Meditazione sul vangelo della II domenica di Quaresima, in stile salesiano da Don Paolo Mojoli.
Durante le domeniche precedenti, abbiamo meditato e contemplato le tentazioni di Gesù e la sua Trasfigurazione. Questi avvenimenti apparentemente riguardano solo Gesù, ma in realtà risiedono nel profondo più profondo anche di noi stessi.
Oggi vediamo come il vangelo parta da episodi concreti: delle tragedie che avevano ucciso gente innocente e gettato alcuni nella fatica della fede.
E poi una parabola in cui ci si riferisce proprio a ciascuno di noi e alle nostre scelte per il bene o rivolte al male.
1. Il dolore innocente aveva scandalizzato, era divenuto un inciampo per la fede dei Giudei di quel tempo, come spesso capita anche a noi.
Anche oggi, come rimanere immobili e tranquilli in poltrona vedendo le immagini di madri e di padri che piangono la morte dei loro figli, a causa di granate gettate sui civili?
In uno dei vertici assoluti della letteratura mondiale, troviamo il seguente intervento, all’interno di uno straordinario dialogo tra due fratelli: Alëša (credente in Dio e discepolo di un saggio padre spirituale) e Ivan (che nutre molti dubbi sulla fede, ma cerca di avvicinarsi a Dio ponendo questioni imbarazzanti al fratello).
Ivan conclude il suo ragionamento con le seguenti parole:
«Si può amare il prossimo in astratto, a volte anche da lontano, ma da vicino è quasi sempre impossibile…
Volevo soltanto esporti il mio punto di vista.
Volevo parlare delle sofferenze dell’umanità in generale, ma è meglio se ci soffermiamo solo sulle sofferenze dei bambini. Questo riduce le mie argomentazioni ad un decimo della loro portata, ma è meglio parlare solo dei bambini, sebbene questo non vada a mio vantaggio.
In primo luogo, i bambini si possono amare anche da vicino, anche se sono sporchi, brutti di viso (anche se a me pare che i bambini non siano mai brutti).
Il secondo motivo per cui non voglio parlare degli adulti è che, oltre ad essere disgustosi e incapaci di meritarsi l’amore, per loro si tratta anche della giusta punizione: hanno mangiato la mela [ossia, sono peccatori], conoscono il bene e il male, e sono divenuti “come Dio” [in modo simile a Adamo e Eva nel paradiso terrestre]. E continuano a mangiarla anche adesso. I bambini invece non hanno mangiato niente e per ora non sono colpevoli di nulla.
Tu ami i bambini, Alëša?
So che li ami e certo capirai per quale motivo voglio parlare solo di loro.
E se anche loro soffrono terribilmente su questa terra, è ovviamente per colpa dei loro padri, sono puniti a causa dei loro padri che hanno mangiato la mela [hanno peccato]; ma questo ragionamento appartiene ad un altro mondo [ossia, si tratta di questioni di fede], ed è incomprensibile per il cuore umano qui sulla terra.
Gli innocenti non devono soffrire per le colpe degli altri, soprattutto se sono innocenti come i bambini! Forse ti meraviglierò, Alëša, ma anch’io amo moltissimo i bambini».
(F. M. Dostoevskij, I fratelli Karamazov)
Per noi potrebbe essere tradotto: è più facile cambiare canale di fronte a notizie di guerra oppure pregare per l’Ucraina, offrire anche delle donazioni, accogliere concretamente una famiglia di ucraini nella nostra abitazione...?
Pensando all’attualità, che senso ha ospitare profughi ucraini, raccogliere materiale per loro (cosa molto bella ed evangelica), se poi rischiamo di rovinarci con la guerra in casa (in famiglia o in comunità), fra noi, con maldicenze, pettegolezzi, giudizi affrettati e spesso taglienti?
Forse che anche noi, con il nostro buonismo, per mezzo di una fede solo formalista, siamo come il fico che non porta frutto?
Le fonti più attendibili (solo per fare un esempio, quelle dei missionari che vivono in tutto il mondo), attestano che in questo momento non c’è solo la guerra in Ucraina. È vero, questa ci tocca più da vicino per motivi geografici, storici, finanziari, di sicurezza, di rilievo mediatico… e molto altro.
Ma chi ci racconta degli almeno altri 20 conflitti armati aperti nel mondo oggi, in cui nessuno si cura di diritti umani?
Non è che la nostra stessa intima mentalità avrebbe bisogno di una profondissima conversione?
2. Cosa conta, anche nelle circostanze più avverse?
La conversione a Gesù e a Dio, docili alla grazia dello Spirito Santo. Convertirsi significa assumere, lasciarci donare gli occhi, la mente, il cuore di Cristo. Il quale ama ogni persona che incontra, anche se puzzolente o antipatica. Nel brano immediatamente successivo a quello riportato poco sopra da I fratelli Karamazov, viene esposta la Leggenda del grande inquisitore.
Si racconta che Gesù ritorna sulla terra, in modo umile ma efficace (compie dei miracoli). Prima viene riconosciuto e adorato. Ma, infine, l’uomo apparentemente più saggio e assennato (il sacerdote, ossia l’inquisitore), si rivolge a Cristo dicendogli:
«Mi sono allontanato dagli orgogliosi e sono tornato fra gli umili per la felicità di questi umili. Quello che ti dico, si avvererà e il nostro regno sarà edificato. Te lo ripeto: domani vedrai il docile gregge che a un mio piccolo cenno si lancerà ad ammucchiare carboni ardenti al rogo sul quale ti farò bruciare per essere venuto a disturbarci. Perché se mai c’è stato qualcuno che meritasse più di tutti il nostro rogo, quello sei tu. Domani ti farò bruciare».
Noi, che tipo di sacerdoti, consacrati/e, genitori, educatori, animatori siamo?
Come questo inquisitore, allontaniamo la gente dal vero Gesù per tenere le persone strette a noi e ai nostri grandi e piccoli interessi?
O rimaniamo sempre in ascolto del Signore crocifisso e risorto, allo scopo di avvicinare le persone a Lui?
3. Misericordia e pazienza di Dio, che dona a ciascuno, ad ogni comunità, famiglia, alla Chiesa la possibilità di convertirsi: un totale cambiamento di rotta. Ma non basta sottolineare la pazienza: si parla nel vangelo di oggi di tre anni (vedi il tempo di tre anni del ministero attivo di Gesù?) durante i quali Dio cerca i frutti dell’albero. Il frutto non è solo una realtà esterna, ma nasce dal profondo del cuore ed è prima di tutto dono di Dio.
Cerchiamo o sfuggiamo le occasioni per essere verità e carità?
Ci accontentiamo di vivere una solidarietà solamente umana e orizzontale con il nostro prossimo, oppure desideriamo sempre più lasciarci inserire in una carità (verticale) di Dio che ci precede?
4. San Francesco di Sales ci ricorda l’infinita pazienza di Dio; ma anche l’urgente necessità di rispondere positivamente a questa offerta d’amore. Inizialmente, quando – da sacerdote – si dedicò con tutto se stesso alla conversione della regione del Chiablese, vi erano solo 5 convertiti al cattolicesimo. Ma Francesco continua con impegno rinnovato a mettere tutta la propria fede e speranza, che portano all’impegno concreto di carità, a favore di quella povera gente.
5. Don Bosco diceva e dimostrava sia che «non è mai troppo presto per convertirsi».
Sia, che «ognuno oggi, può convertirsi».
Ma stiamo bene attenti a non «approfittare» della bontà di Dio: potrebbe venire (e verrà) il momento in cui «è ormai troppo tardi per convertirsi».
Don Paolo Mojoli
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