Una grande fiaba che può conquistare i cuori di lettori dai dieci ai cinquant'anni, un racconto di fantasia che è anche una chiarissima rappresentazione del credo cristiano dell'autore, l'anglo-irlandese Clive Staples Lewis.
del 15 dicembre 2005
Le Cronache di Narnia: uno dei più grandi classici per ragazzi del ‘900, una saga fantastica che ora è anche un kolossal cinematografico che vede per protagonista un grande leone parlante con poteri mistici. Una grande fiaba che può conquistare i cuori di lettori dai dieci ai cinquant’anni, un racconto di fantasia che è anche una chiarissima rappresentazione del credo cristiano dell'autore, l’anglo-irlandese Clive Staples Lewis. Il volume “C.S. Lewis:tra Fantasy e Vangelo” (Editrice Ancora) di Paolo Gulisano, studioso della cultura cattolica anglo-sassone e autore – tra l’altro-di volumi su Tolkien, Chesterton o il cristianesimo irlandese, rappresenta la prima biografia-critica del grande scrittore. Il libro indaga ampiamente la vita e l’opera di Lewis, che Gulisano ci presenta come uno dei più interessanti personaggi del panorama letterario del suo tempo. Con Narnia aveva voluto parlare, riuscendoci, al cuore dei bambini, e non solo a loro.
 
Lewis è stato uno dei più singolari intellettuali dell’Inghilterra del suo tempo, un uomo affascinante e contraddittorio: non era un professionista dei racconti per bambini, nè ebbe mai figli a cui narrare fiabe alla sera, ma realizzò con Narnia un autentico classico; visse gran parte della sua vita in Inghilterra, diventando uno dei massimi protagonisti della vita culturale del Paese, ma era irlandese di Belfast, nel nord dell’Irlanda, discendente di quei britannici,gallesi e scozzesi, che avevano fatto parte del piano di colonizzazione attuato dall’Inghilterra dopo la conquista militare dell’Irlanda. Sudditi fedeli di Londra, avamposto dell’Impero, fieri calvinisti visceralmente anti-cattolici. Lewis tuttavia aveva abbandonato in gioventù la religione dei padri, era transitato nei territori aspri dell’ateismo e infine era approdato al Cristianesimo, restando a lungo incerto su quale denominazione di esso (incluso il cattolicesimo) abbracciare, optando infine, ma non senza precisazioni e distinguo, per l’anglicanesimo
Il suo itinerario spirituale fu complesso e tormentato, e quando infine giunse all’ammissione dell’esistenza di Dio, si definì il “convertito più riluttante di tutta l’Inghilterra”. Ben presto tuttavia divenne uno degli scrittori cristiani più apprezzati della sua generazione, un’apologeta acuto quanto appassionato, autore di testi famosissimi come Le Lettere di Berlicche.
 
