In questo mese speciale tutta la Chiesa si ferma nel porto sicuro della riflessione per sensibilizzarci al tema della missione! Oggi riflettiamo sul tema della carità.
Giovanni 13,1-5,12-15
Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che
erano nel mondo, li amò fino alla fine. Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua in un catino e cominciò a lavare i piedi ai discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio di cui si era cinto.
Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: “Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate
Signore e Maestro e fate bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi”.
Dammi, o Signore, un cuore immenso,
simile al Tuo, che travolga
i limiti della mia persona e senta
palpitare in me il dolore del mondo.
Che sono le mie ansie interessate,
i miei meschini interessi,
i miei piccoli peccati
in confronto del dolore degli uomini?
Mi vergogno d’aver pregato tanto
e richiesto solo per me,
dimentico di tutto e di tutti,
chiuso in un egoismo
più abbietto dei vizi più bestiali del corpo!
Perdonami, o Signore!
Come ho potuto cercare la mia perfezione
lungo i sentieri della più gretta avarizia?
Come ho potuto ignorare che
misura del crescere è il donare?
Butterò la mia vita, o Signore, per ritrovarla,
e mi prodigherò senza misura.
Soltanto alla sera, concedi che, stanco,
mi ripieghi un attimo a guardarmi;
ma per domandarmi severo:
“Quanto ho amato oggi?”.
E mi accuserò al tuo cospetto, o Signore,
d’ogni peccato contro la carità;
poiché il mondo ha bisogno solo d’amore
per guarire dalle sue piaghe.
(Alberto Marvelli)
“Aiutare i poveri e i derelitti il più possibile, materialmente e spiritualmente. La carità sia un altro cardine del programma di vita. [...] Ovunque mi trovi confessare con umiltà di fede, ma con fermezza di carattere, la fede cattolica, con l’esempio, le parole, gli atti. Allontanare il rispetto umano[1] come alcunché di sciocco e che ti toglie la libertà. Non l’hanno i malvagi nel compiere il male; perché mai dovremmo averlo noi nel fare il bene?”.
(18 settembre 1938)
“Il campo inesauribile della carità è una scuola magnifica di perfezione per noi e di apostolato per gli altri; ci abitua a considerare i veri valori della vita, che non è solo soddisfacimento dei nostri desideri ed ideali terreni; ci stacca di più dalle cose della terra, confermando
la Parola di Cristo: che si prova più gioia nel dare che nel ricevere; ci fa sentire l’urgenza di risolvere tanti problemi di giustizia sociale, [...]”.
(Lettera a Marilena Aldè del 26 settembre 1946)
“Signore, fa’ che senta dolore della povertà altrui e desiderio di alleviarla per quanto sta in me.
Dammi, o Gesù, gli stessi sentimenti che provasti Tu dinanzi ai poveri”.
Alberto Marvelli nasce a Ferrara nel 1918, secondo di otto fratelli, e tra le due Guerre si trasferisce a Rimini dove inizia la sua formazione umana e spirituale. Appassionato di ogni genere di sport (basket, calcio, sci, bici, nuoto), la sua corsa subisce ad un tratto una sosta forzata: la morte del padre.
Ha solo 15 anni quando decide di intraprendere ben altra corsa: l’ascesa alla santità. Il periodo universitario (facoltà di ingegneria meccanica) è segnato da una grande fecondità intellettuale e spirituale, che non lo distoglie però dal dedicarsi alla sua famiglia e ai suoi ragazzi dell’oratorio retto dai padri salesiani. Terminati gli studi, frequenta il corso per ufficiali a Trieste e nel 1941 è ingegnere alla Fiat, ma a causa della guerra, è costretto a ripartire per le armi: destinazione caserma “Dosson” di Treviso. In questo periodo approfondisce la sua amicizia con Marilena, una ragazza milanese, per la quale nutrirà anche un affetto sponsale.
Tornato a Rimini, città martoriata dai bombardamenti, Alberto è figura esemplare di fede e di solidarietà nel portare soccorso materiale e
spirituale agli sfollati. Nominato assessore ai Lavori pubblici, capo sezione del Genio civile e presidente dei Laureati cattolici, il giovane
ingegnere riesce a coniugare vangelo e cultura, carità e politica, preghiera, azione e contemplazione. Nel 1945 aderisce alla Società Operaia, cenacolo di laici che consacrano la propria vita per la santificazione nel mondo. Candidato alle amministrative nelle file della
Democrazia Cristiana, alla vigilia delle elezioni del 6 ottobre 1946 è investito da un camion militare. Il giorno del suo funerale la città di
Rimini si accorge di aver avuto, fra i suoi figli migliori, un giovane santo.
Suor Giuseppina Carnovali nasce il 10 marzo 1941 a Rescalda, Milano. A 20 anni, piena di vigore e di entusiasmo, entra nell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice e percorre le tappe formative con un ardente desiderio di essere missionaria oltre confine. Il 5 agosto 1963,
realizza il sogno di diventare suora salesiana, consacrata a Dio per i giovani.
Ancora giovane suora parte per il Mozambico, e lì, nella città di Naamacha, emette i Voti Perpetui il 5 agosto 1971, all’età di 30 anni.
Dopo alcuni anni di servizio missionario tra il tanto amato popolo mozambicano, torna a Roma per studiare Teologia Pastorale Missionaria all’Università Urbaniana, ricevendo un nuovo incarico dalla Madre Generale. Nel luglio 1977, parte per Belém do Pará, nel nord del Brasile, il suo nuovo campo di missione.
Nel 1979, suor Giuseppina viene assegnata alle missioni di Rio Negro, in Amazzonia, dove condivide la vita con le popolazioni indigene nelle varie comunità, sempre con entusiasmo, dedizione e responsabilità.
Sr Giuseppina ha sempre avuto un’attenzione particolare per i più bisognosi, accogliendoli con gentilezza, con il sorriso sulle labbra, la voce delicata e ferma, lo sguardo attento e perspicace ma materno, sempre pronta ad aiutare. Con il suo zelo missionario, ha sviluppato molte e varie attività: dal non far mancare i pacchi alimentari per le famiglie indigene più povere (lavoro complesso in zone in cui procurarsi riso, fagioli, latte in polvere e zucchero è difficile e costoso), allo sviluppo di laboratori artigianali, al guidare i giovani al mondo del lavoro, per esempio operando nella radiofonia e installando pannelli solari.
Una missionaria che ha vissuto con lei in diverse Comunità, la descrive così: “Suor Giuseppina è una persona molto delicata, con un cuore sensibile, una missionaria dedita a quello che fa, molto organizzata, precisa, apostolica, attenta a tutti, agli indigeni e soprattutto ai bambini, che sa accontentare e a cui offre sempre qualcosa, anche solo un bicchiere d’acqua per vederli felici. È una religiosa dalla spiritualità semplice e profonda, di fede ardente e fiduciosa e molto affezionata alla Madonna”.
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