Cristo non si è fermato al XXI secolo

Uno storico ribalta la diffusa visione pessimistica che ritiene in declino, nello scenario di scontro di civiltà, le confessioni cristiane. «Il Sud del mondo darà una nuova vitalità, ma nel segno del tradizionalismo». Inoltre: «La parola chiave: MORIRE».

Cristo non si è fermato al XXI secolo

da Quaderni Cannibali

del 19 marzo 2005

 

Stiamo attualmente attraversando, in tutto il mondo, un momento di trasformazione nella storia della religione. Negli ultimi cinque secoli o giù di lì la storia del Cristianesimo si è intrecciata in modo inestricabile con quella dell’Europa e delle civilizzazioni d’Oltreoceano di derivazione europea, soprattutto quelle del Nordamerica. Fino a tempi recenti, la stragrande maggioranza dei cristiani si trovava in nazioni di popolazione bianca e questo consentiva ai teorici di parlare con compiacimento e arroganza di una civilizzazione «cristiana europea».

 

D’altro canto, gli scrittori radicali consideravano il Cristianesimo come il braccio secolare dell’imperialismo occidentale. Molti tra noi condividono lo stereotipo del Cristianesimo quale religione dell’ « Occidente » o, per usare un’altra popolare metafora, del Nord del mondo. Si tratta insomma di una religione che si dichiara apertamente come la religione dei ricchi. Per adottare la frase che una volta veniva usata per indicare l’elettorato americano sempre più conservatore degli anni Settanta, lo stereotipo vuole che i cristiani siano non- neri, non- poveri e non- giovani. Se questo è vero, allora la crescente secolarizzazione dell’Occidente può solo significare che il Cristianesimo è alla fine dei suoi giorni. A livello globale, la fede del futuro dovrà essere l’Islam. Nel secolo passato, tuttavia, il centro di gravità del mondo cristiano si è inesorabilmente spostato verso Sud: in Africa, Asia e America Latina. Già oggi, le più grandi comunità cristiane del pianeta si trovano in Africa e in America Latina. Se vogliamo raffigurarci un « tipico » cristiano contemporaneo, dobbiamo pensare a una donna che vive in un villaggio della Nigeria, o in una favela brasiliana. Qualsiasi cosa possano credere gli europei e i nordamericani, il cristianesimo gode di ottima salute nel Sud del mondo; non solo sopravvive, ma si espande. Il cristianesimo dovrebbe godere di un boom mondiale nel nuovo secolo, ma la grande maggioranza di credenti non sarà bianca, né europea, né euroamericana. Secondo l’accreditata World Christian Encyclopedia , oggi ci sono circa due miliardi di cristiani, che costituiscono circa un terzo della popolazione totale del pianeta. La maggior parte, pari a circa 560 milioni di persone, si trova ancora in Europa. L’America Latina, però, viene subito dopo, con 480 milioni. L’Africa ha 360 milioni di cristiani, l’Asia 313 milioni. Nel Nordamerica ci sono circa 260 milioni di credenti.

 

Se estrapoliamo queste cifre e compiliamo una proiezione per l’anno 2025 — supponendo che non vi siano grandi variazioni in più o in meno a seguito delle conversioni — allora avremo 2,6 miliardi di cristiani: di questi, 633 milioni vivrebbero in Africa, 640 milioni in America Latina e 460 milioni in Asia. L’Europa, con i suoi 555 milioni, finirebbe al terzo posto. Sarebbero Africa e America Latina a contendersi il titolo di continente più cristiano. In quell’anno, inoltre, si raggiungerebbe un’altra pietra miliare, perché questi due continenti conterrebbero, messi insieme, metà dei cristiani del pianeta. Nel 2050 solo circa un quinto dei tre miliardi di cristiani del mondo sarebbero non- ispanici bianchi. Presto l’espressione « un cristiano bianco » comincerebbe a suonare come un curioso ossimoro, leggermente sorprendente, tipo « un buddhista svedese » . Persone così esistono, ma nel termine è implicito un pizzico di eccentricità.