Lewis aveva aderito con convinzione al ferreo razionalismo del suo maestro, e si allontanò da ogni fede religiosa, professandosi ateo e libero pensatore. Questa fase della vita di Lewis ebbe termine durante la Prima Guerra Mondiale, dove il giovane soldato rimase ferito sui campi di battaglia della Francia. Durante la convalescenza gli finì in mano un libro di Gilbert Chesterton, il creatore di Padre Brown, un autore che esplodeva nelle pagine dei suoi romanzi e dei suoi saggi una straordinaria vitalità, una passione per il reale, un senso di gratitudine verso la vita pieno di umorismo e di gioia. Una gioia non ottusa – e questo fu subito ben chiaro all’acuta sensibilità di Lewis - ma consapevole e meditata, un sentimento che non prescindeva dall’esistenza del male, del dolore, della contraddizione.
Chesterton fu una grossa sorpresa per Lewis, la cui passione per la letteratura e la cui sete di conoscenza si erano rivolte per anni ai classici, ad importanti autori di narrativa e di saggistica. Ora rimaneva invece affascinato da uno scrittore di romanzi fantastici, di gialli che avevano per protagonista un prete cattolico, di saggi in difesa del buon senso e del Cristianesimo, il tutto caratterizzato da una scrittura vivace, appassionata, brillante, capace di prendere sul serio la realtà nella sua integrità, a cominciare dalla realtà interiore dell'uomo e di adoperare fiduciosamente l'intelletto – ovvero il buon senso- nella sua originale sanità, purificato da ogni incrostazione ideologica.
Nella autobiografia Sorpreso dalla gioia Lewis raccontò con queste parole il miracolo del cambiamento avvenuto in lui:
“Durante il trimestre della trinità del 1929 mi arresi, ammisi che Dio era Dio e mi inginocchiai per pregare: fui forse, quella sera, il convertito più disperato e riluttante d’Inghilterra. Allora non mi avvidi di quello che oggi è così chiaro e lampante: l’umiltà con cui Dio è pronto ad accogliere un convertito anche a queste condizioni. Per lo meno, il figliol prodigo era tornato a casa coi suoi stessi piedi. Ma chi potrà mai adorare adeguatamente quell’amore che schiude i cancelli del cielo a un prodigo che recalcitra e si dibatte, e ruota intorno gli occhi risentito in cerca di scampo? Le parole compelle intrare, obbligali ad entrare, sono state così abusate dai malvagi che a sentirle rabbrividiamo ma, opportunamente comprese, scandagliano gli abissi della misericordia Divina. La durezza di Dio è più mite della dolcezza umana, e le Sue costrizioni sono la nostra liberazione.”( Sorpreso dalla gioia, Milano1997,pag. 166)
Come era maturato questo “ritorno a casa” del figliol prodigo, che chiudeva un pellegrinaggio esistenziale cominciato anni prima con la fine dolorosa dell’innocenza dell’infanzia? Chi aveva insegnato, dopo la lettura di Chesterton, la strada giusta all’incerto Lewis? Si trattava di un nuovo amico, un collega, che Lewis aveva conosciuto nella primavera del 1926, al secondo anno di insegnamento. Un uomo mite, tranquillo, poco significativo agli occhi del vivace Lewis, abituato a personalità più spiccate. Il suo nome era John Ronald Reuel Tolkien: ovvero il futuro autore de Il Signore degli Anelli. Un giovane sensibile certamente ma privo della utopica ingenuità romantica di molti suoi coetanei più fortunati: uno di quei cattolici che non facevano certo mistero della propria fede. Significativamente, nella sua autobiografia Sorpreso dalla gioia Lewis scrisse: “alla mia venuta in questo mondo mi avevano (tacitamente) avvertito di non fidarmi mai di un papista, e (apertamente) al mio arrivo alla facoltà di inglese di non fidarmi mai di un filologo. Tolkien era l’uno e l’altro”. Per Lewis questa amicizia rappresentò anche la via del ritorno a quel cristianesimo che aveva abbandonato negli anni giovanili per avventurarsi in una inquieta ricerca intellettuale ed esistenziale. Lewis, così come Tolkien, attinse dai miti antichi e dai grandi classici della narrativa fantastica per esaltare i temi della trascendenti, partendo dalla nostalgia del Paradiso perduto per esortare l’uomo moderno ad una nuova coraggiosa ricerca del buono, del bello, del Vero.
 
Un autore che ebbe modo di cimentarsi con la storia, con la narrativa d’anticipazione, con l’apologia del Cristianesimo tanto da suscitare l’ammirazione di teologi come Von Balthasar e Joseph Ratzinger, nonché la stima dichiarata di papa Giovanni Paolo II, benché fosse di fede protestante, è riuscito con le sue storie di Narnia a parlare al cuore di milioni di uomini.
Vale dunque la pena avventurarsi alla scoperta dei temi, dei significati, dei valori contenuti nella sua saga, e questo libro vuole essere una piccola guida per tutti gli esploratori del mondo di Narnia.
Paolo Gulisano
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