Avevo una bella famiglia che pensava a me e ai miei fratelli. L'aspetto ancora più importante è che nutrivo grandi sogni: speravo di diventare una persona importante nella società. Può destare sorpresa il fatto che io sognassi di diventare senatore in un'epoca in cui il Kenia...
Nel 1995 fummo fermati perché eravamo ragazzi senza fissa dimora. Fummo mandati nell’istituto per bambini a Kabete, dove rimanemmo per quasi un anno, finché don Bosco venne a liberarci.
Mi chiamo Patrick Ngugi Gichuhi. Sono nato nel 1986 in una famiglia di condizioni molto modeste. Sono il primo di sei figli; ho tre fratelli e due sorelle. Purtroppo, mio padre è mancato nel 2009 dopo essere stato separato da noi per diciassette anni. Mia madre è ancora viva e si prende cura della mia sorella minore che frequenta il primo anno di scuola superiore e del mio fratello minore che è in seconda media.
Anch’io avevo dei sogni
Durante il periodo della mia crescita, la vita per me è stata bella. Avevo una bella famiglia che pensava a me e ai miei fratelli. L’aspetto ancora più importante è che nutrivo grandi sogni: speravo di diventare una persona importante nella società. Può destare sorpresa il fatto che io sognassi di diventare senatore in un’epoca in cui il Kenia non immaginava neppure la possibilità di schieramenti politici analoghi a quelli che stabilisce la nuova costituzione. Comunque, albergavo sogni, come tutti i ragazzi che avevano una famiglia che potesse realizzarli.
In ogni caso, tutti questi sogni sarebbero stati infranti negli anni che seguirono.
Nel 1991, un anno dopo la nascita del mio fratello più piccolo, i miei genitori si sono separati. Non era chiaro quale fosse la ragione che li aveva portati a prendere quella decisione, ma in seguito sono venuto a sapere che erano in forte disaccordo perché il lavoro di mio padre consisteva nel vendere marijuana. Questo lo teneva molto spesso lontano dalla famiglia, perché trascorreva gran parte del suo tempo in carcere, invece di dedicarsi a noi. Mia madre abbandonò tutti noi nel 1991. Ero appena tornato da scuola (frequentavo la scuola materna) e riscontrai che a casa regnava un gran disordine e mia madre non si trovava da nessuna parte.
Dato che mia madre spariva tutte le volte in cui litigava con mio padre, non vedevo differenze tra la sua assenza del 1991 e tutte le altre circostanze analoghe che si erano verificate prima. Non comprendevo che si trattava di una separazione definitiva, che significava che i miei genitori non sarebbero più tornati insieme. Per un po’ di tempo mio padre cercò di occuparsi di noi, ma non ci riusciva e decise di portarci tutti nel nostro paese di origine, a Nyeri. Io avevo già lasciato la scuola e mi occupavo dei miei fratelli.
La casa di Nyeri non si rivelò accogliente per noi. Mio padre non era in buoni rapporti con la nostra famiglia estesa dalla parte materna. Invece di accompagnarci direttamente a casa di mio nonno, ci lasciò a Kiganjo, un centro urbano vicino a Nyeri. Dato che io ero il fratello maggiore, mi affidò la responsabilità di badare ai miei fratelli e trovare i miei parenti. L’unico aiuto che mi diede consistette nel consegnarmi un album con le foto della nostra famiglia. Poi se ne andò.
Quella casa si rivelò un inferno
Ho ricordato mio padre così per almeno 10 anni. Quando se ne andò era già buio e la gente cominciò a domandare chi fossimo e a chiederci da dove provenivamo, chi erano nostra madre e nostro padre e che cosa facessimo là a quell’ora. Per fortuna, vedendo l’album di fotografie qualcuno riconobbe mia madre e questo ci permise automaticamente di trovare mio nonno. Finimmo così dai nostri familiari a Nyeri, ma con mia sorpresa non fummo ben accolti. Invece di un paradiso, quella casa si rivelò un inferno. I nostri parenti di Nyeri ci trattavano molto male. Non ci consideravano parte della loro famiglia, ma ci vedevano come un peso. Dopo aver subito una serie di trattamenti negativi, i miei fratelli e io decidemmo di andarcene. Non sapevamo neppure dove dirigerci o a chi rivolgerci. Così nel 1992 il mio fratello minore e io andammo via da Nyeri e camminammo per circa 100 chilometri, da Nyeri Kiganjo a Nyeri Karatina. Decidemmo di fermarci là, a vagabondare e cercare cibo avanzato negli hotel e al mercato. Dopo pochi giorni una madre, una Buona Samaritana, dopo averci visti vagare per qualche giorno per la strada decise di aiutarci. Fu gentile con noi e cominciò a portarci da mangiare. Quando le dicemmo da dove provenivamo (Kawangware), ci accompagnò a un comando di polizia e chiese ai poliziotti di aiutarci a raggiungere Nairobi. Il mattino dopo la polizia ci fece prendere un autobus diretto a Nairobi.
Là diventammo ragazzi di strada.
Non potevamo andare a Kawangware, perché sapevamo che mio padre ci avrebbe uccisi, se ci avesse visti ancora da quelle parti, e dunque decidemmo di rimanere là, a procurarci il vitto mendicando e dormendo per strada. Chiedemmo denaro per le strade per poterci acquistare generi alimentari e dormimmo al freddo per due anni.
Poi arrivò don Bosco
Nel 1995 fummo fermati perché eravamo ragazzi senza fissa dimora. Fummo mandati nell’istituto per bambini a Kabete, dove rimanemmo per quasi un anno, finché don Bosco venne a liberarci. Quando il procuratore riscontrò che nessuno era venuto a chiedere notizie di noi, si preoccupò e mi domandò che cosa intendessimo fare. Nell’istituto avevo sentito alcuni ragazzi che parlavano di un posto chiamato don Bosco in cui i bambini potevano andare a scuola, avere buon cibo e abiti. Senza esitazioni dissi che volevo essere accompagnato al don Bosco.
Nel 1996, grazie all’eccellente rendimento scolastico di cui avevo dato prova feci parte del primo gruppo scelto dal don Bosco Kariua per andare a frequentare una scuola pubblica. Mi inserii nella scuola elementare Murang’a Road di Nairobi come allievo di terza elementare. In seguito mi sono trasferito nella scuola elementare St Mary di Karen, dove ho conseguito il diploma di istruzione primaria del Kenia. Nel 2008 sono entrato al “Nairobi Institute of Business Study”, la Facoltà di Economia, dove ho conseguito la laurea in economia aziendale.
Nel 2009, poi, ho vinto una borsa di studio che mi ha permesso di accedere alla United States International University del Programma Cattolico di Formazione dell’Africa Orientale. Grazie a Dio, mi sono laureato in gestione aziendale internazionale con indirizzo finanziario.
Sono sinceramente grato ai Salesiani di don Bosco per l’impegno e la determinazione con cui hanno aiutato tanti giovani come me a trasformare la loro vita. Non posso dimenticare neppure i benefattori che hanno offerto un contributo di qualche genere per aiutarmi a costruire la mia vita. Soprattutto non posso dimenticare nostro Signore Gesù Cristo, che ha fatto di questo sogno una realtà.
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