IL TIFOSO: una volta alla settimana il tifoso fugge dalla sua casa e va allo stadio. Sventolando le bandiere,suonando le raganelle, i razzi, i tamburi piovono le stelle filanti e i coriandoli...IL FANATICO: arriva allo stadio avvolto nella bandiera del club, la faccia dipinta con i colori della adorata maglia, irto di oggetti stridenti e contundenti e già lungo la strada crea molto baccano e molti guai. Non viene mai solo. Nel mucchio selvaggio,
del 01 gennaio 2002
IL TIFOSO
Una volta alla settimana il tifoso fugge dalla sua casa e va allo stadio. Sventolando le bandiere,suonando le raganelle, i razzi, i tamburi piovono le stelle filanti e i coriandoli: la città sparisce, la routine si dimentica, esiste soltanto il tempio. In questo spazio sacro, l’unica religione che non ha atei esibisce le proprie divinità. Anche se il tifoso potrebbe contemplare il miracolo, più comodamente, dallo schermo della televisione, preferisce intraprendere il pellegrinaggio verso questo luogo dove può vedere in carne e ossa i suoi angeli battersi a duello contro i demoni di turno.
Qui il tifoso agita il fazzoletto, ingoia saliva, glup, ingoia veleno, si mangia il berretto, sussurra preghiere e maledizioni e all’improvviso gli erompe dalla gola un ovazione e salta come una pulce abbracciato allo sconosciuto che grida gol al suo fianco. Fino a quando dura la messa pagana, il tifoso è folla. Con migliaia di fedeli condivide la certezza che noi siamo i migliori, che tutti gli arbitri sono venduti, che tutti i rivali sono imbroglioni.
Raramente il tifoso dice: “Oggi gioca la mia squadra”, ma “Oggi giochiamo”. E sa bene, questo giocatore numero dodici, che è lui a soffiare i venti del fervore che spingono il pallone quando dorme, e gli altri undici giocatori sanno bene che giocare senza tifosi è come ballare senza musica.
Quando la partita si conclude, il tifoso,che non si è mosso dalla tribuna, celebra la sua vittoria: “Che goleada gli abbiamo fatto; che batosta gli abbiamo dato”, o la sua sconfitta: “Ci hanno fregato di nuovo, arbitro bastardo”. Allora il sole se ne va e se ne va anche il tifoso. Scende l’ombra sullo stadio che si svuota. Sulle gradinate di cemento ardono qua e là alcune fiamme di fuochi fugaci, mentre le luci e le voci si spengono. Lo stadio resta solo e anche il tifoso ritorna alla sua solitudine di io che è stato noi. Il tifoso si allontana, si sparpaglia,si perde, e la domenica è malinconica come un mercoledì delle ceneri dopo la morte del carnevale.
IL FANATICO
Il fanatico è il tifoso da manicomio. La mania di negare l’evidenza ha finito per mandare a picco la ragione e tutto quello che le somigli, e alla deriva vanno i resti del naufragio in queste acque bollenti, sempre agitate da furia senza tregua.
Il fanatico arriva allo stadio avvolto nella bandiera del club, la faccia dipinta con i colori della adorata maglia, irto di oggetti stridenti e contundenti e già lungo la strada crea molto baccano e molti guai. Non viene mai solo. Nel mucchio selvaggio, pericoloso millepiedi, l’umiliato diventa umiliatore e il pauroso incute paura. L’onnipotenza della domenica esorcizza la vita obbediente del resto della settimana, il letto senza desiderio, il lavoro senza vocazione o il non lavoro: libero per un giorno, il fanatico ha molte cose da vendicare.
In stato di epilessia guarda la partita, ma non la vede. Il suo regno è la tribuna. Lì sta il suo campo di battaglia. La sola esistenza del tifoso di un’altra squadra è una provocazione inammissibile. Il Bene non è violento, ma il Male lo obbliga. Il nemico sempre colpevole, merita che gli rompano il collo. Il fanatico non può distrarsi perché il nemico è in agguato dappertutto. Si nasconde anche dentro lo spettatore silenzioso che in qualsiasi momento potrebbe arrivare a pensare che il rivale sta giocando bene, e allora avrà quel che si merita.
Bibliografia:
EDUARDO GALEANO, Splendori e miserie del gioco del calcio, Sperling & Kupfer Editori.
Renzo Moreale
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