Il 10 settembre il Times di Londra ha pubblicato un articolo che riporta il caso di un istituto che si dedicherebe anche alla vendita di organi e tessuti di bambini. L'elenco pubblicato sul sito Internet reca una serie di cellule e altri tessuti dei bambini... L'istituto sostiene che questi materiali derivano da feti abortiti ad uno stadio iniziale di vita. Ma secondo il Times questa affermazione è messa in dubbio dalle notizie secondo cui alcuni neonati vivi sarebbero scomparsi dai reparti di maternità nella città di Kharkov.
del 25 settembre 2005
Il tentativo pluridecennale dei sostenitori dell’aborto di negare o minimizzare il carattere umano del bambino non nato sta portando i suoi frutti. I bambini non nati sono sempre più spesso trattati come prodotti di consumo, considerando le cronache giornalistiche.
 
Il 10 settembre il Times di Londra ha pubblicato un articolo che riporta il caso dell’Institute for Problems of Cryobiology and Cryomedicine dell’Accademia nazionale delle scienze di Kharkov, in Ucraina. Risulta che tale istituto si dedichi anche alla vendita di organi e tessuti di bambini. L’elenco pubblicato sul sito Internet reca una serie di cellule e altri tessuti dei bambini.
 
L’istituto sostiene che questi materiali derivano da feti abortiti ad uno stadio iniziale di vita. Ma secondo il Times questa affermazione è messa in dubbio dalle notizie secondo cui alcuni neonati vivi sarebbero scomparsi dai reparti di maternità nella città di Kharkov.
 
L’articolo cita una ex impiegata dell’istituto, Juliya Kopeika, secondo la quale gli scienziati ucraini godono da tempo di una regolamentazione più permissiva sulle questioni etiche in questo ambito. Inoltre, secondo la legislazione ucraina, i bambini nati prima della 27° settimana o che pesano meno di un chilo alla nascita sono considerati automaticamente come aborti. In questo caso i bambini non vengono iscritti all’anagrafe e sono talvolta sottratti alla madre e non restituiti, hanno riferito al Times alcuni promotori dei diritti umani.
 
Lo scorso 17 aprile, un rapporto comparso in un altro quotidiano britannico, l’Observer, sosteneva che le donne ucraine vengono pagate per vendere i loro feti alle cliniche. I tessuti tratti dai feti sono utilizzati per i cosmetici che a quanto si dice ringiovaniscono la pelle e curano le malattie. Secondo l’Observer, alle donne sarebbero state pagate 100 sterline (147 euro) per i feti che sarebbero stati poi venduti in Russia anche per 5.000 sterline (7.400 euro).
 
 Embrioni freschi
 
Due settimane fa, in Canada sono emerse preoccupazioni per l’utilizzo di embrioni “freschi” come fonte di cellule staminali, come riportato dal National Post del 13 settembre. Un articolo pubblicato dal Canadian Medical Association Journal avvertiva che le donne vengono incoraggiate a donare embrioni “freschi”, anziché quelli avanzati da precedenti trattamenti di fecondazione in vitro, per creare cellule staminali.
 
Gli autori dell’articolo, il dr. Jeffrey Nisker della University of Western Ontario e il dr. Francoise Baylis della Dalhousie University di Halifax, hanno inoltre avvertito che le donne potrebbero avere in futuro minori probabilità di rimanere incinte.
 
Inoltre, Baylis si è lamentato del modo “surrettizio” in cui la Canadian Institutes of Health Research, un’agenzia federale, ha silenziosamente cambiato le regole il 7 giugno scorso, consentendo esplicitamente a chi fa ricerca sulle cellule staminali di usare embrioni umani freschi. Solo due giorni dopo un’equipe di ricercatori di Toronto presieduta dal dr. Andras Nagy ha annunciato che stava lavorando non solo su embrioni freschi ma che li aveva già utilizzati per creare le prime cellule staminali embrionali umane in Canada.
 
Jeffrey Nisker è stato uno dei presidenti della Commissione consultiva sulla tecnologia riproduttiva e genetica dell’Health Canada, che si è sciolta lo scorso anno, dopo che il Governo federale aveva approvato la nuova legge che regola le tecnologie riproduttive. Egli ha affermato al National Post che “mai in nessun momento [la Commissione] ha pensato che una donna potesse essere invitata a rinunciare ad un embrione fresco”. Nisker ha detto che la questione richiede un chiarimento ed ha aggiunto che a suo avviso i medici che chiedono alle donne di donare embrioni freschi starebbero violando il codice deontologico dei medici.
 
Allo stesso tempo, lo scienziato creatore della pecora Dolly, Ian Wilmut, ha sostenuto che le cellule staminali embrionali dovrebbero essere utilizzate al fine di evitare la sperimentazione sugli animali. Il quotidiano scozzese Herald ha riferito l’8 settembre che secondo Wilmut questa ricerca sarebbe “più etica”.
 
