Quarantuno anni, due bambini. Era un'insegnante di inglese. Un anno nel giro di pochi giorni scopre di essere di nuovo incinta; e, anche, malata di uno di quei mali di cui non si dice volentieri il nome. La maternità che si presenta di nuovo, tardiva, forse inaspettata. La morte che le si accompagna, e si mette di traverso. Assieme, compagne nella stessa donna: dapprima ignara, poi drammaticamente, da una tranquilla quotidianità borghese, chiamata a scegliere: chi salvare?
del 01 gennaio 2005
La scelta di Rita
Correre pi√π forte della morte
 
Quarantuno anni, due bambini. Era un'insegnante di inglese. Un anno fa Rita Fedrizzi, da Pianello del Lario, un paese del Comasco, nel giro di pochi giorni scopre di essere di nuovo incinta; e, anche, malata di uno di quei mali di cui non si dice volentieri il nome. La maternità che si presenta di nuovo, tardiva, forse inaspettata. La morte che le si accompagna, e si mette di traverso. Assieme, compagne nella stessa donna: dapprima ignara, poi drammaticamente, da una tranquilla quotidianità borghese, chiamata a scegliere: chi salvare? Se stessa, come parrebbe ovvio, come vorrebbe, direbbero i più, il naturale istinto di conservazione? O l'altro, il passeggero appena insediato a bordo, il figlio ancora a tutti segreto, il figlio ancora nei pensieri e però già così caro? Il figlio - data quell'altra compagna in agguato, maligna, eterna nemica - che comunque non si vedrà crescere. Perché, o lui, o la madre, hanno fatto capire i medici. Ammesso che poi faccia in tempo, il bambino. Perché: chi sarà più veloce, in questa corsa contro il tempo? Farà prima la vita, o l'altra, la rivale? La scelta fondamentale però è una: tenere o no quel figlio. Dargli una chanche. E toglierle tutte, o quasi, a se stessa. Togliere quasi certamente se stessa a suo marito a agli altri due bambini. Lasciare quei due, per un figlio mai visto. In una vita normale, in un piccolo paese lombardo, la scelta capitata su una donna all'apparenza come tante pare l'aut aut feroce di un Dio che esige tutto. Rita Fedrizzi, che è cristiana, sceglie. Non posso abortire, dice, è come se uccidessi uno dei due ragazzi che ho già, per salvarmi. Per lei, quello che aspetta è già un figlio. Gli altri, sono discorsi inutili. Ogni dilemma è tranciato, nel dramma di queste vita e morte annodate, da questa logica cos ì cristiana e assieme così profondamente materna. Quel figlio, c'è. Se nascerà, avrà gli occhi degli altri due. Non c'è nulla da scegliere dunque. Si va avanti. Quell'altra, la morte che s'è messa in agguato (dià ballein, mettersi di traverso, il costante lavoro dell'eterno nemico) ne percorrerà tanta di strada, in nove mesi. E d'altra parte cos'altro fare, se non cercare di correre più forte, e al termine della corsa lasciarsi indietro un bambino? Sano, pieno di vita, quasi una beffa contro la morte. E in tempi di diritto al figlio, diritto alla salute, diritto al figlio sano, pretesa ad ogni cosa, a una vita assicurata contro ogni grande e piccolo male o inconveniente, la storia di Pianello del Lario rischia certo di suonare impopolare, e d'essere relegata a certa agiografia cattolica, dove sante madri compiono assurdi sacrifici per motivi vetusti e ormai incomprensibili ai più. Perché tanta sofferenza? Sarebbe bastato uno screening preventivo, o un rapido intervento terapeutico. Nessuna tragedia. Regolare il corso delle cose. Tutto normale, tutti contenti. Assente solo quel figlio così estremamente voluto, che per tutta la vita testimonierà, con il suo solo esistere, di un amore molto grande - meravigliati tutti quelli che ne sapranno la storia.
 
 
Amore per la vita. Rinuncia alle cure: salva il bimbo ma lei non ce la fa.
Docente di lingue al liceo e prima ancora all’università di Bergamo, aveva lasciato una brillante carriera per stare vicina alla sua famiglia
 
Mille persone ieri ai funerali per rendere omaggio alla concittadina. Il parroco: «Era convinta che l’unico rimedio per lei accettabile fosse la fiducia in Cristo». I casi di Lella Longoni Crosini, Roberta Magnani, Carla Levati Ardenghi, Felicita Merati Barzaghi, Claudia Cardinali e altre giovani coraggiose che non sono arrivate sulle cronache
 
