«Chi ama il proprio sogno di comunione cristiana più della comunione cristiana effettiva, è destinato ad essere un elemento distruttore di ogni comunione cristiana, anche se è personalmente sincero, serio e pieno di abnegazione. Dio odia l'abbandono alla fantasticheria, che rende orgogliosi e pretenziosi...».
del 01 gennaio 2002
Dietrich Bonhoeffer (1906-1945)
Condannato dal nazismo e impiccato il 9 aprile 1945 a 39 anni nel campo di concentramento di Flossenbürg, Dietrich Bonhoeffer fu un costante animatore della “Chiesa confessante” di Germania. Fu pastore e teologo; la sua riflessione etica e soprattutto la sua visione cristologica esercitano oggi un influsso considerevole sul pensiero cristian
Comunione spirituale e comunione ideale[1]
In moltissimi casi un’intera comunità cristiana si è dissolta, in quanto si fondava su un ideale. E spesso è proprio il cristiano rigoroso, che entra per la prima volta in una comunione di vita cristiana, a portarsi dietro un’idea ben precisa del vivere insieme tra cristiani, e a cercare di realizzarla. Ed è poi la grazia di Dio che fa rapidamente svanire simili sogni. Dobbiamo cadere in preda a una grande delusione circa gli altri, i cristiani in genere e, se va bene, anche circa noi stessi, e a questo punto Dio ci farà conoscere la forma autentica della comunione cristiana. È la pura grazia di Dio a non permettere che viviamo nell’ideale, nemmeno per poche settimane, che ci abbandoniamo a quelle gratificanti esperienze e a quella felice esaltazione che ci sopraggiungono come un’ebbrezza. Dio infatti non è un Dio delle emozioni dell’animo, ma un Dio della verità. La comunità comincia ad essere ciò che dev’essere davanti a Dio solo quando incorre nella grande delusione, con tutti gli aspetti spiacevoli e negativi che vi sono connessi; solo a quel punto comincia a comprendere nella fede la promessa che le è stata data. È un vantaggio per tutti che questa ora della delusione circa gli individui e la comunità sopraggiunga quanto prima. Ma una comunione incapace di sopportare e di sopravvivere a tale delusione, per il fatto di dipendere dall’ideale, con la perdita di questo perde anche la promessa di una stabile esistenza che è data alla comunione cristiana, e quindi prima o poi per forza va in rovina. Qualsiasi ideale umano, immesso nella comunione cristiana, ne impedisce l’autentica realizzazione, e deve esser distrutto perché possa vivere la comunione vera. Chi ama il proprio sogno di comunione cristiana più della comunione cristiana effettiva, è destinato ad essere un elemento distruttore di ogni comunione cristiana, anche se è personalmente sincero, serio e pieno di abnegazione.
Dio odia l’abbandono alla fantasticheria, che rende orgogliosi e pretenziosi. Chi si costruisce un’immagine ideale di comunione, pretende la realizzazione di questa da Dio, dagli altri e da se stesso. Nella comunità cristiana avanza esigenze sue, istituisce una propria legge e giudica in base ad essa i fratelli e perfino Dio. Si impone con durezza, quasi un rimprovero vivente nel gruppo dei fratelli. Fa come se spettasse a lui solo creare la comunione cristiana, come se fosse il suo ideale a legare insieme gli uomini. Ciò che non va secondo il suo volere, è preso da lui come un fallimento. Quando il suo ideale fallisce, pensa che si tratti della rovina della comunità. E così diventa prima accusatore dei fratelli, poi accusatore di Dio e infine si riduce a disperato accusatore di se stesso. È Dio ad aver già posto l’unico fondamento della nostra comunione, è Dio ad averci unito con altri cristiani in un solo corpo, in Gesù Cristo, ben prima che iniziassimo una vita comune con alcuni di loro: per questo la nostra funzione nel vivere insieme ad altri cristiani non è quella di avanzare esigenze, ma di ringraziare e di ricevere. Ringraziamo Dio per ciò che egli ha operato in noi. Ringraziamo Dio perché ci dà dei fratelli che vivono della sua vocazione, della sua remissione, della sua promessa. Non reclamiamo per ciò che da Dio non ci vien dato, ma lo ringraziamo per ciò che ci dà quotidianamente. Forse non è abbastanza quanto ci viene dato: quei fratelli che con noi vanno avanti e vivono nel peccato e nella miseria, e ai quali è data tuttavia la benedizione della grazia? Forse il dono di Dio ogni giorno, anche nel più difficile e tribolato di una fraternità cristiana, risulta inferiore a questa realtà incomprensibile? Anche dove la vita comune è appesantita dal peccato e dall’equivoco, il fratello che pecca non è pur sempre il fratello, insieme al quale accolgo la parola di Cristo? Il suo peccato non è sempre nuova occasione di gratitudine, per il fatto che entrambi possiamo vivere della remissione che viene dall’amore di Dio in Gesù Cristo? Non è forse in tal modo che proprio il momento della grande delusione nei confronti del fratello diventa per me un impareggiabile momento di salvezza, che mi fa capire fino in fondo che sia lui che io non possiamo vivere in nessun modo delle nostre parole e azioni, ma solo dell’unica parola e azione che ci unisce nella verità, cioè la remissione dei peccati in Gesù Cristo? Nel dissolversi delle nebbie mattutine del sogno, irrompe il giorno chiaro della comunione cristiana.
