Don Bosco e la voglia di testimoniare

Fin da piccolo ha la passione di cercare i ragazzi delle cascine vicine alla sua, di incontrarli, di metterli insieme per passare allegramente il tempo; ed è lui il capo banda, l'animatore, il centro di ogni piccola o grande impresa; ha il temperamento del leader. Ma non manca mai di suggerire una parola, di fare una riflessione, di offrire un consiglio che, chiaramente, si ispirano alla fede. Comunica Dio con semplicità, nel linguaggio dei ragazzi e in un clima di gioia.

Don Bosco e la voglia di testimoniare

da Don Bosco

del 01 gennaio 2002

Don Bosco si è incontrato con Dio (sogno dei nove anni) e questa esperienza non lo abbandona più. Non solo, per tutta la vita, continua a fidarsi di questo Dio, ma sente il bisogno di testimoniarlo, e cioè di dire agli altri quanta vita e quanta felicità si provi nell’incontrare Dio e nel vivere con Dio, servendo con Lui la vita!

Fin da piccolo ha la passione di cercare i ragazzi delle cascine vicine alla sua, di incontrarli, di metterli insieme per passare allegramente il tempo; ed è lui il capo banda, l’animatore, il centro di ogni piccola o grande impresa; ha il temperamento del leader. Ma non manca mai di suggerire una parola, di fare una riflessione, di offrire un consiglio che, chiaramente, si ispirano alla fede. Comunica Dio con semplicità, nel linguaggio dei ragazzi e in un clima di gioia.

Lo stesso farà da studente a Chieri e poi da grande quando sarà prete a Torino; e saprà testimoniare la sua fede anche di fronte a personalità ostili, a polemiche pubbliche, ad attacchi più o meno scoperti, sempre rischiando di persona. Dirà: “Don Bosco è prete sempre ed ovunque: nella casa del povero e nel palazzo del ministro”. Noi potremmo dire ‘è cristiano sempre’!

L’ambiente, allora, era ostile alla fede: la massoneria da una parte e le sette protestanti dall’altra costituivano un continuo attacco alla religione. E don Bosco sempre in prima fila, anche quando altri si ritirano nell’ombra per non essere compromessi; non solo, ma incoraggia i suoi ragazzi e i suoi amici ad uscire allo scoperto, ad essere dei lottatori, a seminare germi di bene ovunque, in ogni ambiente, dentro ogni situazione.

Don Bosco ebbe tanti amici ma anche tanti nemici; ma anche questi ultimi ebbero a riconoscere la sua lealtà e a manifestare il loro rispetto per questo prete povero ed inerme ma che non taceva e non si ritirava di fronte a nessuna sfida.

Tutti noi abbiamo delle idee; fra le tante idee che circolano, alcune diventano più nostre di altre; poi le idee che abbiamo fatto nostre diventano convinzioni, vale a dire principi interiori che regolano il nostro modo di pensare, di scegliere, di decidere, di agire. E le convinzioni si trasformano in comportamenti, manifestazioni esteriori di ciò che siamo dentro, di ciò in cui crediamo con tutto noi stessi. E i comportamenti si trovano a fare i conti con gli ambienti nei quali ci muoviamo, con le convinzioni degli altri, con le abitudini, con le mode, con i costumi. Possono trovare approvazione e sostegno; ma possono anche trovare negazione e ostilità. E’ a quel punto che le convinzioni impegnano alla coerenza.

Ma è pur vero che uno non può dire di avere autentiche convinzioni fintantoché non si compromette e non paga di persona. Altrimenti, più che di convinzioni, si deve parlare di velleità. E le velleità vanno e vengono, non lasciano traccia, non sostengono una vita, non delineano un progetto di sé. Una persona che è fatta di velleità è una persona senza personalità.

Questo vale anche per la fede.

La fede è diventata convinzione, le convinzioni sono diventate comportamenti, i comportamenti impegnano alla coerenza?

Anche oggi l’ambiente è ostile alla fede. Se non troviamo una ostilità aggressiva come nella Torino dell’Ottocento; possiamo dire che la ostilità, oggi, si chiama indifferenza. Così che se uno osa manifestare la sua fede è guardato come un animale raro e si sente addosso il gelo del compatimento: ‘credi ancora a queste cose?’

Ma è anche vero che, mai come oggi, la nostra cultura è anonima, massificata, spersonalizzata e spersonalizzante; e che molti provano il disagio di essere, dentro la massa, niente e nessuno. Ed è vero che i giovani, più di altri, avvertono il richiamo di valori autentici, di ideali veri, di impegni seri, di coerenze evidenti. Almeno ad un certo momento avvertono tutto questo; poi dopo, i più si rassegnano e si uniformano. Ma questo non è tradire la vita? Non è tradire se stessi?

E non è tradire Dio che, a ciascuno, affida il compito di annunciare e di testimoniare, e che conta su ciascuno perché altri scoprano cosa significhi incontrare il Dio della vita e servire la vita moltiplicandola? Don Bosco metteva spesso i suoi ragazzi di fronte a queste responsabilità: allegri sì ma non incoscienti, sereni sì ma non disimpegnati, in mezzo a tutti gli altri ma non anonimi senza volto!

E, a volte, don Bosco usava anche parole dure per risvegliare la coscienza dei suoi giovani su queste realtà; perché era consapevole che, ad essere in gioco, era la vita!

Ci siamo mai posti il problema della coerenza tra fede e vita? E della chiamata, rivolta a ciascuno, di essere annunciatore e testimone?

Dicono i tedeschi: ‘Gabe ist Aufgabe’ il dono è la risposta, il dono comporta la responsabilità. Il dono tu lo hai ricevuto...

don Giannantonio Bonato

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