L’idea che il Cristianesimo stia letteralmente « andando verso Sud » non è poco familiare, almeno agli studiosi di religione. Si tratta di un tema che viene affrontato spesso in Europa, dove gli affari africani sono più seguiti che negli Stati Uniti. Già negli anni Settanta, di questo cambiamento globale si discuteva nelle ben note opere di studiosi europei come Andrew Walls, Edward Norman e Walbert Buhlmann, e il tema veniva consacrato con la sua inclusione nella « World Christian Encyclopedia » , pubblicata per la prima volta nel 1982. Fu Buhlmann che coniò l’espressione « la Terza Chiesa » , basata sull’analogia con « Terzo Mondo » . L’espressione suggerisce come il Sud rappresenti una nuova tradizione, paragonabile per importanza alle Chiese occidentali e orientali del passato. Grazie alla sola Africa, ad esempio, il numero di cristiani è aumentato in modo stupefacente, passando dai 10 milioni del 1900 ai 360 milioni del 2000.

Se il mondo religioso, il vecchio Cristianesimo, è così sprezzante in merito a questi cambiamenti epocali, non è sorprendente che i commentatori laici li ignorino ampiamente. Nessuno, per esempio, ha posto la domanda essenziale, e cioè cosa veramente si intenda parlando di « civiltà occidentale » , quando quelli che un tempo erano i suoi cruciali aspetti religiosi sono ora difesi soprattutto al di fuori dell’Occidente. Una fondamentale eccezione è il libro di Samuel P. Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale , una delle analisi più lette delle attuali tendenze globali, che rivolge molta attenzione al cambiamento dei modelli religiosi. Anche Huntington, tuttavia, sottovaluta la forza crescente del Cristianesimo. Ritiene che la percentuale dei cristiani in rapporto alla popolazione globale diminuirà in modo rilevante nel nuovo secolo e che la loro religione sarà soppiantata dall’Islam: « Alle lunghe (...) trionferà Maometto » . Ma è tutt’altro che probabile che nel 2020 o giù di lì l’Islam sia la religione più diffusa, come suggerisce Huntington; il Cristianesimo avrà ancora un forte ruolo guida, e a quanto oggi possiamo prevedere, nel futuro manterrà la sua posizione. Nel 2050 nel mondo ci dovrebbero essere circa tre cristiani ogni due musulmani. Dunque, circa il 34% della popolazione mondiale sarà cristiana, grosso modo come al momento culminante dell’egemonia europea, nel 1900.

Ma come si presenterà la nuova sintesi cristiana? Un fatto ovvio è che, almeno per il futuro prevedibile, i membri di una Chiesa dominata dal Sud saranno probabilmente tra i più poveri del pianeta, in marcato contrasto con il più antico mondo dominato dall’Occidente. Per questa ragione, dagli anni Sessanta alcuni cristiani occidentali hanno cominciato ad aspettarsi che la religione dei loro fratelli del Terzo Mondo sarebbe stata ferventemente liberale, attivista, e anche rivoluzionaria, secondo il modello costituito dalla teologia della liberazione.

Secondo questa visione, il nuovo Cristianesimo penserà principalmente a deporre i potenti dai loro troni, attraverso l’azione politica o la lotta armata. Fin troppo spesso, tuttavia, queste speranze si sono dimostrate illusorie. Frequentemente, le voci provenienti dal Terzo Mondo che parlano di liberazione appartengono di fatto a ecclesiastici istruiti in Europa e nel Nordamerica, e le loro idee hanno esercitato solo uno scarso richiamo a livello locale. I cristiani dell’emisfero meridionale non evitano l’attivismo politico, ma preferiscono impegnarsi solo in base ai loro criteri.

 Al momento presente, la differenza immediatamente più evidente tra le Chiese vecchie e quelle nuove è che i cristiani del Sud sono molto più conservatori, per quanto concerne sia le credenze che la dottrina morale. Le denominazioni che trionfano in tutto il Sud del mondo sono fortemente tradizionaliste, o perfino reazionarie, secondo gli standard delle nazioni economicamente avanzate.

Le Chiese che hanno avuto l’espansione più sensazionale nel Sud del mondo erano cattoliche romane, del tipo tradizionalista e fideistico, oppure erano sette del protestantesimo radicale, evangeliche o pentecostali. In verità, questo atteggiamento conservatore può ben spiegare perché il Cristianesimo del Sud trovi così poca considerazione nel Nordamerica e in Europa. Raramente gli esperti occidentali apprezzano il carattere ideologico delle nuove Chiese.

