L'Avvento ci riporta al cuore del mistero cristiano: la venuta gloriosa del Signore alla fine dei tempi. Esercitarci nell'attesa colma di fede e di speranza è l'impegno comune in questo tempo forte.
del 01 gennaio 2002
La venuta del Signore fa parte integrante del mistero cristiano perché il giorno del Signore è stato annunciato da tutti i profeti e Gesù più volte ha parlato della sua venuta nella gloria quale Figlio dell’Uomo, per porre fine a questo mondo e inaugurare un cielo nuovo e una terra nuova.
Tutta la creazione geme e soffre come nelle doglie del parto aspettando la sua trasfigurazione e la manifestazione dei figli di Dio (cf. Rm 8, 19 ss.): la venuta del Signore sarà l’esaudimento di questa supplica, di questa invocazione che a sua volta risponde alla promessa del Signore («Io vengo presto!» (Ap 22,20) e che si unisce alla voce di quanti nella storia hanno subito ingiustizia e violenza, misconoscimento e oppressione, e sono vissuti da poveri, afflitti, pacifici, inermi, affamati.
Nella consapevolezza del compimento dei tempi ormai avvenuto in Cristo, la Chiesa si fa voce di questa attesa e, nel tempo di Avvento, ripete con più forza e assiduità l’antica invocazione dei cristiani: Marana thà! Vieni Signore!
San Basilio ha potuto rispondere così alla domanda «Chi è il cristiano?»: «Il cristiano è colui che resta vigilante ogni giorno e ogni ora sapendo che il Signore viene».
Ma dobbiamo chiederci oggi: i cristiani attendono ancora e con convinzione la venuta del Signore?
È una domanda che la Chiesa deve porsi perché essa è definita da ciò che attende e spera.
Per molti cristiani l’Avvento non è forse diventato una semplice preparazione al Natale, quasi che si attendesse ancora la venuta di Gesù nella carne della nostra umanità e nella povertà di Betlemme?
Ingenua regressione devota che depaupera la speranza cristiana!
In verità, il cristiano ha consapevolezza che se non c’è la venuta del Signore nella gloria allora egli è da compiangere più di tutti i miserabili della terra (cf. 1Cor 15,19, dove si parla della fede nella resurrezione), e se non c’è un futuro caratterizzato dal novum che il Signore può instaurare, allora la sequela di Gesù nell’oggi storico diviene insostenibile.
Un tempo sprovvisto di direzione e di orientamento che senso può avere e quali speranze può dischiudere?
L’Avvento è dunque per il cristiano un tempo forte perché in esso, ecclesialmente, cioè in un impegno comune, ci si esercita all’attesa del Signore, alla visione nella fede delle realtà invisibili (cf. 1Cor 4,18), al rinnovamento della speranza del Regno nella convinzione che oggi noi camminiamo per mezzo della fede e non della visione (cf. 2 Cor 5,6-7) e che la salvezza non è ancora sperimentata come vita non più minacciata dalla morte, dalla malattia, dal pianto, dal peccato.
C’è una salvezza portata da Cristo che noi conosciamo nella remissione dei peccati, ma la salvezza piena – nostra, di tutti gli uomini e di tutto l’universo – non è ancora venuta.
Anche per questo l’attesa del cristiano dovrebbe essere un modo di comunione con l’attesa degli ebrei che, come noi, credono nel “giorno del Signore”, nel “giorno della liberazione”, cioè nel “giorno del Messi
Davvero l’Avvento ci riporta al cuore del mistero cristiano: la venuta del Signore alla fine dei tempi non è altro, infatti, che l’estensione e la pienezza escatologica delle energie della risurrezione di Cristo.
Nei giorni di Avvento occorre dunque porsi alcune domande: noi cristiani non ci comportiamo forse come se Dio fosse restato alle nostre spalle, come se trovassimo Dio solo nel bambino nato a Betlemme?
Sappiamo cercare Dio nel nostro futuro avendo nel cuore l’urgenza della venuta di Cristo, come sentinelle impazienti dell’alba?
E dobbiamo lasciarci interpellare dal grido più che mai attuale di Teilhard de Chardin: «Cristiani, incaricati di tenere sempre viva la fiamma bruciante del desiderio, che cosa ne abbiamo fatto dell’attesa del Signore?».
Da Enzo Bianchi,
Dare senso al tempo, Qiqajon/Bose 2003
Enzo Bianchi
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