La vita e la morte, in apparente contraddizione, una di fianco all'altra. Per una volta sedevano insieme, ieri, nella stessa chiesa, davanti agli occhi del popolo che, come dice la prima lettura dal Libro della Sapienza, «vede e non comprende».
E come comprendere? In prima fila, nella parrocchia di San Martino, la bara di Rita Fedrizzi, una mamma di 41 anni, giace a terra poco distante da Federico, tre mesi soltanto, avvolto nella copertina azzurra e addormentato tra le braccia di una zia. Sembra un battesimo, ma è un funerale. Quel bambino, il terzo nato da Rita e dal marito Enrico, è il figlio per cui ha dato la vita. Quando seppe di essere incinta, un anno fa, scoprì anche del male incurabile, quel cancro che la metteva di fronte a una scelta: o tu o lui. «La morte tua o quella del bambino», era il verdetto dei medici, che invano cercavano di convincerla ad eliminare quel figlio, inconsapevole condanna. «L'unica terapia è l'aborto, le dicevano i dottori - racconta dall'altare don Giuseppe Motta, da 30 anni parroco di Pianello e delle sue mille anime, assiepate fin fuori dalla chiesa che non può contenerle tutte -. Rita rispose che no, che l'unica terapia era la fiducia in Cristo. Una scelta consapevole, che questa nostra sorella ha fatto con grande paura. Sì, ha avuto paura, tanta, ma pur nel tremito non ha esitato, e 'si salvi il bambino', ha detto».
«Una scelta di fede - dice ora il marito - che abbiamo fatto insieme e che ho sempre condiviso. Mia moglie si era informata, sapeva bene che se non avesse abortito non avrebbe avuto alcuna speranza di sopravvivenza, ma considerava quel figlio un Dono e ha sempre sostenuto che i doni vanno riconosciuti e poi custoditi. Senza una profonda convinzione non sarebbe riuscita a portare avanti con tanto coraggio la sua decisione». Anche perché Francesco e Andrea, 12 e 10 anni, avevano ancora bisogno di una madre, ma a una madre non si può chiedere di scegliere tra i suoi stessi figli, di ucciderne uno per il bene degli altri. Né tantomeno le si può far credere che quel feto non è un figlio a pieno diritto. Quando qualcuno - ed erano in tanti - le raccomandava l'aborto come unica via di scampo, lei semplicemente spiegava: «È come se mi chiedessero di uccidere uno degli altri miei due figli per salvare la mia pelle». E così non le restava che accogliere Federico, rifiutando le massicce dosi di chemioterapia che avrebbero ucciso il cancro cresciuto nel suo grembo.
Un cancro e un figlio che crescevano insieme con il passare dei mesi, succhiandole la vita e le energie. «Nessuno in paese sapeva nulla della sua gravidanza - racconta un'amica - nemmeno io: non lo aveva detto, come non aveva detto della malattia. Quando Federico è nato, 3 mesi fa, non si vedeva che aspettava un bambino, non era mai ingrassata...». Il bambino cresceva, infatti, ma la madre si consumava lentamente. Uno veniva alla vita, l'altra la abbandonava giorno dopo giorno.
«Il giusto, anche se muore prematuramente, troverà riposo», continua il Libro della Sapienza. «Fu rapito perché la malizia non ne mutasse i sentimenti, la malizia che deturpa anche il Bene...», come a dire che Rita era pura e per questo Dio l'ha prediletta e chiamata a sé. «Ma il popolo vede senza comprendere...», e guarda quel figlio avvolto in una nuvola di azzurro, che pare un battesimo.
«A causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà la resurrezione», prosegue la seconda lettura, e l'intreccio tra la vita e la morte è tutto lì, in pochi metri, nell'abbraccio tra una mamma e suo figlio. «Tuo Figlio ha preso su di sé la morte e la sofferenza», sale dall'altare la preghiera a Maria, dove Cristo è il figlio che si immola, e così Rita nel suo piccolo è una madre che restituisce: «Il Vangelo indica la via - dice il parroco -, ma i fedeli devono farlo diventare Parola viva, altrimenti è lettera morta. Molti mi chiedono se quella di Rita è una scelta eroica: è una scelta cristiana, eppure se siamo qui a parlarne vuol dire che è eccezionale. È il supremo sacrificio di una donna che da tempo si era consacrata alla Madonna all'interno di un gruppo di preghiera di Medjugorje».
Francesco e Andrea ascoltano composti vicino ai quattro nonni, e non piangono. Per stare accanto a loro Rita Fedrizzi, docente di lingue al liceo e prima ancora all'università di Bergamo, aveva rinunciato alla carriera. L'altra sera, quella della veglia, nella chiesa di San Martino erano stati loro, due ometti, a guidare il rosario.
Marina Corradi, Lucia Bellaspiga
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