I cristiani del Sud del mondo mantengono un fortissimo orientamento verso il soprannaturale e sono molto più interessati alla salvazione personale che alle politiche radicali. Queste Chiese più recenti predicano una profonda fede personale e l’ortodossia, il misticismo e il puritanesimo della comunità, tutti caratteri che si fondano su chiare fonti scritturali. I loro messaggi sembrano, a un occidentale, semplicisticamente carismatici, visionari e apocalittici. Secondo questa concezione del mondo, la profezia è una realtà quotidiana, mentre le guarigioni tramite la fede, gli esorcismi e le visioni oniriche sono tutte componenti fondamentali della sensibilità religiosa. Nel bene e nel male, le Chiese dominanti del futuro potrebbero avere molto in comune con quelle del Medioevo o della prima epoca moderna europea.

Se osserviamo le Chiese dell’Africa e dell’America Latina vediamo che hanno moltissime esperienze in comune. Stanno infatti attraversando fasi simili di crescita e sviluppando, indipendentemente l’una dall’altra, visioni del mondo, sociali e teologiche, simili. Entrambe si trovano inoltre ad affrontare problemi analoghi, di razza, di acculturazione, di come fare i conti con le rispettive eredità coloniali. Tutte queste sono questioni emisferiche comuni che separano in modo fondamentale le esperienze delle Chiese del Nord e di quelle del Sud.

Data la vivace attività di studio e la fiorente spiritualità che caratterizzano sia l’Africa che l’America Latina, inevitabilmente ci sarà un periodo di reciproca scoperta. Quando questa inizierà — quando, non se — l’interazione dovrebbe lanciare una nuova epoca rivoluzionaria nella religione mondiale. Anche se molti vedono il processo di globalizzazione come un’altra forma dell’imperialismo americano, sarebbe buffo se una prima conseguenza fosse un crescente senso di identità tra i cristiani del Sud. Una volta che questo asse sarà stabilito, cominceremo davvero a parlare di un nuovo Cristianesimo, che ha la sua base nell’emisfero meridionale.

Il conflitto tra cristiani e musulmani può in realtà costituire una delle più strette analogie tra il mondo cristiano che esisteva un tempo e quello che deve ancora venire. Non meno dei cristiani, anche i musulmani verranno trasformati dagli epocali eventi demografici dei prossimi decenni, con il passaggio del primato, per quantità di popolazione, ai due Terzi Mondi. Le comunità musulmane e cristiane cresceranno entrambe all’interno degli stessi Paesi. In base alle recenti esperienze fatte in giro per il mondo — in Nigeria e in Indonesia, nel Sudan e nelle Filippine — ci troviamo di fronte alla probabilità che la crescita della popolazione sarà accompagnata da forti rivalità, da lotte per le conversioni, da tentativi contrastanti di rendere operativi dei codici morali tramite le leggi secolari. Che si tratti di musulmani o di cristiani, lo zelo religioso può facilmente trasformarsi in fanatismo.

Alcune lotte possono ben provocare guerre civili, che potrebbero a loro volta divenire conflitti internazionali. Un simile sviluppo è molto probabile, quando una delle ideologie rivali è condivisa appassionatamente da un Paese confinante, o da un’alleanza internazionale di orientamento religioso. Attraverso il mondo musulmano, molti credenti si sono mostrati desiderosi di combattere per la causa internazionale dell’Islam con molto più entusiasmo di quanto ne dimostrano a favore di una singola nazione. Mettendo insieme queste diverse tendenze, abbiamo una mescolanza cangiante, che potrebbe ben provocare guerre e conflitti terribili.

In tutto il mondo, le tendenze religiose dispongono del potenziale sufficiente a dare una diversa forma alle realtà politiche, a un livello che non ha l’uguale dall’epoca del sorgere del moderno nazionalismo. Anche se possiamo immaginare un certo numero di futuri possibili, lo scenario peggiore comporterebbe un’ondata di conflitti religiosi tale da ricordare il Medioevo, una nuova epoca di crociate cristiane e di jihad islamici. Immaginate il mondo del XIII secolo dotato di testate nucleari e di antrace. Nel prepararci a questa prospettiva, è necessario per lo meno essere sicuri che i nostri leader politici e i nostri diplomatici rivolgano alle religioni, e alle frontiere tra le diverse religioni, almeno la stessa attenzione che hanno sempre dedicato alla distribuzione dei giacimenti petroliferi.

Per quanto strano possa sembrare, forse la necessità più pressante riguardo al futuro è quella di riconoscere, ancor più che altre religioni enormemente diffuse, il mondo stranamente poco familiare del nuovo Cristianesimo. Il Cristianesimo del Sud, la « Terza Chiesa » , non è solo una versione trapiantata della familiare religione dei più antichi Stati cristiani: il nuovo cristianesimo non è un’immagine speculare di quello vecchio. È un’entità autenticamente nuova e in fase di sviluppo. Quanto differente sia dai suoi predecessori rimane da vedere.

