Il papa torna sul tema della prevenzione dell'Hiv attraverso la continenza e scoppia il caso. Vi proponiamo un contributo della pastorale giovanile di Genova, che fa chiarezza. Cosa ne pensate?
del 02 dicembre 2005
 
Giovedì 1 dicembre, Giornata Mondiale di Lotta all’AIDS. Credo di non sbagliarmi dicendo che noi genovesi abbiamo una sorta di debito nei confronti di questa giornata, in quanto la questione della lotta alle malattie nei paesi poveri era uno dei punti all’ordine del giorno del G8 di Genova.
 
 
Tutti sappiamo che la malattia che miete più vittime nel mondo è la malaria e quanto siano inadeguati gli sforzi fatti per la ricerca scientifica in questo ambito: la malaria non esiste più in occidente e quindi che interesse c’è a studiarla? Inoltre l’ipotetico vaccino dovrebbe essere venduto a persone che non avranno certamente i soldi per comprarlo (Africa e giù di lì) o, peggio ancora, qualcuno potrebbe pensare, ma mi rifiuto di crederlo, che tutto sommato sia meglio che un po’ di malaria rimanga, proprio per poter continuare a vendere cure palliative ma non risolutive del problema; un po’ come i virus dei computer che vengono messi in giro dalle ditte produttrici di antivirus.
 
Per quanto riguarda l’AIDS e la sieropositività, che al contrario esiste sia in occidente che nel resto del mondo, sappiamo che alcuni farmaci riduttori del danno esistono ma sono costosissimi in quanto frutto di notevoli investimenti a livello di ricerca fatti dalle case farmaceutiche e quindi brevettati.
 
Personalmente conosco una mia amica d’infanzia che oggi vive in Inghilterra, sieropositiva ormai da più di 15 anni, che si sta curando e sta abbastanza bene ma con spese mediche spaventose. Quando c’è di mezzo il denaro la questione diventa subito seria: la compassione cessa immediatamente per lasciare il posto alle leggi e ai conti. I milioni di morti di Aids ci pongono delle domande: chi deve fare la ricerca, solo le case farmaceutiche private o soprattutto gli stati e le università? Le scoperte devono solo servire al mercato o non dovrebbero essere messe al servizio dell’uomo? I brevetti hanno senso in questi ambiti? Ed eventualmente gli stati non dovrebbero essere loro a comprarli? Mi sembra che su questi temi ci possa essere spazio per un impegno civile e cristiano importante ed evidente.
 
Passo ora ad una seconda considerazione di tutt’altra natura, più complessa, anche se legata al 1 dicembre. Lo scorso anno, in questa ricorrenza, mi sono imbattuto in una distribuzione gratuita di preservativi nei pressi di una facoltà universitaria scientifica; non si fermava quasi nessuno e alcuni giovani erano visibilmente stizziti. Alcuni ridevano e tiravano dritti. Provo a immaginare le risposte silenziose: grazie, ma i meccanismi di trasmissione sessuale del Virus li conosco già e so, eventualmente come cautelarmi, oppure “grazie ma pochi euro per comprarmi una confezione di profilattici li ho anche io”.
 
Mi chiesi se quei preservativi non fossero per caso prodotti dalle stesse case farmaceutiche che si tengono ben stretti i brevetti delle medicine antiAIDS: probabilmente si; che strano progetto c’è dietro?
 
Andando avanti nella riflessione mi domandai che significato avesse un regalo di questo tipo: forse potrebbe avere un senso farlo ai tossicodipendenti, non certo agli studenti di biologia o di medicina! Anche i nostri fratelli e sorelle che sono finiti nella droga e nella prostituzione fortunatamente ci stanno molto attenti. Chi è finito nella droga ha bisogno di ben altro, ha bisogno di essere curato, amato, aiutato, capito, sostenuto, di qualcuno che si prenda cura di lui, ha bisogno di persone non certo di cose; se ci fermiamo al preservativo vuol dire che abbiamo capito davvero poco.
 
Beh, allora potremmo spedirli in Africa ed insegnare agli indigeni ad usarli!? L’Africa è invasa dai preservativi; gli africani sanno benissimo a cosa servono e come si calzano (non ci vuole molto: non so che idea di ”africano” abbiamo nella mente), eppure l’Aids dilaga, anzi i numeri aumentano. Le strade sono altre, non vi è dubbio. L’Africa ha bisogno di pane, acqua e scuole.
 
Un’ultima considerazione. Qualcuno, nei dibattiti televisivi, accuserà i discepoli di Gesù, la Chiesa, di “essere contro i preservativi” e quindi contro la salute e quindi contro l’uomo. Mi permetto di spiegare a questo proposito la differenza tra l’affermazione generale di un valore (l’uso del preservativo non aiuta a crescere l’amore) e le circostanze concrete in cui il valore viene vissuto. Mi spiego.
 
Pensate a un bicchiere di acqua sporca di fango, di pozzanghera: è la vostra bibita preferita? Certamente no, noi normalmente (attenzione a questa parola “normalmente”) beviamo acqua pulita per crescere sani; eppure per una persona che sta morendo di sete nel deserto, in una situazione di emergenza, in quella particolare circostanza anomala, una pozzanghera fangosa potrebbe essere la sua salvezza. I reni e lo stomaco non saranno certamente contenti di quella argilla che si depositerà, ma per ora, con gradualità. È necessario comporre l’affermazione di principio (l’acqua fangosa fa male) con le circostanze (in emergenza, se stai morendo di sete, bevi pure quest’acqua sporca) nella speranza che si arrivi al momento in cui tutti possano bere dell’acqua cristallina e pura.
 
Analogamente possiamo dire che normalmente un atteggiamento non aperto alla procreazione ferisce l’amore e non lo fa crescere, anzi alla lunga, come tanti bicchieri di acqua fangosa creano gravi problemi di salute, così l’uso contraccettivo creerà gravi problemi all’amore, allontanerà le persone anziché avvicinarle. Se un ragazzo o una ragazza fanno l’amore con chi gli capita, mettendosi a rischio di prendersi delle malattie è meglio che di profilattici se ne mettano 10, non uno, e ben robusti, parola di prete, ma subito dopo spero che qualcuno li accompagni da uno psicologo o da qualcuno che si occupi di loro!
 
I veri discepoli di Gesù tentano di scoprire, percorrere e indicare agli altri la strada che porta alla felicità e contemporaneamente si spendono, con i loro difetti, per accompagnare con gradualità chi è nel bisogno e desidera camminare su questa strada. Per capire queste cose bisogna però imparare la lezione di Socrate: essere umili, disposti a faticare, sapendo di non sapere, liberi dai condizionamenti e dalle ideologie, poveri, amanti della verità, sentendosi sempre in cammino, cominciando dal sottoscritto.
don Nicolò Anselmi
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