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del 15 maggio 2005
 Finalmente almeno uno tra le decine di periodici femminili ha rotto gli indugi e fatto una scelta di campo. Basta con «il sì e il no per me pari son» che ha contraddistinto fin qui alcune riviste; altre, soprattutto i mensili, hanno semplicemente fatto la gnorri: referendum, quale referendum? Dunque, questa settimana si segnala una discesa in campo precisa, senza dubbi, esplicita: è quella di Donna Moderna (Mondadori, 500 mila copie di diffusione) che a pagina 49 titola 'Fecondazione: è ora di scendere in campo per il sì'. La posizione del periodico, che evidentemente chiama alla mobilitazione le sue lettrici, è espressa dalla giornalista Stella Pende. Una bella responsabilità, si direbbe: invitare a 'scendere in campo' significa anche spiegare, argomentare, informare correttamente. Invece Stella Pende sciorina slogan già mille volte sentiti. La legge 40 «vieta di guarire» a molti malati perché proibisce la ricerca sugli embrioni: «Non è inutile ricordare quanto odiose e mortali malattie, dall’Alzhaimer a quelle vascolari e cardiologiche, la suddetta ricerca potrebbe aiutare e a breve perfino debellare. Perché condannare malati curabili?». Il ritornello, insomma, non cambia e sfiora il patetico, nonostante da mesi illustri scienziati si stiano affannando a spiegare che non esiste nessuna terapia, nemmeno sperimentale, basata sulle cellule staminali embrionali. 'Donna Moderna'. Ma un po’ superficiale.
 
Allegrotto il tono sfoggiato dalla giornalista americana Linda Dackman in un articolo pubblicato da La Repubblica delle Donne, il cui titolo è già un programma: 'Cercando l’amore nella banca dello sperma'. Il pezzo autobiografico racconta la difficile selezione del donatore perfetto da parte di Linda, 42 anni. Resasi conto che il tempo per trovare l’uomo giusto con cui mettere al mondo un bambino stava per scadere, la donna ha deciso di «fare tutto da sola», recandosi alla Sperm Bank of California per una fecondazione eterologa. Lo shopping nel reparto congelati non è facile, il campionario è vasto. Però la tariffa per la consultazione dello schedario con i dati (tutto, tranne nome e cognome) dei donatori è oraria. Dunque basta pagare e ci si può riflettere con calma. Il ragazzotto metà giapponese metà ebreo andrebbe bene («Ebreo, come me, la parte giapponese sarebbe una variante simpatica»), ma se l’etnia mista «fosse un errore?». O il lentigginoso che ama l’arte («La pelle lentigginosa non è proprio la mia preferita, ma la scrittura è bellissima»)? Oppure il numero 537, che fa il professore di filosofia è ha un bel colorito di pelle? Infine la decisione (tormentata: sta scegliendo un padre per suo figlio, mica un nuovo fondotinta): «Prendo il filosofo questa volta. Ma mi piacerebbe tenermi il ragazzo lentigginoso per la prossima. E forse il giapponese di riserva». Alla fine dell’articolo, rimane un dubbio: perché il titolo diceva 'Cercando l’amore'? Mah.
 
Ancora dall’America arriva un’altra storia, raccontata da Oggi: è la vicenda di Teresa Anderson, 25 anni, che ha 'prestato' l’utero (non proprio un prestito come scrive la rivista, però: il compenso era di 15 mila dollari) a una coppia di immigrati messicani con difficoltà procreative. Arruolata su internet («Nessun anonimato squallido e cauteloso, almeno questo volta», è il commento del giornalista Mauro Suttora da Phoenix, Stati Uniti), Teresa si è fatta impiantare cinque embrioni e tutti hanno attecchito. Le foto mostrano una donna con un pancione enorme, poi cinque piccolini prematuri e una coppia molto felice per il contratto andato abbondantemente a buon fine. Uscita dall’ospedale dopo le opportune terapie per la prematurità, la «piccola 'squadra di pallacanestro' è passata nelle mani dei 'legittimi proprietari'», commenta il giornalista. Questa volta il titolo del servizio è azzeccato: «Paghi 1, prendi 5». Fustini di detersivo? Ma no, cosa avete capito: gemellini. Evviva.
 
Antonella Mariani
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