Credere in Dio e crescere nella propria fede anche grazie a coloro che professano un'altra religione. Non è una nota alla voce “fratellanza”, ma la base per un ecumenismo vero.
Credere in Dio e crescere nella propria fede anche grazie a coloro che professano un’altra religione. Non è una nota alla voce “fratellanza”, ma la base per un ecumenismo vero. Questo lo spirito sotteso all’incontro “L’amore secondo l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam” organizzato dalla Fuci (Federazione Universitaria Cattolica Italiana) in collaborazione con Ugei (Unione Giovani Ebrei Italiani) e Coreis (Comunità Religiosa Islamica) mercoledì 23 ottobre all’Università degli Studi, sede di via Festa del Perdono. Un ecumenismo più volte invocato in questi mesi da papa Francesco, sulla scia delle parole di Gesù nel Cenacolo: Ut unum sint, che siano un’unica cosa. Ma da dove partire per riflettere su questa amicizia tra le religioni? Per questa prima conferenza si è scelto di parlare dell’amore, croce e delizia della riflessione di poeti, teologi, filosofi.
Che cos’è l’amore? Tutti si fanno questa domanda. Gialal al-Din Rumi, uno dei più grandi scrittori persiani, dice che a questo interrogativo Dio rispose: Lo saprai quando sarai me. Abd Al Ghafur Masotti, intervenuto all’incontro su invito della Coreis, ha spiegato le parole dello scrittore persiano richiamando l’idea che l’archetipo di tutte le relazioni positive sia l’uno indivisibile: l’amore tra l’uomo e la donna è riflesso dell’amor di Dio, perché tutti sono attratti dal principio da cui discendono.
Bene: un’unità originaria alla quale si cerca continuamente di ritornare e che si può realizzare solo grazie all’amore, per Dio e per il prossimo. Non pensiamo, però, a qualcosa di astratto, di intoccabile. L’ebraismo, con la sua attenzione a 613 comandamenti di cui solo 5 possono essere detti spirituali, ci ricorda che l’amore è concreto, nasce e cresce nella quotidianità, anche e soprattutto con il corpo: l’uomo e la donna inizialmente erano uniti, ma una volta separati le loro caratteristiche si sono divise, per questo hanno bisogno l’uno dell’altra per ricreare quell’unico corpo. Nella Thorah non c’è momento spirituale più alto dell’unione fisica tra marito e moglie, dice Gheula Cannaruto Nemn, intervenuta per l’Ugei. Per sottolineare la pertinenza dell’amore come via verso l’unità si ricorre alla Cabala (secondo cui ogni lettera dell’alfabeto ebraico indica un numero o più; quindi, ogni parola ha un valore dato dalla somma delle singole lettere): EChaD in ebraico significa “unità/Uno” ed è uguale a 13 (A = 1 + Ch = 8 + D = 4), ma anche la parola “Amore”, Ahavah, ha lo stesso numero (A=1, H=5, V=2, H=5).
Padre Silvano Fausti, gesuita della Comunità di Villapizzone, si inserisce nella trama del discorso di Gheula Cannaruto prendendo a riferimento la Lettera di san Paolo ai Corinzi, al capitolo 13, dove la carità viene posta al di sopra di tutti i carismi. L’apostolo la descrive solamente utilizzando verbi, a voler dire che amore è azione, è concretezza. Ecco il punto di svolta. San Paolo, poco prima di parlare del primato della carità, elenca i doni conferiti agli uomini che distinguono le loro abilità: parlare lingue diverse, guarire i malati, insegnare, sono grandi carismi. Eppure non bastano. Qual è la via che fa da tetto ad ogni cosa, che accoglie tutto? L’amore: copre il limite dell’uomo, è proprio in esso che si genera il luogo d’incontro con gli altri.
L’uomo e la donna incompleti se separati, la non ancora realizzata unione con Dio: tutta la creazione ci parla del limite, eppure è proprio nel bisogno, nella mancanza, che il desiderio di unità si realizza. Cos’è quindi l’amore? È ciò che fa di due uno solo.
L’amore è il mio credo e qualunque strada prendano i suoi cammelli, l’amore è sempre la mia religione e la mia fede, dice il maestro musulmano Ibn Arabi. Questa la base del dialogo interreligioso, questo il suo arrivo. È cercare la quadratura del cerchio? Forse no. Il presidente della Coreis , lo Shaykh Abdel Wahid Pallavicini, presente in sala durante l’incontro, ha ribadito che già esiste la base per la comprensione tra i fratelli di fedi differenti: accomunare le vocazioni nell’attesa del Messia per la fine di un mondo, quello conosciuto, e non del mondo, che è quello eterno della relazione tra Dio e l’uomo. Uniti nell’amore, quindi, e uniti nell’attesa.
Ilaria Cuffolo
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