Il nostro corpo è sempre più oggetto di attenzioni ma nella corsa alla perfezione sembra sfuggire il suo ruolo primario: è attraverso il corpo che noi esistiamo nel mondo, che ci relazioniamo agli altri e a Dio, che diciamo alle persone quanto le amiamo, che le accogliamo dentro di noi come il più grande dei doni.
di Giovanna Abbagnara, tratto da puntofamiglia.net
Il nostro corpo è sempre più oggetto di attenzioni ma nella corsa alla perfezione sembra sfuggire il suo ruolo primario: è attraverso il corpo che noi esistiamo nel mondo, che ci relazioniamo agli altri e a Dio, che diciamo alle persone quanto le amiamo, che le accogliamo dentro di noi come il più grande dei doni.
Che valore ha il corpo di chi amo? Come lo devo guardare? Come lo posso amare? È possibile scindere il cuore dal corpo nell’amore? Sono domande che ci siamo posti almeno una volta nella vita e a cui forse non abbiamo mai dato le risposte giuste, condizionati dall’educazione, dall’esperienza, da una società che ci impone una assoluta libertà nell’amministrazione del nostro corpo. Un uomo meraviglioso ne ha dato una definizione che vale la pena custodire come una delle perle più preziose che sono state mai scritte: “Il corpo, e soltanto esso, è capace di rendere visibile ciò che è invisibile: lo spirituale e il divino. Esso è stato creato per trasferire nella realtà visibile del mondo il mistero nascosto dall’eternità in Dio [l’amore di Dio per l’uomo], e così esserne segno”. È Giovanni Paolo II a dire queste parole all’interno di un ciclo di incontri che formano la Teologia del Corpo, una raccolta di 129 discorsi che il Santo Papa ha pronunciato nelle sue Udienze del mercoledì dal 1979 al 1984.
Un condensato di riflessioni, sollecitazioni, suggestioni poetiche sul nostro corpo. Un corpo che spesso non sopportiamo, che vorremmo essere diverso da quello che è. Un corpo che usiamo per consumare piaceri momentanei, un corpo che non curiamo o curiamo troppo. Un corpo che non riesce a rendere “visibile ciò che è invisibile”. Eppure, è proprio attraverso questo corpo che noi esistiamo nel mondo, che ci relazioniamo agli altri e a Dio, che diciamo alle persone quanto le amiamo, che le accogliamo dentro di noi come il più grande dei doni.
Qualche anno fa rimasi molto impressionata dalla moda del cutting, una forma di autolesionismo diffuso tra i ragazzi in età compresa tra i 12 e i 18 anni che si tagliavano, incidevano, gambe e braccia con lamette, coltelli affilati, temperini, punte di vetro, lattine usate. Più colpite le femmine rispetto ai maschi. Una ragazza che utilizzava spesso questa tecnica mi disse che: “tagliarmi mi rilassa, il dolore neutralizza l’ansia”.
Quella ragazza mi confermò che la pelle, il corpo è il confine tra il mondo interiore e quello esterno e che noi adulti spesso non sappiamo decifrare la domanda di senso nascosta dietro alcune affermazioni o azioni dei nostri giovani. Il corpo è una frontiera molto importante sulla quale una cultura illusoriamente libera e liberante ha costruito tutto il suo potere. A pochi interessa ormai cosa fai del tuo corpo: i genitori evitano la domanda perché incapaci di dare una risposta, i giovani schivano la domanda pensando di ricalcare le orme degli amici, gli adulti rassegnati allontanano la domanda pensando che basta un po’ di sesso per appianare le relazioni; spesso anche i consacrati non sono accuratamente accompagnati nel percorso di maturazione affettiva e sessuale. E così bistrattato, esibito, impoverito, marchiato da tatuaggi sempre più grandi, questo corpo è sempre di più la brutta copia del nostro cuore senza Dio. La delicatezza, il pudore, il sorriso, la bontà dei gesti, la cortesia dei modi, l’imperfezione di alcuni tratti che denotano l’unicità: cose passate di moda a favore dell’aggressività, della durezza, della scortesia, dell’omologazione.
Due anni fa, fui invitata a parlare in un liceo classico dell’importanza di custodire il proprio corpo e di vivere pienamente la propria sessualità. Una ragazza con i capelli colorati di rosa sulle punte, un grande anello nel naso, i pantaloni di due taglie più grandi mentre parlavo si agitava sulla sedia riluttante fino a che, armata di tutto il suo coraggio, come una eroina, si issò su un banco e afferrato il microfono gridò a squarciagola quello slogan che tante volte era risuonato nelle piazze negli anni del femminismo: “Il corpo è mio e lo gestisco io”!
Un coro di applausi si levò in aula. Non mi sfuggì lo sguardo che quella ragazza in piedi sul banco rivolse alla sua amica vicina che era in lacrime e che poi scoprì aveva abortito da pochi giorni. Lo aveva fatto per lei. Per difenderla dalle mie parole sull’importanza della vita nascente nel grembo. Da madre provai una tenerezza grandissima e un dolore intenso per quelle due ragazze. Dietro la spavalderia di una e il pianto dell’altra c’era un vuoto che nessuno aveva saputo colmare, un’assenza che gridava vendetta. Gli adulti, i genitori ci sono quando devono sopperire alle necessità fisiche dei propri figli ma non sanno decifrare le richieste del cuore. Non hanno gli strumenti e forse neanche loro hanno un buon rapporto con il proprio corpo.
Anche ai corsi di preparazione al matrimonio, i discorsi sull’affettività e la sessualità si riducono a pochi incontri strumentali: cosa sono i metodi naturali e come si pratica una IVG quasi sperando di spaventarli. Punto. È tutto qui. Queste sono le basi dei genitori di domani? Chi parla ai giovani del valore della castità? Chi dice loro che non è un “no” ai piaceri e alla gioia della vita, ma il grande “sì” all’amore come comunicazione profonda tra le persone, che richiede il tempo e il rispetto, come cammino insieme verso la pienezza? Chi testimonia con la propria vita la bellezza di una sessualità che non resta rinchiusa nel cerchio del proprio corpo e dell’emotività ma che si compie in una chiamata più bella e più grande?
Sono domande non secondarie. Ci fidiamo e ci affidiamo al tempo, alle mode, ai guru del momento e non ci impegniamo a rendere con il nostro corpo visibile la traccia del Creatore che portiamo dentro di noi né ad educare i giovani a farlo. Sento una grande responsabilità e una Chiesa ancora sulle retrovie. Il gender avanza, le leggi che vorrebbero strapparci l’identità sessuale anche ma noi assistiamo come spettatori passivi e come se tutto questo non ci riguardasse. Abbiamo altre cose da fare e da pensare mentre altri astutamente cercano di modificare il quadro antropologico sull’uomo e sulla donna. Quando ci sveglieremo dal sonno potrebbe essere tardi. Molto tardi.
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