Guardare l'Ostia consacrata significa fissare gli occhi della mente sul mistero adorabile di Cristo, realmente presente nel sacramento dell'Eucaristia, lasciarsi abbagliare dalla sua ineffabile luce divina, ad entrare in quel 'turbine d'amore' che stupisce e rapisce, inebria e incanta, attira e innalza verso il cielo.
del 28 maggio 2005
      Il senso dell’adorazione eucaristica nella vita cristiana
 
'Adoro te devote, latens deitas', canta il popolo cristiano raccolto in preghiera per adorare il Santissimo Sacramento. Inginocchiati davanti al Signore, i fedeli vivono una forma di orazione che è rapimento dello sguardo, trasporto della mente, attrazione del cuore.
 
Non si tratta però di una fuga in un’intimità che estranea dall’impegno nella storia, ma di un atteggiamento che coinvolge tutta la persona, anima e corpo, ravviva la speranza e dà forza alla missione: 'Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori - scrive l’apostolo Pietro ai primi cristiani -, pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragioni della speranza che è in voi' (1Pt 3,15z).
 
Adorare è gesto che esprime il desiderio dell’uomo di 'vedere Dio' e di stare alla sua presenza; è dialogo d’amore che attinge forza alla stessa energia divina per trascendere dal visibile all’invisibile e trasformare la vita e la storia in virtù della relazione con Dio.
 
Tutto questo è attestato in numerose pagine della Sacra Scrittura. Ne riprendo solo qualcuna per evidenziare i diversi significati dell’adorazione. Mi riferisco, innanzitutto, alla storia dei Magi, descritta nel Vangelo di Matteo. I sapienti dell’Oriente si mettono in viaggio e compiono una lunga marcia e un faticoso cammino per incontrare 'il Desiderato dalle genti'. Difficoltà, dubbi e incertezze non spengono il desiderio di 'vedere il Signore', al contrario, ne accrescono l’ardore e l’intensità. Finalmente, seguendo la stella, che risplende nella notte come fiaccola e irradia nel mondo la sua luce celeste, arrivano al luogo dove è il 'Re dei re', il Signore Gesù. Giunti alla meta sospirata, si prostrarono davanti al Bambino e lo adorarono, riconoscendo in lui il Verbo incarnato, l’Emmanuele, il Dio-fatto-uomo (Cf Mt 2,11).
 
L’adorazione dei Magi, delle donne al sepolcro, degli Undici
 
'Vedere, prostrarsi, adorare e offrire' sono gli atti compiuti dai Magi, ma sono anche i gesti eucaristici che ogni cristiano deve ripetere. 'Se nel Bambino che Maria stringe fra le sue braccia - ha scritto Giovanni Paolo II nel messaggio per la XX Giornata Mondiale della Gioventù (Colonia 2005) -i Magi riconoscono e adorano l’Atteso delle genti annunziato dai profeti, noi oggi possiamo celebrarlo e adorarlo nell’Eucaristia e riconoscerlo come nostro unico Signore e Salvatore'. Anche noi possiamo 'vedere' i segni della sua presenza e professare la nostra fede in lui; 'piegare le ginocchia' davanti a Colui che, pur essendo l’Altissimo, ha voluto nascondersi dentro un po’ di pane; 'adorarlo' nei segni sacramentali, riconoscendo la sua onnipotenza e la sua signoria; 'offrirgli' la vita che lui stesso ci ha donato.
 
La vicenda dei Magi, però, è solo un tassello di un mosaico più grande. Altre pagine neotestamentarie richiamano scene di adorazione nelle quali l’ineffabile mistero della divinità del Salvatore, nascosta sotto il 'velo' della santa umanità, si manifesta in modo ugualmente toccante. Ed è ancora il Vangelo di Matteo a darne un’eloquente testimonianza nei racconti delle apparizione pasquali.
 