I cristiani africani e latinoamericani sono persone per cui le benedizioni del Sermone della Montagna del Nuovo Testamento hanno una rilevanza diretta, inconcepibile per gran parte dei cristiani delle società del Nord. Quando Gesù diceva ai « poveri » che erano beati, la parola che usava non indicava una condizione di relativa deprivazione, ma una povertà totale, o una miseria estrema. La grande maggioranza dei cristiani del Sud ( e in misura maggiore, di tutti i cristiani) sono davvero poveri, affamati, perseguitati, e perfino disumanizzati. L’India ha una tradizione che si adatta perfettamente alla parola di Gesù: il termine dalit , che letteralmente significa « schiacciati » o « oppressi » . È così che i cosiddetti intoccabili di quel Paese ora hanno deciso di descriversi; il significato della frase biblica potrebbe ben essere tradotto così: siano benedetti gli intoccabili. Quando i cristiani americani vedono le immagini della fame africana, come gli infernali scenari dell’Etiopia degli anni Ottanta, sono davvero in pochi a rendersi conto del fatto che le vittime non sono accomunate a loro solo da un senso di comune umanità, ma in molti casi dalla stessa religione. Sono cristiani che muoiono di fame.

Per il pubblico cristiano medio, i passaggi del Nuovo Testamento che parlano della fermezza da adottare di fronte alle persecuzioni pagane hanno scarsa rilevanza immediata, forse quanto le immagini di trebbiatura o mietitura in un ambiente campestre. Alcuni fondamentalisti immaginano che le persecuzioni descritte abbiano qualche probabilità di verificarsi nel futuro, magari durante i giorni della fine del mondo. Ma per milioni di cristiani del Sud, non c’è questo bisogno di scavare alla ricerca di arcani significati. Milioni di cristiani nel mondo vivono di fatto in costante pericolo di persecuzione o conversione forzata da parte dei governi o di qualche milizia locale. Considerare il Cristianesimo come un fenomeno planetario, non solo Occidentale, rende impossibile leggere il Nuovo Testamento allo stesso modo una seconda volta. Il Cristianesimo che vediamo se passiamo attraverso questo esercizio sembra davvero una bestia molto esotica, intrigante, eccitante, e un po’ spaventosa.

Il Cristianesimo si sta insomma diffondendo in modo sorprendente tra i poveri e i perseguitati, mentre si atrofizza tra i ricchi e gli agiati. Usando la tradizionale visione marxista della religione come oppio delle masse, si incorrerebbe nella tentazione di trarre la conclusione che la religione ha veramente un collegamento con il sottosviluppo e i sistemi culturali pre-moderni, e che scomparirà con il progredire della società.

 Questa conclusione sarebbe tuttavia superficiale, perché certi tipi di Cristianesimo pieni di entusiasmo si stanno affermando tra i professionisti e i gruppi che hanno un orientamento altamente tecnologico, in particolare intorno all’area del Pacifico e negli Stati Uniti. Però la distribuzione dei moderni cristiani potrebbe ben mostrare che la religione ha una migliore affermazione quando prende con molta serietà quel profondo pessimismo riguardo al mondo secolare che caratterizza il Nuovo Testamento.

 Se non è proprio una fede basata sull’esperienza della povertà e della persecuzione, allora almeno considera queste cose degli elementi normali e prevedibili della vita. Questa visione non è derivata da un complesso ragionamento teologico, ma è piuttosto una lezione che viene dall’esperienza vissuta. Senza dubbio il Cristianesimo può affermarsi anche in altri contesti, anche dove c’è pace e prosperità, ma forse lì la sua affermazione diventa più difficile, come difficile è passare attraverso la cruna di un ago.

 

(Philip Jenkins)

 

 

 

LA PAROLA CHIAVE: MORIRE

 

