La sorprendente storia della ragazzina cilena che è stata violentata dal patrigno e ora aspetta un bambino da lui. Ma non si lascia trasformare in icona pro choice.
È stata violentata ed è rimasta incinta, ancora bambina, del suo stupratore. Di lei i giornali hanno parlato come di una vittima della Chiesa cattolica che si accordò con Pinochet affinché il generale non legalizzasse l’aborto. “11 anni costretta a non abortire”, strillavano i titoli apparsi la settimana scorsa sulla stampa locale, dato che in Cile l’interruzione volontaria di gravidanza non è consentita nemmeno in caso di stupro. La vita del bambino per la legislazione statale vale ancora quanto quella della madre.
LE INGERENZE. Il 12 luglio scorso anche Amnesty International, tramite Guadalupe Marengo, direttrice del programma Americhe di Amnesty, è intervenuta spronando il «governo cileno a rispettare i suoi obblighi internazionali e garantire che “Belen” (pseudonimo usato da giornali e tv per tutelare la privacy della minore, ndr) riceva tutta l’assistenza medica, psicologica e legale di cui ha bisogno, tenendo in particolare conto la sua età, e prevedendo anche l’opzione di servizi legali, sicuri e accessibili di aborto. Nessuna vittima di stupro dovrebbe essere sottoposta a ulteriore paura e coercizione mentre cerca di riprendersi da quell’esperienza». Dopo di che sulla vicenda di Belen è calato il silenzio dei media. Forse perché a smontare questa campagna strumentale pro-aborto non è stato chissà quale potere oscurantista bensì il cuore della protagonista stessa.
LE PAROLE DI UNA MAMMA. Ai microfoni della tv di Santiago Canal 13 Belen ha chiarito infatti che sottoporsi all’aborto sarebbe ancora più deleterio per lei. E spiazzando tutti i suoi presunti “difensori” ha dichiarato il suo amore per il figlio in grembo: «Lo amerò molto, nonostante tutto, anche se viene da un uomo che mi ha fatto male», ha detto la ragazzina. Belen ha spiegato che a stuprarla è stato il suo patrigno, ora in prigione e in attesa di essere processato. E ha aggiunto che, «come una bambola, stingerò il mio bambino fra le braccia». Il giorno dopo, il presidente cileno Sebastian Piñera (nella foto a destra), che pure in precedenza aveva dichiarato l’intenzione di garantire alla giovane tutti i sostegni necessari, ha esclamato così: «Ieri Belen mi ha sorpreso, ha sorpreso tutti noi con parole che dimostrano una profondità e una maturità attraverso cui ci ha dimostrato che, nonostante il dolore causato dall’uomo che l’ha violentata, lei è pronta ad amare e a prendersi cura della neonata».
STRUMENTALIZZATA. Eppure, dopo la richiesta dell’undicenne, anche chi aveva dichiarato di volerla rispettare ha continuato per la sua strada, come se Belen non avesse neppure parlato: «La misura più appropriata è “l’aborto terapeutico”», ha detto l’ex presidente socialista Michelle Bachelet, ora in corsa per le prossime elezioni. Le ha risposto il segretario generale del governo, Cecilia Perez, che ha ricordato che non esistono aborti “terapeutici”, dal momento che l’omicidio di un figlio non può avere effetti curativi per la madre. I militanti duri e puri della causa abortista stanno provando invece a far leva sulla presunta “incoscienza” della bambina, ma la strumentalità di questa posizione non riesce a mettere in ombra la naturalezza e la spontaneità dimostrate dalla ragazzina. «Difenderemo Belen e nello stesso tempo difenderemo la vita del bambino», ha ribadito il presidente Piñera.
Benedetta Frigerio
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