché non sente l'impronta di Dio su di sé. La irrilevanza del trascendente sta dietro l'angolo giocando brutti scherzi di disorientamento e anomia.
Le provocazioni della cultura vanno affrontate, non si possono semplicemente scansare, come se non facessero parte della nostra vita peraltro si riproporrebbero reiteratamente con sempre maggior forza e ostentazione.
L'adolescente ha bisogno di modelli culturali, di concreti stili di vita per incarnare la sua spiritualità. Questa è certamente questione di mentalità, è senza dubbio fondata sulla relazione, ma, a completamento dell'opera educativa, necessita di figure reali in cui identificarsi o a cui riferirsi per uscire dall'indistinto del desiderio o dell'ideale.
I gesti hanno spesso maggior forza di tanti discorsi, pur illuminanti. E un buon sistema di relazioni permette di costruirsi dentro, se davanti a sé l'agire esprime l'essere, cioè l'azione dà voce percepibile a quanto nasce nell'interiorità.
 
 
 
COMUNITA' COME LUOGO DI CRESCITA SPIRITUALE
 
Sotto questo profilo, una comunità non può considerarsi tale se non è pedagogica, intenzionalmente educativa. Come luogo di comunicazione è nella condizione di creare un tessuto di relazioni educative e di cammini di crescita. La spinta educativa non è scontata in nessun ambiente, è piuttosto una scelta cosciente. E una comunità che non si rende abitabile agli adolescenti è la negazione dell'educazione.
Il primo passo infatti sta nel restituire all'adolescente il sentirsi di casa. Con il dialogo e il confronto si conseguono esiti che permettono la crescita. L'ambiente può essere trasformato in un laboratorio di spiritualità. Basta avviarsi seriamente nei cammini di fede.
Alla radice di tutto ciò deve stare la convinzione della presenza operante di Dio nell'impegno educativo, che ce la fa percepire come paternità. La professione della pedagogia di Dio ci anima: Egli vuol condividere la sua vita con i giovani. Con loro vuol diffondere il suo Regno tra gli uomini.
E la certezza che in loro Dio ha posto germi di vita nuova, ci spinge a renderli consapevoli di tale ricchezza c a farci compagni di viaggio, perché in tutti si possa sviluppare la vita in pienezza.
 
  Articolo tratto da: NOTE DI PASTORALE GIOVANILE. Proposte per la maturazione umana e cristiana dei ragazzi e dei giovani, a cura del Centro Salesiano Pastorale Giovanile - Roma.
Giovanni Battista Bosco
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