Fu proprio in quei momenti di sgomento per il gesto folle appena compiuto, intrisi del dolore della colpa, dell'orrore di un delitto premeditato, che si liberò il gesto più sublime e sorprendente: il perdono di Marietta. Senza esitazioni, senza condizioni, senza ripensamenti.
L’infanzia
La sua fu una vita tutt’altro che comune, interamente giocata tra due poli opposti: la colpa e il riscatto. Fin dall’infanzia ebbe a fare i conti con una situazione familiare tristemente singolare: una madre che non conobbe, morta pochi mesi dopo la sua nascita, mentre si trovava in una casa di cura per malati mentali; sette fratelli che moriranno tutti in circostanza drammatiche; i continui spostamenti della famiglia da un luogo ad un altro per motivi di lavoro, che non gli consentirono di stabilire legami solidi e duraturi con i suoi coetanei; un padre distante e poco attento alla sua formazione. Nessun confronto costruttivo, nessun conforto, nessuna educazione religiosa. Questo il quadro in cui il giovane Alessandro crebbe, con tutte le carenze, i vuoti e le storture del caso. Chi lo ha conosciuto, lo ha descritto come una persona taciturna, problematica.
Dal suo paese Natale, si spostò per recarsi a lavorare a Olevano Romano e infine a Paliano, dove conoscerà la famiglia Goretti nel 1896.
Alessandro e la famiglia Goretti
In un’età delicata, quale l’adolescenza, la presenza di una famiglia strutturata e dai ruoli ben delineati, come la famiglia Goretti, costituì un termine di paragone destabilizzante e conflittuale per Alessandro. Poi, con la morte prematura di Luigi Goretti, i rapporti tra le due famiglie cominciarono a deformarsi, generando squilibri e dinamiche negative: i Serenelli iniziarono ad esercitare una forma di potere non privo di prepotenza, le figure femminili della famiglia Goretti furono costrette ad assumere ruoli che non sarebbero stati di loro competenza, rendendo più pesante la loro quotidianità. La stessa Marietta si ritrovò precocemente ad essere la “donna di casa” e “a fare da mamma” ai fratelli più piccoli, mentre Assunta si recava a lavorare nei campi al posto del marito.
Il delitto – Il perdono di Marietta
Alessandro, invaghitosi della piccola Marietta che ormai vedeva cresciuta, e sempre più raggiungibile e indifesa, perché spesso sola in casa, non riuscì ad incanalare la sua attrazione ed i suoi istinti di giovane in un normale corteggiamento. Sentendosi rifiutato da lei più volte, lasciò che si facesse spazio nella sua mente un piano perverso e irrefrenabile: “Dopo il secondo tentativo, si formò più che mai il proposito di riuscire nello sfogo della mia passione e concepii anche l’idea di ucciderla se avesse continuato ad opporsi alle mie voglie”.
Così si consumò il delitto. Ma fu proprio in quei momenti di sgomento per il gesto folle appena compiuto, intrisi del dolore della colpa, dell’orrore di un delitto premeditato, che si liberò il gesto più sublime e sorprendente: il perdono di Marietta. Senza esitazioni, senza condizioni, senza ripensamenti.
Il carcere – Il riscatto di Alessandro
Alessandro venne subito arrestato e condotto nel carcere di Noto, dove rimase dal 12 febbraio 1903 al 21 maggio 1918. Qui avvennero due fatti che segnarono la sua vita, e che lo portarono a maturare il pentimento e la volontà di riscatto.
Dapprima un sogno: “Ero all’ultimo anno del tremendo cellulare. Avrei dovuto impazzire anch’io per tante sofferenze. Idee di disperazione mi turbavano nella mente, sempre più violente, quando una notte faccio un sogno. Mi vedo davanti ad un giardino, in un angolo tutto fiori bianchi e gigli. Ad un certo punto vedo scendere Marietta, bellissima e biancovestita. Man mano che coglieva i gigli me li presentava e mi diceva “prendi” e mi sorrideva come un angelo. Dinanzi a quel sorriso mi faccio animo ed accetto quei gigli fino ad averne le braccia colme. Presto però mi accorgo che quei gigli, tra le mie braccia, si trasformano in fiaccole. Marietta mi sorride ancora e sparisce. Mi sveglio di soprassalto e dico a me stesso: ormai mi salvo anch’io, perché sono certo che Marietta è venuta a trovarmi e a darmi il suo perdono. Da quel giorno non sento più l’orrore di prima per la mia vita”.
