CRONACHE DALLA SCOGLIERA - Storia di una pietra che imparò l’amicizia - giorno 4...

Le pietre non hanno occhi, né bocca, né mani o gambe. Eppure possono guardare, parlare, muoversi, se lo desiderano davvero…

CRONACHE DALLA SCOGLIERA

Storia di una pietra che imparò l’amicizia

 

Giorno 47

12 aprile 2020

 

Anatomia di una pietra.

Pietra: essere vivente, aggregato di tutto ciò che c’è sulla terra e tra le stelle, pietre celesti, lune. Per questo sentiamo tutto, guardiamo tutto, e conosciamo. 

Le pietre non hanno occhi, come già vi ho detto; hanno solo la libertà: di non guardare, di guardare, di vedere. Non tutte sanno vedere.

Le pietre non hanno orecchie, possono solo decidere: di isolarsi, di sentire, di ascoltare. Le pietre non sono brave ad ascoltare, preferiscono fare finta, lasciarsi cullare dalle voci indistinte delle onde o del vento. Io ho imparato come si fa ad ascoltare, non lo dimentico. 

Le pietre non hanno la bocca, ma sanno parlare a tutti, anche agli uomini; la nostra, però, è una lingua antica come il mondo e pochi la sanno comprendere, nessuno la sa più parlare, tra gli uomini. Le pietre possono scegliere di stare in silenzio (cosa assai rara), di chiacchierare, di parlare. Parlare a qualcuno, con qualcuno.

Le pietre non hanno braccia né gambe e non possono muoversi: non possono abbracciare, accarezzare, camminare, danzare. Possono, però, decidere di fare tutto questo con il cuore, e un cuore che danza, che cammina, accarezza, abbraccia non è cosa da poco.

Le pietre non possono cambiare casa, non scelgono dove abitare né con chi vivere. È la terra che decide per noi e noi dobbiamo accettare la vita che abbiamo. Ho scoperto da poco, però, che le pietre possono essere casa per gli altri e possono essere una casa, una casa vera, se si lasciano plasmare dal lavoro degli uomini.

Le pietre non mangiano né bevono, non hanno bisogno di dormire, ma sanno che il riposo può consolare le giornate tristi, può essere balsamo per i giorni stanchi e ristoro sotto il sole. Per questo alle pietre piace dormire e lo fanno quasi sempre. Le pietre sanno anche di aver bisogno di un nutrimento che non è come il cibo degli uomini, ma è più simile al pane del Pescatore; eppure, quasi nessuna ascolta questa mancanza e vive un’esistenza vuota.

Le pietre, infine, non hanno un cuore. O meglio, hanno un cuore di pietra, ma non è un cuore vero e proprio. Fortunatamente abbiamo la libertà di scegliere di averne uno, vero, o di tenerci questo centro indistinto di roccia, freddo e insensibile. Sappiamo qual è il prezzo di un cuore vero, per questo quasi nessuna lo desidera: insieme alla gioia e all’amore, si sente anche tutto il male e il dolore tuo e di chi ti sta attorno. Io ho scelto di avere un cuore. L’ho scelto quando sono stata riparo per Nostos, quando ho vissuto sulla mia pelle cosa vuol dire donare il proprio amore. I cuori delle pietre non hanno la forma di quelli degli uomini o degli animali. Il nostro cuore assomiglia più a una ferita, è il luogo attraverso il quale abbiamo amato. Badate bene, però: un cuore diventa davvero un cuore solo e soltanto quando decidiamo di lasciarci amare e accogliere l’amore di un altro. Quel giorno di tanto tempo fa, ho lasciato scivolare in me la lacrima di Orietta, così piena di amore, che all’inizio non avevo capito quanto ne fosse piena. Amore donato e amore ricevuto. E credete, lasciarsi amare non è facile come sembra. 

Lo so, è complicata da capire l’anatomia di una pietra, perché sono le scelte che facciamo che ci dicono chi siamo: sentire ascoltare, guardare vedere, star ferme danzare; soffrire, amare o non sentire nulla. C’è una grande differenza.

Ma devo dirvi un’ultima cosa, forse già l’avete intuita: voi uomini e noi pietre, in fondo, non siamo poi così diversi.

 


testi: Anita Marton 

grafiche: sr. Giulia Collodel 

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