In un discorso pronunciato alla Glasgow University Vet School, Wilmut ha affermato che lo studio delle malattie incurabili, attraverso la creazione di embrioni e la loro clonazione per la formazione di cellule staminali salverebbe “potenzialmente molte migliaia di animali”.
 
Wilmut ha di recente fatto domanda per l’autorizzazione all’utilizzo di cellule staminali embrionali per l’elaborazione di una cura per la sclerosi laterale amiotrofica, o malattia di Lou Gehrig, una patologia neuromotoria.
 
 Eliminare i “non adatti”
 
I bambini affetti da malformazioni genetiche, sempre più spesso vengono eliminati, secondo quanto riferisce il Washinton Post in un approfondito articolo pubblicato lo scorso 29 aprile. L’articolo spiega che, secondo un sondaggio su circa 3.000 genitori di bambini affetti dalla sindrome di Down, pubblicato sull’American Journal of Obstetrics and Gynecology, i medici che effettuano diagnosi prenatale (come l’amniocentesi) spesso danno un quadro piuttosto negativo ai genitori delle conseguenze di portare alla luce e crescere un bambino affetto da questo problema.
 
“In molti casi i medici sono stati insistenti o persino sgarbati”, ha affermato Brian Skotko, uno studente di medicina di Harbard, la cui sorella ventiquattrenne è affetta dalla sindrome di Down.
 
L’articolo spiega che i cambiamenti intervenuti negli ultimi anni hanno notevolmente migliorato la situazione per le persone che soffrono della sindrome di Down. Anziché venire relegati in istituti essi ora tendono a vivere tra la gente comune, e una migliore attenzione clinica ha determinato un considerevole aumento nell’aspettativa di vita. I bambini che sopravvivono, spesso arrivano ad un’età anche superiore ai 50 anni, secondo la National Down Syndrome Society.
 
Ma, secondo un articolo di George Neumayr, pubblicato sull’edizione di giugno dell’American Spectator, alcuni ricercatori stimano che oggi almeno l’80% dei nascituri a cui viene diagnosticata la sindrome di Down vengono abortiti. Inoltre vi è un’alta percentuale di aborto anche dei feti affetti da fibrosi cistica.
 
Difatti, a partire dagli anni ’60, il numero degli americani affetti da anencefalia e spina bifida è visibilmente diminuito. Questo calo corrisponde all’aumento della diagnosi prenatale, ha spiegato Neumayr.
 
E i medici che non avvertono le madri sui difetti dei feti corrono il rischio di essere denunciati. L’articolo riporta un estratto della pubblicazione Medical Malpractice Law & Strategy: “Alcune decisioni giudiziarie del Paese dimostrano che il maggiore ricorso alla diagnosi genetica ha maggiormente esposto i medici nella loro responsabilità per non aver avvisato i genitori delle patologie ereditarie”.
 
 Politiche consumistiche
 
Non sono solo i nascituri ad essere a rischio. In un editoriale pubblicato nell’edizione del 17 aprile del Sunday Times di Londra, Brenda Power riporta il caso di Tristan Dowse, un bimbo di 3 anni adottato da una coppia irlandese, Joe e Lala Dowse, mentre viveva in Indonesia.
 
La coppia aveva scelto l’adozione poiché non era riuscita a concepire un figlio. Tuttavia, due anni dopo Lala era riuscita ad avere un figlio per conto proprio. E quando la coppia decise di lasciare il Paese, scelse anche di lasciare anche Tristan, abbandonandolo in un orfanotrofio, che secondo la Power era gestito secondo politiche consumistiche. Sembra che, secondo la legislazione irlandese, ciò che questi genitori hanno fatto rientri nei limiti della legalità.
 
Non tutte le notizie sono però negative. Continuano a verificarsi casi di madri che sacrificano la propria vita al fine di dare ai loro nascituri la possibilità di vivere. Tale è il caso di una donna italiana, Rita Fontana, riportato dal quotidiano La Repubblica lo scorso 26 gennaio.
 
Già madre di due figli, Rita era in attesa del terzo quando le fu diagnosticato un melanoma. Lei si è rifiutata di sottoporsi a trattamenti che avrebbero potuto pregiudicare la vita del nascituro. Tre mesi dopo la nascita di Federico, la madre è morta.
 
Il marito, Enrico, ha spiegato che per Rita era stato impossibile accettare l’idea di pregiudicare la vita del nascituro e diceva che sarebbe come uccidere uno degli altri due figli per salvare se stessa.
 
Ed ha aggiunto che Rita aveva accolto il nuovo figlio come un dono e come un miracolo, e non come una condanna. E certamente non come un prodotto di consumo.
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