Poi il confronto con Mons. Blandini, Vescovo di Noto, a cui fece seguito, il 10 novembre 1910, una lettera a lui inviata, in cui Alessandro mostrò il suo pentimento e la sua volontà di riscatto. Uscirà dal carcere di Alghero l’11 marzo 1929, dopo 27 anni di reclusione, graziato per buona condotta.
Il convento – Il perdono di Assunta
I Cappuccini del convento di San Serafino, ad Ascoli Piceno, accolsero la richiesta di Alessandro di entrare in convento: “Non era un frate – racconta un religioso – ma visse fra di noi come un vero figlio di S. Francesco”. La scelta di trascorrere il resto della sua vita in un convento fu dettata sì dalle difficoltà incontrate durante il reinserimento in un mondo che lo giudicava per quanto aveva commesso, ma soprattutto si maturò grazie al desiderio e alla volontà di portare a compimento il suo riscatto. Compimento che avvenne in una dimensione spirituale ed esistenziale senza precedenti per lui.
È in questo periodo della sua vita che Alessandro riuscirà a chiedere perdono ad Assunta, la mamma di Marietta e lo farà pubblicamente, in ginocchio davanti a lei, il 25 dicembre del 1934: “Perdonami Assunta”. “Se vi ha perdonato lei – risponde Assunta – vi ha perdonato Dio, vi perdono anche io”.
La morte
Alessandro resterà in convento fino alla sua morte, avvenuta il 6 maggio 1970.
Testamento spirituale di Alessandro Serenelli
«Sono vecchio di quasi 80 anni, prossimo a chiudere la mia giornata. Dando uno sguardo al passato, riconosco che nella mia prima giovinezza infilai una strada falsa : la via del male, che mi condusse alla rovina. Vedevo attraverso la stampa, gli spettacoli e i cattivi esempi che la maggior parte dei giovani segue senza darsi pensiero: io pure non mi preoccupai. Persone credenti e praticanti le avevo vicino a me, ma non ci badavo, accecato da una forza bruta che mi sospingeva per una strada cattiva. Consumai a vent’anni un delitto passionale del quale oggi inorridisco al solo ricordo . Maria Goretti, ora santa, fu l’angelo buono che la provvidenza aveva messo avandti ai miei passi per salvarmi. Ho impresse ancora nel cuore le sue parole di rimprovero e di perdono. Pregò per me, intercedette per il suo uccisore. Seguirono trent’anni di prigione. Se non fossi stato minorenne, sarei stato condannato a vita. Accettai la sentenza meritata, rassegnato: capii la mia colpa. La piccola Maria fu veramente la mia luce, la mia protettrice ; col suo aiuto mi comportai bene nei ventisette anni di carcere e cercai di vivere onestamente quando la società mi riaccettò fra i suoi membri. I figli di S. Francesco, i Minori Cappuccini delle Marche, con carità serafica mi hanno accolto fra loro non come servo, ma come fratello. Con loro vivo da 24 anni. Ed ora aspetto sereno il momento di essere ammesso alla visione di Dio, di riabbracciare i miei cari, di essere vicino al mio angelo protettore ed alla sua cara mamma, Assunta. Coloro che leggeranno questa mia lettera vogliono trarre il felice insegnamento di fuggire il male e di seguire il bene sempre, fin da fanciulli . Pensino che la religione con i suoi precetti non è una cosa di cui si può fare a meno, ma è il vero conforto, l’unica via sicura in tutte le circostanze, anche quelle più dolorose della vita. Pace e bene»
Macerata 5 maggio 1961 Alessandro Serenelli
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