Caterina va in città

Il caos è forse una delle prime caratteristiche del film, che sin dalla prima inquadratura ha un ritmo frenetico, dettato dai numerosi movimenti panoramici della macchina da presa che ben descrivono il senso di spaesamento di Caterina e i suoi tentativi di ricercare la sua vera identità.Alla fine sarà in grado di cogliere la sua essenza, molto più autentica delle marionette isteriche viste per tutto il film.

Caterina va in città

da Attualità

del 13 gennaio 2004

 

Caterina va in città è una commedia che racconta una storia semplice ma con spunti interessanti.

Caterina è una tredicenne che si trasferisce insieme alla famiglia dal paesino di provincia Montalto di Castro in un quartiere popolare di Roma, nella casa ereditata dai nonni.

La madre è una casalinga oppressa e soffocata dalle frustrazioni del marito, il padre un ragioniere con velleità di scrittore. Quest’ulti-mo desidera per Caterina quello che non è riuscito ad ottenere, e la iscrive alla scuola media del centro, il Viscontino, noto per essere frequentato da personaggi di rilievo nella politica e nella cultura romana.

Caterina stringe amicizia prima con Margherita (genitori intellettuali e progressisti, stile di vita alternativo, una passione er mercatini e centri sociali), poi con Angela (papà onorevole di An, macchina con autista, vestiti alla moda e mondanità spicciola).

Caterina sarà costretta a seguire ora una moda e ora l’altra, permettendo al regista di offrire una panoramica degli stili di vita dei teenager romani: o sei zecca o sei parioli, o comunista o fascista. Si assiste dunque alla sfilata dei luoghi comuni, delle battute ripetute a pappagallo, in un quadro delle mode giovanili degli ultimi anni.

Non è un film sulla condizione della destra e della sinistra nell’Italia di oggi, ma sulla classe media, sugli emarginati che nessuno mai ascolterà, proprio perché si tratta di gente anonima.

Il film offre lo sguardo di chi deve lottare per farsi accettare da questa città così dispersiva e caotica.

Il caos è forse una delle prime caratteristiche del film, che sin dalla prima inquadratura ha un ritmo frenetico, dettato dai numerosi movimenti panoramici della macchina da presa che ben descrivono il senso di spaesamento di Caterina e i suoi tentativi di ricercare la sua vera identità.

Alla fine sarà in grado di cogliere la sua essenza, molto più autentica delle marionette isteriche viste per tutto il film.

Il regista, Paolo Virzì, dimostra come agli schieramenti destra-sinistra si siano sostituiti ormai le divisioni economiche e sociali, le uniche che contino, con la loro etica separatoria e discriminante, visto che oggi sembra conti di più apparire che essere.

Gli eventi si inseguono e si incastrano con un ritmo che diventa quasi frenetico nella parte centrale, in immagini che illuminano una data situazione, ma se ne staccano e passano ad altro prima di averla esaurita del tutto, diffondendo un senso di necessaria incompletezza che si può leggere come metafora dell’accele-razione e della velocità del quotidiano con tutto il suo sfuggente significato. 

Questa profonda umanità si propaga in tutto il film. La stessa Caterina, col suo passaggio dall’innocenza della provinciale Montalto di Castro alla consapevole irrequietudine della capitale, si snoda attraverso un processo di crescita, di formazione, che scava nella purezza del personaggio alla ricerca di un’identità. Ancora una volta, gli schematismi politici (i dibattiti in classe tra le zecche di sinistra e i pariolini di destra) cedono il passo ad una realtà più profonda, incastrata nel contesto sociale dei diversi nuclei familiari a cui le tre giovani protagoniste appartengono.

 

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