Rubrica di educazione a cura di Richard Kermode. Una riflessione sulle modalità di insegnamento
Torno a cercare tra vecchie notizie.
Alla fine di settembre, un’era geologica fa, il Corriere pubblicava un’intervista a tale Norma Cerletti, trentenne, che produce corsi di inglese on line, usando un metodo rapido e, sembra, efficace. Dopo tre anni più di 800mila follower su Instagram. Le sue parole: «I miei guadagni derivano dalla scuola, che lo scorso anno ha fatturato 4 milioni di euro. Proponiamo diversi corsi a pagamento, tutti on line: io curo i contenuti e le lezioni. Abbiamo 50mila allievi». Rimasta senza lavoro con il Covid, si è reinventata: notevole.
Avrebbe senso tornare indietro, insegnare in qualche scuola? Arrivando a quanti studenti? Poche decine, forse. Con quale business? Quattro milioni di fatturato un insegnante non li vede mai!
Di fronte a questo successo, un esempio tra i tanti, mi scopro improvvisamente materialista. Mi sembra che in questo virtualismo spiritualistico, dove tutti sono entusiasti, si impara senza fatica, i soldi scorrono come fiumi e i numeri lievitano, manchi qualcosa. Sembra, a me, che manchi il corpo, la carne. Qualcuno avvertiva che la rete amputava due sensi: odorato e tatto, il senso più esteso della nostra persona umana. Una vera fortuna, direbbe qualcuno: quando si entra in classe non c’è nemmeno bisogno di cambiare aria.
Quanto ognuno di noi deve a degli odori, magari della casa della nonna o di qualcuno dei suoi piatti? Un profumo affettivamente incarnato e unico. Quanto deve, ognuno di noi, ad una mano sulla spalla, ad un buffetto, ad una carezza, ad un abbraccio, ad un bacio, ad una stretta energica? Gesti che danno verità alle parole con cui si accompagnano, che ridanno slancio e vigore alla vita, possibilità di guardarla in modo diverso.
Da inguaribile materialista penso che chi vuole diventare dio non può che perdere qualcosa per strada, solo Dio non ci fa perdere nulla immergendo la sua Parola nella nostra carne umana, nemmeno la possibilità di poter ricominciare, una volta… e poi ancora.
So long!
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