L’astuzia di Mitridate

Al moribondo la filosofia non è, purtroppo, di nessuna consolazione. Non lo aiuta a morire meglio. Morire meglio, infatti, sarebbe non dover morire. E la filosofia non può ovviamente nulla a questo proposito. La filosofia medita, però, sulla morte. Più precisamente, s’interroga sulla ‘stranezza’ (sull’’atopia’, come dicono i Greci) di quel fatale istante che farà combaciare cose impossibili. S’illude chi pensa che il platonico ‘esercizio di morte’ (è la sua definizione della filosofia) sia un lento processo di mitridatizzazione, il quale,facendoci pensare alla morte un pochino, ogni giorno, riesca poi a rendere meno assurdo il ‘trapasso’. La morte si fa beffe di qualsiasi propedeutica e coglie ugualmente impreparati il vecchio

centenario e il ragazzo, il saggio come lo stolto. La sua distanza dalla vita resta sempre incolmabile. Nessun passo, nemmeno quello lento della vecchiaia, ci avvicina ad essa, nessuna familiarità ne attenua l’estraneità assoluta. Le ‘approssimazioni’ alla morte sono solo una pietosa bugia. Non ci si approssima alla morte più di quanto non ci si avvicini alla linea dell’orizzonte marciando nella sua direzione. Nella marcia, infatti, ci portiamo sempre dietro il nostro orizzonte la cui linea, passo dopo passo, resta sempre alla stessa distanza da noi.

 

Million dollar baby

Per questo il filosofo francese Maurice Blanchot scriveva che ‘morire’ è per noi impossibile. A quest’impossibilità ascriveva il tormento specifico del moribondo. Morire sfugge al nostro potere comunque esso sia declinato. Possiamo anche correrle incontro, possiamo precipitarci tra le sue braccia, ma se non sarà lei a prendere l’iniziativa e a raggiungerci furtivamente ‘come un ladro nella notte’, noi non la incontreremo mai. Perfino nell’eutanasia la morte resta qualcosa che deve essere ‘dato’,qualcosa che proviene d’altrove e che sfugge per principio alla mia iniziativa. L’eutanasia necessità della ‘pietà’ dell’altro. Ha bisogno, per aver luogo, della sua libera volontà. E l’eventualità, nobilissima, del suicidio non testimonia della possibilità di una morte liberamente scelta e consapevolmente progettata perché il suicida non va incontro alla morte (come si può andare incontro al nulla?), quanto piuttosto si sottrae alla vita. Nessuno,  nemmeno il Kirilov dei ‘Demoni’ di Dostoevskij, si uccide così, ‘senza ragioni’, semplicemente per provare ad estendere il dominio del soggetto all’impossibile. Chi si uccide ha gli occhi fissi sulla sua vita, contempla come l’angelo disegnato da Klee le rovine del proprio passato, e si affida alla morte con la stessa incosciente leggerezza con cui una donna, in uno scatto d’indignazione, può donarsi ad uno sconosciuto pur di farla finita con la routine asfissiante della quotidianità.

 

Arrendersi

L’estraneità della morte misura e rivela la nostra impotenza radicale. Non c’è prima persona dell’indicativo presente per quel verbo. Per ‘poter’ morire il soggetto è costretto a deporre la corona della propria sovranità. Per morire bisogna, ad un certo punto,  lasciarsi andare, bisogna abbandonare e abbandonarsi, proprio come avviene quando si prende sonno (la nostra quotidiana ‘piccola morte’). Infatti, non sono ‘io’ che ‘mi addormento’, ma è il sonno, proprio lui, l’estraneo, che mi scova e mi trascina via da ‘me’. ‘Io’, se il sonno arriva, non ci sono più ed il sonno può ‘arrivare’ solo quando ‘io’ cesso finalmente di essere. Per questo molti faticano a addormentarsi.

Temono questo istante del rapimento, nel quale saranno visitati e quasi violentati da un Altro che li esproprierà della loro libera soggettività.  Il punto in cui il sonno incontra la veglia anticipa quell’altro punto, assai più drammatico, nel quale l’essere incrocia il nulla: l’istante ‘atopico’ (senza ‘quando’ e senza ‘dove’) del mio morire. In quell’istante si toccheranno degli impossibili ed io varcherò una soglia che restando ‘io’ (‘io sono, io penso’) non posso per definizione varcare.

 

La filastrocca dell’essere

Conosciamo la filastrocca di Parmenide, il venerando padre di tutti i filosofi. Dell’essere, egli afferma, non può dirsi altro che è e che è impossibile che non sia, del non essere che non è e che non è possibile che sia. Più chiaro di così non è possibile. Parmenide, a scuola, è spesso considerato dai ragazzi una specie di

comico involontario che ripete con aria ispirata ovvietà sconcertanti. Ma la contraddizione denunciata da Parmenide è proprio quel salto che ogni mortale per morire non può che compiere, ma che, al tempo stesso, ogni mortale non può pensare senza essere strozzato dall’assurdo.

 

Rocco Ronchi (Libero Pensiero - Internet)

 

don Loris Benvenuti

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