Tutti noi abbiamo un momento che possiamo definire stagno di buio. Usiamo le parole del poeta che così bene ci descrivono una situazione stazionaria, di cui non vediamo la fine e siamo come immobili, incapaci di muoverci, intrappolati nel fango, nell’acqua melmosa che non ha ricambio in quanto non è acqua corrente.
Arte & Avvento - Prima Settimana
di Chiara Succol
Il Verbo si è fatto carne nella letteratura, o meglio nella vita di alcune persone che per Grazia hanno trovato nell’espressione verbale la loro via per raccontarsi e così facendo, hanno dato voce a ciò che c’è anche nel nostro cuore: la sete d’Infinito, la ricerca di Dio.
C’è un poeta a cui sono particolarmente legata: Giuseppe Ungaretti.
L’ho apprezzato e amato quando ho iniziato a raccontarlo agli studenti, in classe. Ungaretti ha attraversato la vita in ogni sua profondità più buia, ha vissuto in modo così vigoroso che i suoi versi ne portano tutta l’intensità. La sua vicenda biografica è stata certamente densa di esperienze esperienze faticose: orfano di padre a due anni, lutto per la morte del migliore amico in giovinezza, la guerra sul Carso, la perdita dell’amato fratello ed infine il dolore devastante per la morte del figlio minore.
Ma, d’altra parte, Ungaretti è stato proprio da queste vicende di oscurità che ha trovato, attraverso la poesia, la strada per ritrovare un senso, la fiducia nella vita e di più ancora la fede.
Dal buio alla luce, Giuseppe Ungaretti è un “homo viator”, come noi: un uomo sempre in cammino. Pensando al Natale, provo a condividere una semplice riflessione (non certo da letterati o da critici letterari) che mi è nata nel cuore da una delle sue poesie forse meno note.
LA NOTTE BELLA
Quale canto s'è levato stanotte
che intesse
di cristallina eco del cuore
le stelle
Quale festa sorgiva
di cuore a nozze
Sono stato
uno stagno di buio
Ora mordo
come un bambino la mammella
lo spazio
Ora sono ubriaco
d’universo
Devetachi, il 24 agosto 1916
Che bellezza questa notte, così carica di luce e di speranza! Eppure il poeta ci dice chiaramente “sono stato / uno stagno di buio”. Ce lo dice così, lapidario, con una durezza che trasmette tutta l’immobilità della condizione che ha provato.
Tutti noi abbiamo un momento che possiamo definire stagno di buio. Usiamo le parole del poeta che così bene ci descrivono una situazione stazionaria, di cui non vediamo la fine e siamo come immobili, incapaci di muoverci, intrappolati nel fango, nell’acqua melmosa che non ha ricambio in quanto non è acqua corrente. Se ci ripenso, so molto bene qual è il momento in cui ho vissuto questa sensazione così paralizzante. Era a gennaio. Mi hanno detto che le cose non andavano come io pensavo. È stata una doccia fredda. Mi si è fermato il cuore e mi sono sentita vinta da qualcosa di molto più grande di me. È stata durissima muoversi dalla paralisi. E tu? Qual è il tuo stagno di buio? Prova a ripensarci, ora. Dacci un nome, un momento preciso, una descrizione di come ti sei senti- to, o di come ti senti. Chiedi al Signore Gesù di nascere proprio LÌ. FIDATI.
Nella stessa notte, però, Ungaretti ritrova una “festa di cuore a nozze”: di fronte al cielo stellato il cuore prova una gioia che gli permette di assaporare l’infinita dolcezza dell’universo; per lui ciò è di conforto come l’abbraccio di una madre quando allatta il proprio figlio. È un’emozione improvvisa, non prevista, non attesa. Ungaretti, non dimentichiamolo, quando scrive la poesia sta com- battendo sul Carso ed è a contatto con la morte e l’ingiustizia ogni giorno. L’infinito, l’eterno, gli viene incontro in una notte bella.
Mi piace proprio tanto pensare alla notte descritta da Ungaretti come alla notte di Natale. Anche se la data della poesia ci dice che è stata scritta ad agosto, credo non ci siano versi che descrivano meglio il Natale! È in una notte che il Signore viene tra noi, nel nostro stagno di buio, a farci visita con la sua bellezza semplice e spiazzante. Oh! Quale canto si leva in questa nottata! Quale festa di cuore a nozze! Una situazione ed un’emozione inaspettate ci pervadono, così intense che quasi non sappiamo da dove vengano. Viene come ogni cosa bella: senza che ci prepariamo adeguatamente. Per quanto noi ci proviamo ad essere adeguati ad ogni circostanza, la Bellezza ci spiazza sempre. Un bambino, così come una notte limpida e lucente, non ti lasciano indifferente. Il piccolo bimbo che nasce a Betlemme ci fa alzare lo sguardo dal nostro buio per volgerlo alla luce e alla speranza: non siamo soli nel mondo. Per quanto il male ci schiacci, la Speranza per noi ha un nome ben preciso ed è EMMANUELE, DIO CON NOI. Anche quando non lo comprendiamo.
Per la mia esperienza Gesù è davvero come un bambino e come una notte stellata: piccolo (a volte il nostro cuore è in burrasca, il Signore lo rispetta e rimane dentro di noi in modo impercettibile...ma c’è!), semplice (non chiede grandi ragionamenti, o discorsi; domanda solo di offrire ciò che siamo. Ah, ovviamente nel bene e nel male!), luminoso (ti permette di vedere ciò che prima non vedevi), attraente (anche se non vorresti fare le vocine a un bambino, le fai; anche se fai il duro, una notte stellata in montagna ti ammutolisce; anche se non calcoli Dio e ti ripieghi su te stesso, prima o poi Lo ritrovi).
Signore Gesù, piccolo Bambino lucente, illumina i nostri stagni di buio. Facci alzare lo sguardo da ciò che ci schiaccia. Vieni, Gesù, nel nostro cuore grigio e donaci la festa di un cuore a nozze. Amen.
Buon Natale.
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