Il legame di filiazione è un vincolo psi¬≠chico fondante per l'identità del bambino. Tutto l'affetto del mondo non è sufficiente per produrre le strutture psichiche di base che rispondono al suo bisogno di sapere da dove viene. Il padre e la madre in¬≠dicano al bambino la sua genealogia.
Continua a svilupparsi in Francia un denso dibattito sulle riforme annunciate dal governo socialista, per introdurre il matrimonio di coppie dello stesso sesso, con l’adozione dei minori. Esso si è arricchito della puntuale riflessione della Conferenza episcopale francese culminata, per ora, nella prolusione del cardinale presidente all’Assemblea plenaria autunnale dei vescovi d’Oltralpe. Ma anche dell’appello di numerosi sindaci di diversa tendenza politica a tutela dei diritti dell’infanzia e per la conferma del matrimonio come «unione tra uomo e donna». Alcuni sindaci si sono anche dichiarati pronti ad esercitare l’obiezione di coscienza. Nei giorni scorsi, poi, anche il gran rabbino di Francia, Gilles Bernheim, ha fatto conoscere la sua autorevole opinione, con un docum! ento di riflessione.
Anche l’ebreo francese Bernheim, proprio come i cattolici di Francia, propone le sue tesi con spirito razionale, cercando di andare oltre gli slogan, che esamina e contesta da vicino, a cominciare da quello che reclama «il matrimonio per tutti coloro che si amano». Uno slogan attraente ma vuoto, osserva, perché l’amore si esprime in mille modi nella vita di relazione, ma il matrimonio non si riduce alla funzione di riconoscere un amore, è finalizzato a realizzare un’istituzione che innesta il rapporto tra uomo e donna nell’ambito sociale dando vita alla successione delle generazioni, a una famiglia che fonda le relazioni di filiazione tra i suoi membri. Se si perde di vista questa finalità, che dà forza e pubblicità al vincolo matrimoniale, si possono operare delle finzioni, sostituire concetti con altri, ma si toglie al matrimonio la sua naturalità e l’essenziale ragion d’essere.
La parte più robusta del documento del gran rabbino è quella antropologica, che sottopone a critica il concetto di omoparentalità che si vorrebbe creare in nome dell’amore, e l’ipotesi di adozione a coppie non eterosessuali. Gilles Bernheim sottolinea che «il legame di filiazione è un vincolo psichico fondante per il sentimento di identità del bambino», e che «tutto l’affetto del mondo non è sufficiente per produrre le strutture psichiche di base che rispondono al bisogno del bambino di sapere da dove egli viene». Egli formula in modo affascinante l’idea centrale della visione umanistica proposta, per la quale «il padre e la madre indicano al bambino la sua genealogia. Il bambino ha bisogno d’una genealogia chiara per posizionarsi come individuo nella società»; con la conseguenza che il rischio di confondere, ingarbugliare, la catena delle generazioni è immenso e irreversibile.
L’obiezione antropologica viene opposta a chi vuole snaturare il matrimonio, aprirlo a esperienze prive del requisito della differenza sessuale con motivazioni formaliste e giuridiciste. Bernheim rileva la strumentalità di queste motivazioni, perché le convivenze non eterosessuali possono trarre dal diritto strumenti per soddisfare specifiche esigenze, ribadisce che non esiste un astratto «diritto ad avere un bambino», perché il bambino non è «oggetto di diritto» ma «soggetto di diritti» che deve trovare la migliore accoglienza possibile, coerente con la sua identità sessuale strutturante. Il bambino-oggetto perde la propria individualità, mentre la sua soggettività lo sostiene per vivere le situazioni della vita nel modo più completo.
Il gran rabbino francese si sofferma, quindi, sulla vera ragione che sta dietro la deformazione dell’istituto matrimoniale, che consiste nella volontà di attenuare, fino a farla scomparire, la «differenza di genere» su cui si fonda la società umana. Le teorie, che hanno radici nelle culture individualiste del secondo Novecento, vedono nel ruolo dei sessi una creazione puramente sociale, se non economicista, vogliono abolire la complementarietà tra uomo e donna e minare le componenti essenziali della famiglia per sostituirle con individui che possono avere qualsiasi orientamento sessuale, del tutto ininfluente per la coppia, e per la filiazione che può ottenersi in qualunque modo. Il carattere femminile e quello maschile divengono semplici «ruoli» che si può scegliere di indossare o no, di parodiare, cambiare a piacere.
Anche la riflessione del gran rabbino contribuisce al ricco dibattito pubblico francese, e la sua importanza non sta solo nelle specifiche affermazioni, ma nel fatto che affronta nel merito le questioni antropologiche e sociali che i sostenitori delle riforme legislative solitamente accantonano. E pone in primo piano – proprio come tante autorevoli voci cattoliche e laiche – valori universali che la destrutturazione della famiglia e del matrimonio pone a rischio, con ricadute di lunga durata sui diritti dell’infanzia e sulla sequenza delle generazioni.
Carlo Cardia
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