Se avessi saputo che le mie impronte sarebbero rimaste sulle vite altrui, ci avrei fatto più caso...
del 23 settembre 2016
L’identità è una maschera in evoluzione che si complica e sfaccetta mentre cresciamo, tanto complessa che ci ritroviamo a rinnegarla a fasi alterne, guardando vecchie fotografie. In questo processo già immensamente contorto mettete pure in conto che la maschera si modifica diverse volte al giorno per adeguarsi camaleonticamente alle più disparate situazioni sociali: ne viene fuori un mosaico incredibile che è l’essere umano. E fino a qui ci siamo.
Ma se questa maschera influenzasse indelebilmente le altre? E se queste modifiche non fossero volute o gradite? Se avessi saputo dal principio che le mie impronte sarebbero rimaste sulle vite degli altri, ci avrei fatto più caso. Quindi questa è un’allerta per voi, ragazzi: attenti a chi siete al liceo.
In questi giorni varcherete portoni e porte che vi condurranno a questo luogo che v’insegna molte cose meno che plasmare belle impronte per voi stessi e per chi vi vive accanto. Così vivete come vi viene, il che, credono tutti, è il modo più genuino di farlo. Coltivate le vostre stime e antipatie, includete ed escludete in base al vostro personale criterio e gestite come vi pare le occhiate che distribuite tra corridoi e cortili, sguardi adoranti o di profonda e innata antipatia. Un giorno, tanto, imballerete questo scatolone scrivendoci sopra, in modo neanche troppo fantasioso, la parola liceo. E andrete dove si va sempre nella vita: avanti.
La società ci insegna una lieve filantropia legata al massimo al volontariato, non osa raccontarci l’immenso potere che abbiamo tra le mani, quello dell’infelicità o della gioia altrui. Non ci dice che l’80% dei post che leggiamo su facebook, pieni di un odio qualunquista verso la gente, sono nomi e cognomi, forse anche i nostri. Sono pezzi di altre storie di cui non ci siamo presi cura dimenticando di essere gli eroi della nostra, sì, ma anche gli aiutanti in quelle degli altri. Siamo dunque circondati di gente che muore e che vive per i fatti suoi: la notizia della sedicenne stuprata da tre anni a questa parte da un gruppo di nove orribili ceffi è stata accolta dai suoi compaesani con un’assurda aria di sufficienza, “Se l’era cercata”.
Esattamente un anno fa questo era il mio ultimo primo giorno di scuola. Ero partita combattiva e mi ero segnata un mucchio di frasi mentali con cui contrattaccare l’odio delle persone più crudeli della scuola. Quelle parole non le ho dette mai perché quella bella gente non mi rivolse nemmeno il saluto: ci ripensò più tardi, quando le serviva una mano con gli esami.
Miei cari ragazzi, la gente non ride o piange o fissa il vuoto per caso. Lo fa perché qualcosa o qualcuno l’ha indotta a ridere, piangere o perdersi nei suoi pensieri. Non siate ridicolamente impiccioni o penitenti amici di gente che non gradite, solamente, ricordate che anche voi siete qualcuno o qualcosa. Che la vostra influenza non si limita al banale accudire i vostri fratelli minori, essa sfocia nei più svariati e minimali campi dell’esistenza, cosicché persino il vostro modo di vestire o di parlare finirà per costituire un tassello del gran pastrocchio di immagini che è il mondo, tassello che verrà imitato o denigrato, ma mai realmente ignorato.
Incontrerete tra vent’anni dei signori vagamente invecchiati: strizzando gli occhi riconoscerete in essi i vostri compagni del liceo. Se si mangeranno le unghie, se avranno l’abitudine di massaggiarsi il lobo delle orecchie, se si guarderanno attorno con aria timorosa o spavalda, se avranno paura del futuro o se l’affronteranno a spada tratta, se decideranno di essere fiori o ortiche, sappiate che (ma io non sono sua madre!) in minima (ma era uno sfigato!) ma considerevole (ma io non posso mica fare la carità a comando!) parte (ma io sono solo un tassello di mondo!) la loro salute e bellezza dipenderanno da voi.
Sabrina Sapienza
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