Boston 2013: il prezzo dell'invidia

Volevano colpire la vita, ecco perchè hanno scelto la linea del traguardo di una maratona: non c'è disciplina sportiva che al pari suo riesca a racchiudere nell'eleganza di un gesto l'alfabeto stesso della vita.

Boston 2013: il prezzo dell'invidia

 

Hanno teso un tranello alla fratellanza, forti di una simbologia profumata di storia: nel Patriot's Day, l'anniversario dell'inizio della Rivoluzione americana, hanno voluto colpire l'immaginario sociale popolato di sogni, di battaglie e di riscatto. Volevano colpire la vita, ecco perchè hanno scelto la linea del traguardo di una maratona: non c'è disciplina sportiva che al pari suo riesca a racchiudere nell'eleganza di un gesto l'alfabeto stesso della vita. Nella maratona è racchiusa la grammatica dell'esistenza: la passione e il sudore, l'applicazione e il metodo, la sopportazione e la crisi, l'ansia e la spensieratezza. Perchè chi corre lo fa sempre spinto da un qualcosa che l'attrae: c'è un traguardo laggiù da conquistare, e quel traguardo vale la somma di tutta la fatica lasciata sull'asfalto della competizione, nella polvere degli allenamenti, negli attimi di disperata fatica. Organizzare un attentato alla maratona è, oltretutto, sinonimo di gelosia della vita: già chi compie il male nasconde una tristezza – che a volte è semplicemente una povertà di alternative – nell'animo. Darsi appuntamento al termine di una fatica sportiva durata parecchie ore è essere gelosi all'ennesima potenza: gelosi della vita che non smette di ripartire, del sacrificio acceso da un sogno, della soddisfazione ch'è la corona di ognuno che taglia il traguardo. Si è invidiosi di coloro che, nonostante tutto, non sanno mai arrendersi all'inerzia degli sfaticati.

C'era un bambino lungo la strada: ieri era motivo d'orgoglio per il papà maratoneta. Oggi è colpevole di quell'applauso dedicato al papà ormai prossimo all'arrivo: di lui rimane traccia nella chiazza di sangue lasciata sull'asfalto. Hanno scelto la maratona per uccidere perchè la maratona non è la festa di un singolo, ma di una famiglia che – condividendone la grammatica – diventa comunità. Fino a fare di una passione comune una possibile trama per nuove amicizie. Un attacco, dunque, che nasconde nel suo grembo la viltà di un gesto che è specchio di un animo desolato: invidiare la vita nel bel mezzo di una sua spettacolare danza, qual'è l'atletica. Perchè non si uccide l'atleta ma si umilia ciò che s'addensa nell'animo dell'atleta: c'è chi corre per vincere e chi per sfidarsi, chi per riscattarsi e chi per scommessa, chi per amicizia e chi per passione, chi per trastullo e chi per amore. Nell'agone della corsa c'è posto proprio per tutti, ed è forse questo lato ecumenico della maratona ad indispettire coloro che invece vorrebbero l'inimicizia come trama dell'umanità, di chi non accetta che la gente ami più la sfida che la rassegnazione, di chi sceglie la vendetta come antidoto alla vita. Hanno piazzato le bombe nell'anniversario della Rivoluzione, che è poi l'occasione della Maratona di Boston: chi ha firmato questo gesto sa bene che c'è differenza tra “evoluzione” e “rivoluzione”: la prima si compie mentre l'uomo dorme, la seconda avviene quando l'uomo ha gli occhi ben aperti. Gli occhi dei maratoneti prossimi al traguardo: non c'è sguardo più profondo che racconti l'arditezza vincente della vita quando si fa rivoluzione.

Hanno lacerato un fiore primaverile stanotte: non sono, però, riusciti nemmeno stavolta a cancellare la primavera. Perchè chi ha scelto la maratona come metafora della sua esistenza non teme l'arroganza di coloro che non hanno forse ancora trovato una ragione – nella calura d'estate o nel gelo dell'inverno – che infonda loro il coraggio di mettersi le scarpe e di sfidare le avversità per conquistare un sogno. Che pochissime volte ha il volto della vittoria; il più delle volte è semplicemente la meravigliosa sensazione d'essere stati uomini fino in fondo.

 

Fino a sfidare la morte per amore di un sogno, com'è successo a Boston.

 

 

don Marco Pozza

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