Ciao, Benedetta Maria. E grazie

Ognuno di noi nella sua breve o lunga esperienza infermieristica si pone molti "perché". Inevitabili quando si accompagna il dolore degli altri, lo si tocca e ci si convive. Tu, Benedetta Maria, non ci hai fatto assaporare il silenzio. Piccolissima, ci hai aiutato a dare voce alla parte più grande dell'uomo che è il senso della sua esistenza.

Ciao, Benedetta Maria. E grazie

Caro direttore, la lettera che segue è stata scritta e condivisa da persone coinvolte nell’esperienza di vita e di morte di nostra figlia Benedetta Maria, per 9 mesi portata teneramente in grembo dalla mamma e per altrettanti mesi assistita, con altrettanto amore, da medici e infermieri della terapia intensiva pediatrica dell’Ospedale di Padova.

Benedetta Maria è entrata per 7 volte in sala operatoria a causa del suo cuoricino ammalato, ha superato momenti drammatici e, infine, il mattino della Santa Pasqua ci ha lasciati. La sua vita forse «inutile» per chi non crede, o semplicemente non ama l’umanità, ha toccato molti cuori. Un segno bellissimo in un tempo nel quale si parla tanto contro la vita e si inneggia all’aborto come diritto di libertà. Un caro saluto. Maurizio e Francesca Carissima Benedetta Maria, a scriverti sono le tue amiche e i tuoi amici che hanno avuto il dono di accudirti durante i lunghi mesi che tu hai trascorso con noi. Nei nostri reparti la sofferenza e la morte ci sono compagne. Siamo diventate infermiere e infermieri per questo, per accudire, per soddisfare i bisogni dei pazienti, per assisterli nei momenti belli, come la nascita, e in quelli meno belli. Tutti i giorni noi facciamo questo, è il nostro lavoro. Un sacro lavoro. E ognuno di noi nella sua breve o lunga esperienza infermieristica si pone molti "perché". Inevitabili quando si accompagna il dolore degli altri, lo si tocca e ci si convive, quando gli altri li si trascina e li si accoglie. Ma ci sono momenti in cui questi perché trovano una risposta che è sorprendente e persino sconvolgente. Capace di sconfiggere quel silenzio che a volte sembra essere l’unico suono che ci risponde. Tu, Benedetta Maria, non ci hai fatto assaporare il silenzio. Piccolissima, ci hai aiutato a dare voce alla parte più grande dell’uomo che è il senso della sua esistenza. E che rumore è stato...

Fin dai primi giorni in terapia intensiva cardiologica, quando ancora la situazione non era stabile, nella tua culla hai continuato a suscitare questo rumore nella nostra coscienza. Rumore amplificato e spiegato dai tuoi genitori che, alla sera, durante l’unica visita possibile, accarezzandoti dicevano: «Benedetta Maria, noi siamo qua, con te. Ma sia fatta la volontà del Signore, non la nostra. Noi vorremo che tu rimanessi qui, ma deciderà Lui. Noi ci siamo. E Lui anche…». Tutti noi ascoltavamo. Senza più chiederci perché, ma "come". Come si può dire questo? La risposta è stata subito chiara: si può, se c’è la fede. La fede che è affidamento incondizionato e gratuito al mistero di Dio. Affidamento: parola bella e inquietante. Quanto doloroso è stato l’affidamento che voi genitori avete fatto mettendo la vostra bimba nelle nostre mani di medici e di infermieri, in questa struttura ospedaliera che non era la vostra comunità, ma un’entità estranea che solo con il passare dei mesi è diventata familiare. Molti di noi hanno ricevuto, così, un grande dono conoscendovi. Tuo papà e tua mamma, Francesca e Maurizio, e tu, Benedetta Maria, ci avete insegnato a fidarci di Dio. Sempre. Anche quando le cose non vanno come noi vorremmo.

Alla notizia che una nostra collega infermiera stava molto male, i tuoi genitori ci hanno risposto che ci sareste stati vicini, pur stanchi e provati. E tu più di tutti, Benedetta Maria, con la tua sofferenza che è preghiera. Non lo dimenticheremo. Come non lo dimenticherà la nostra collega, Barbara, che ti ha preceduto in cielo e che ti aveva assistito nei tuoi primi giorni di vita. Siamo convinti che il giorno di Pasqua ad accoglierti lassù, assieme ai tutti i tuoi cari, ci sia stata anche lei, che tanto amava i bambini. E non è bastato, nel silenzio del nostro ospedale, il "rumore" di fede durato per mesi dei tuoi genitori. Che ci hanno spiazzato come mai prima quando alla notizia che Benedetta Maria era tornata alla casa del Padre alla mattina del giorno di Pasqua si sono messi a piangere di gioia «Dio – ci hanno detto – non poteva accoglierla in un giorno migliore di questo». Questo è il dono più grande che ogni essere umano deve vivere e chiedere: la fede. Con essa, tua mamma e tuo papà ce l’hanno dimostrato, i "perché" trovano risposta e la sofferenza e la morte acquistano senso. È così: ognuno di noi ha senso solo nell’affidamento all’altro. L’altro è il nostro prossimo. E il prossimo è Dio.

Benedetta Maria, sei nata un anno fa, il 14 luglio, giorno della morte di San Camillo de Lellis, alla quale sei stata affidata fin dai primi istanti dai padri Camilliani che si occupano di visitare e confortare i nostri malati. Padre William, che è stato in modo speciale accanto a te e ai tuoi genitori, conferma ora dall’India le sue preghiere e invia il suo grazie. Lo stesso grazie a cui ci uniamo tutti. Corri e vola come l’angelo che sei sempre stata, Benedetta Maria. Adesso lo puoi fare, veglia su di noi. Ciao.

I tuoi amici dell’ospedale di Padova

 

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