Imparare, sentire come sentiva Gesù, conformare il nostro modo di pensare, di decidere, di agire con i sentimenti di Gesù. Se prendiamo questa strada, viviamo bene e prendiamo la strada giusta.
del 27 ottobre 2005
Pubblichiamo di seguito le parole pronunciate questo mercoledì da Benedetto XVI nel corso dell’Udienza generale dedicata al commento del Cantico tratto dalla seconda Lettera di san Paolo ai Filippesi (6-11), “Cristo, servo di Dio”.
* * *
 
Cristo, pur essendo di natura divina,
non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio;
ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo
e divenendo simile agli uomini.
 
Apparso in forma umana, umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e alla morte di croce.
 
Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome
che è al di sopra di ogni altro nome;
perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra;
e ogni lingua proclami
che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.
 
 
1. Ancora una volta, seguendo il percorso proposto dalla Liturgia dei Vespri coi vari Salmi e Cantici, abbiamo sentito risuonare il mirabile ed essenziale inno incastonato da san Paolo nella Lettera ai Filippesi (2,6-11). Abbiamo già in passato sottolineato che il testo comprende un duplice movimento: discensionale e ascensionale. Nel primo, Cristo Gesù, dallo splendore della divinità che gli appartiene per natura sceglie di scendere fino all’umiliazione della «morte di croce». Egli si mostra così veramente uomo e nostro redentore, con un’autentica e piena partecipazione alla nostra realtà di dolore e di morte.
 
2. Il secondo movimento, quello ascensionale, svela la gloria pasquale di Cristo che, dopo la morte, si manifesta nuovamente nello splendore della sua maestà divina. Il Padre, che aveva accolto l’atto di obbedienza del Figlio nell’Incarnazione e nella Passione, ora lo «esalta» in modo sovraeminente, come dice il testo greco. Questa esaltazione è espressa non solo attraverso l’intronizzazione alla destra di Dio, ma anche con il conferimento a Cristo di un «nome che è al di sopra di ogni altro nome» (v. 9). Ora, nel linguaggio biblico il «nome» indica la vera essenza e la specifica funzione di una persona, ne manifesta la realtà intima e profonda. Al Figlio, che per amore si è umiliato nella morte, il Padre conferisce una dignità incomparabile, il «Nome» più eccelso, quello di «Signore», proprio di Dio stesso.
 
3. Infatti, la proclamazione di fede, intonata coralmente da cielo, terra e inferi prostrati in adorazione, è chiara ed esplicita: «Gesù Cristo è il Signore» (v. 11). In greco, si afferma che Gesù è Kyrios, un titolo certamente regale, che nella traduzione greca della Bibbia rendeva il nome di Dio rivelato a Mosé, nome sacro e impronunciabile. Da un lato, allora, c’è il riconoscimento della signoria universale di Gesù Cristo, che riceve l’omaggio di tutto il creato, visto come un suddito prostrato ai suoi piedi. Dall’altro lato, però, l’acclamazione di fede dichiara Cristo sussistente nella forma o condizione divina, presentandolo quindi come degno di adorazione.
 
4. In questo inno il riferimento allo scandalo della croce (cfr 1Cor 1,23), e prima ancora alla vera umanità del Verbo fatto carne (cfr Gv 1,14), si intreccia e culmina con l’evento della risurrezione. All’obbedienza sacrificale del Figlio segue la risposta glorificatrice del Padre, cui si unisce l’adorazione da parte dell’umanità e del creato. La singolarità di Cristo emerge dalla sua funzione di Signore del mondo redento, che Gli è stata conferita a motivo della sua obbedienza perfetta «fino alla morte». Il progetto di salvezza ha nel Figlio il suo pieno compimento e i fedeli sono invitati - soprattutto nella liturgia - a proclamarlo e a viverne i frutti. Questa è la meta a cui ci conduce l’inno cristologico che da secoli la Chiesa medita, canta e considera guida di vita: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fil 2,5).
 
5. Affidiamoci ora alla meditazione che san Gregorio Nazianzeno ha intessuto sapientemente sul nostro inno. In un carme in onore di Cristo il grande Dottore della Chiesa del IV secolo dichiara che Gesù Cristo «non si spogliò di nessuna parte costitutiva della sua natura divina, e ciò nonostante mi salvò come un guaritore che si china sulle fetide ferite… Era della stirpe di David, ma fu il creatore di Adamo. Portava la carne, ma era anche estraneo al corpo. Fu generato da una madre, ma da una madre vergine; era circoscritto, ma era anche immenso. E lo accolse una mangiatoia, ma una stella fece da guida ai Magi, che arrivarono portandogli dei doni e davanti a lui piegarono le ginocchia. Come un mortale venne alla lotta con il demonio, ma, invincibile com’era, superò il tentatore con un triplice combattimento… Fu vittima, ma anche sommo sacerdote; fu sacrificatore, eppure era Dio. Offrì a Dio il suo sangue, e in tal modo purificò tutto il mondo. Una croce lo tenne sollevato da terra, ma rimase confitto ai chiodi il peccato… Andò dai morti, ma risorse dall’inferno e risuscitò molti che erano morti. Il primo avvenimento è proprio della miseria umana, ma il secondo si addice alla ricchezza dell’essere incorporeo… Quella forma terrena l’assunse su di sé il Figlio immortale, perché egli ti vuol bene» (Carmina arcana, 2: Collana di Testi Patristici, LVIII, Roma 1986, pp. 236-238).
 
[Improvvisando, il Papa ha quindi aggiunto:]
 
Alla fine di questa meditazione vorrei per la nostra vita sottolineare due parole: questo ammonimento di San Paolo: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù”. Imparare, sentire come sentiva Gesù, conformare il nostro modo di pensare, di decidere, di agire con i sentimenti di Gesù. Se prendiamo questa strada, viviamo bene e prendiamo la strada giusta. L’altra è la parola di San Gregorio Nazianzieno: “Egli, Gesù, ti vuol bene”. Questa parola di tenerezza è per noi una grande consolazione, un conforto e anche una grande responsabilità giorno per giorno.
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