Partite per 'visitare il sepolcro', le donne incontrano il Crocifisso-Risorto, il Vivente, nel cui corpo glorioso sono impressi i segni della beata passione. Al suo apparire, essi si avvicinano, gli stringono i piedi e lo adorano (Cf Mt 28,9). Questa volta, l’adorazione non è il punto d’arrivo di una ricerca umana o l’esaudimento di un bisogno che parte dal basso, ma il 'compimento di una rivelazione' che discende dall’alto. È il Risorto a prendere l’iniziativa, a manifestarsi in una luce nuova, in un’umanità che, all’inizio, sembra non destare particolare interesse, ma poi abbaglia e riscalda il cuore. Riconoscere e adorare il Signore è conseguenza del suo rivelarsi e del suo illuminare. La luce che da lui promana consente di 'vedere' ciò che è nascosto e di stupirsi della sua divina bellezza.
 
Significativamente, il Vangelo di Matteo termina con la descrizione dell’adorazione degli Undici e la promessa di Gesù di rimanere con loro 'tutti i giorni fino alla fine del mondo' (Cf Mt 28,20), chiara allusione alla sua presenza eucaristica. Nell’opera lucana, il mistero dell’ascensione è il momento di passaggio dal tempo di Cristo al tempo della Chiesa. La solennità dell’evento è 'dipinta' da Luca in modo insuperabile: mentre Cristo risorto ascende al cielo, i discepoli, tenendo gli occhi fissi su di lui, sono irresistibilmente attratti dalla sua divina persona (Cf Lc 24,52). Nella suggestiva narrazione lucana si può leggere una velata allusione a un altro aspetto dell’adorazione: la tensione verso l’alto. Adorare è entrare in un 'movimento ascensionale', in un processo di innalzamento e di estasi, di esaltazione e di rapimento; è essere rivolti verso il cielo, contemplando Colui che dal cielo è sceso sulla terra per rimanere con noi fino alla fine dei tempi.
 
Ripartire dall’Eucaristia
 
Guardare l’Ostia consacrata significa fissare gli occhi della mente sul mistero adorabile di Cristo, realmente presente nel sacramento dell’Eucaristia, lasciarsi abbagliare dalla sua ineffabile luce divina, ad entrare in quel 'turbine d’amore' che stupisce e rapisce, inebria e incanta, attira e innalza verso il cielo. E così, di adorazione in adorazione, si giunge alla luminosa dimora dei beati dove l’intero percorso si compie e si trasforma in un incessante canto di lode e di adorazione di Colui che è seduto sul trono (Cf Ap 4,10) e dell’Agnello immolato, che sta ritto in mezzo al trono (Cf AP 5,6-14).
 
Per questo Giovanni Paolo II, all’inizio del nuovo millennio, ha esortato i cristiani a 'ripartire dall’Eucaristia', a sentire cioè la presenza di Gesù nel tabernacolo come polo di attrazione, roveto ardente, mistero tremendo e affascinante davanti al quale prostrarsi e adorare, per ritornare poi nel mondo ad annunciare a tutti il Vangelo della speranza e della gioia. 'La fede - ha scritto Giovanni Paolo II - ci chiede di stare davanti all’Eucaristia con la consapevolezza che stiamo davanti a Cristo stesso. Proprio la sua presenza dà alle altre dimensione - di convito, di memoriale della Pasqua, di anticipazione escatologica - un significato che va ben al di là di un puro simbolismo. L’Eucaristia è mistero di presenza, per mezzo del quale si realizza in modo sommo la promesso di Gesù di restare con noi fino alla fine del mondo' (Mane nobiscum Domine, 16).
 
Il bel libro di don Nicola Bux (Dove Egli dimora. Il senso dell’adorazione nella vita cristiana, Edizioni Paoline, 2005, pagg. 150, Euro 9,50), consultore delle Congregazioni per la Dottrina della Fede e per le Cause dei Santi, è quasi un commento alle parole del Santo Padre e un aiuto per il popolo cristiano a riscoprire la bellezza dell’adorazione, costituisce un prezioso contributo, soprattutto in questo speciale 'Anno dell’Eucaristia' nel quale la Chiesa italiana celebra il Congresso Eucaristico Nazionale (Bari, 21-29 maggio 2005), a vivere una statio comunitaria, un corale atto di contemplazione e di adorazione dell’Eucaristia, sacramento dei sacramenti e sublime mistero della fede.
mons. Francesco Cacucci
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