Per il ringraziamento nella comunità cristiana valgono le stesse considerazioni che per altre situazioni di vita cristiana. Solo chi ringrazia per il poco, riceve anche grandi doni. Impediamo a Dio di farci i grandi doni spirituali che ci ha preparato, perché non siamo grati dei doni di ogni giorno. Pensiamo di non poterci contentare di quel po’ di conoscenza, di esperienza e di amore in campo spirituale che ci è dato, e di dover solo aspirare continuamente ai grandi doni. Lamentiamo la mancanza di certezza ferma, di fede forte, di ricca esperienza, presumendo che Dio ne abbia fatto dono ad altri cristiani, e pensiamo che queste lamentele siano un sintomo di devozione. Preghiamo per grandi cose e ci dimentichiamo di ringraziare per i piccoli (ma in effetti non piccoli!) doni quotidiani. Ma come può Dio affidarci cose grandi, se non vogliamo prendere dalle sue mani il poco con gratitudine? Se non ringraziamo quotidianamente per la comunione cristiana, in cui ci troviamo, anche nel caso che non si tratti di una grande esperienza, di una ricchezza visibile ma piuttosto di un aggregato di debolezze, di poca fede, di difficoltà; se anzi ci lamentiamo con Dio di tutta questa miseria e meschinità, niente affatto rispondente a quanto ci aspettavamo, impediamo a Dio di far crescere la nostra comunione fino a raggiungere quella misura e ricchezza già predisposta per noi tutti in Gesù Cristo. Ciò vale in modo particolare anche per le lamentele che spesso si sentono da parte di pastori o di fedeli zelanti nei confronti delle loro comunità. Un pastore non deve lamentarsi della sua comunità, tanto meno davanti agli uomini, ma neppure davanti a Dio; essa non gli è affidata perché se ne faccia accusatore davanti a Dio e agli uomini. Chi perde la fiducia nella comunità cristiana in cui si trova, e si lamenta di essa, prima di tutto esamini se stesso, e si chieda se Dio non voglia semplicemente distruggere il suo ideale; se è così, ringrazi Dio di averlo posto in questa situazione di disagio. Se invece le cose stanno diversamente, si guardi comunque dal farsi accusatore della comunità di Dio; accusi piuttosto se stesso per la propria incredulità, chieda a Dio di fargli conoscere la propria mancanza e il proprio peccato specifico, preghi di non rendersi colpevole nei confronti dei fratelli, nella conoscenza della propria colpa interceda per i fratelli, faccia ciò che gli è stato assegnato e ringrazi Dio.
Alla comunione cristiana vanno applicate le medesime considerazioni che alla santificazione dei cristiani. È un dono di Dio, su cui non possiamo avanzare pretese. Solo Dio sa come stiano le cose, sia per quanto riguarda la nostra comunione, che per la nostra santificazione. Ciò che a noi sembra debole e meschino, può essere grande e splendido al cospetto di Dio. Come per il singolo cristiano non è il caso di controllare continuamente il polso della propria vita spirituale, così è per la comunione cristiana, che non ci è data da Dio in dono perché continuiamo a misurarne la temperatura. In proporzione alla gratitudine per ciò che riceviamo quotidianamente, si avrà la crescita certa e costante della comunione, sul piano quantitativo e qualitativo, secondo la volontà di Dio.
La fraternità cristiana non è un ideale che noi dobbiamo realizzare, ma una realtà creata da Dio in Cristo, a cui ci è dato di poter partecipare. Quanto più chiara diventa la nostra consapevolezza che il fondamento, la forza e la promessa di tutta la nostra comunione consistono solo in Gesù Cristo, tanto più si rasserena il nostro modo di considerare la comunione, di pregare e di sperare per essa.
[1] Tratto da D. Bonhoeffer, «Vita comune», in Idem, Vita comune. Il libro di preghiera della Bibbia, Queriniana (Opere di Dietrich Bonhoeffer 5), Brescia 1973, pp. 22-25.
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