“Don Bosco è vivo, più vivo che mai in Siria, ad Aleppo. Fra desolazione e macerie, la casa salesiana apre tutti i giorni le sue porte per accogliere centinaia di bambini, ragazzi e giovani, perché vogliamo fortemente che in mezzo a tanta morte continui la vita..."
del 17 gennaio 2017
“Don Bosco è vivo, più vivo che mai in Siria, ad Aleppo. Fra desolazione e macerie, la casa salesiana apre tutti i giorni le sue porte per accogliere centinaia di bambini, ragazzi e giovani, perché vogliamo fortemente che in mezzo a tanta morte continui la vita..."
« DON BOSCO È PIÙ VIVO CHE MAI! » MI DICONO AD ALEPPO. TUTTI I SALESIANI SONO RIMASTI QUI E PORTANO IL RIFLESSO DEL PADRE CHE AMIAMO
Amici lettori e mia carissima Famiglia Salesiana, vi scrivo questo saluto, il primo del nuovo anno, dopo un accorato dialogo con il superiore della Ispettoria Salesiana del Medio Oriente. Proprio lui, abuna Munir El Raì, siriano e nativo di Aleppo, mi parlava della sua città con le lacrime agli occhi, non soltanto per il dolore e le strazianti sofferenze della sua gente, ma anche per le incredibili e preziose realtà che vede fiorire in mezzo ai proiettili, le bombe e le distruzioni.
Mi diceva: “Don Bosco è vivo, più vivo che mai in Siria, ad Aleppo. Fra desolazione e macerie, la casa salesiana apre tutti i giorni le sue porte per accogliere centinaia di bambini, ragazzi e giovani, perché vogliamo fortemente che in mezzo a tanta morte continui la vita. E posso affermare che invece di diminuire, il numero di giovani continua ad aumentare. Mi emoziona vedere più di millecinquecento ragazzi e giovani, il doppio di prima, che vogliono venire nella casa di don Bosco per incontrarsi con gli altri, per vivere, per pregare, per giocare.
E aggiungi questo: Voglio dirti che se c’è una cosa che mi commuove fino alle lacrime è che tutti i miei fratelli salesiani hanno preferito restare con la loro gente. Avevano il diritto di andarsene e potevano farlo tranquillamente, ma nessuno ha lasciato il suo posto e condividono tutti la stessa sorte”.
L’ho ascoltato senza poter dire una parola tanto ero intensamente coinvolto e intimamente scosso.
Ne sono certo. Don Bosco è più vivo che mai. Sicuramente in Paradiso, nella Vita Altra che è la Vita in Dio, però anche qui, tra di noi e con noi, perché sono centinaia i salesiani, i fratelli e le sorelle, laici e giovani che mantengono vivo il suo sogno e continuano il suo impegno educativo ed evangelizzatore, l’incontro personale con ogni ragazzo e ogni giovane.
Come dice il canto: «Dico che Giovanni Bosco è vivo e ha intrapreso mille iniziative.
Non vedi la sua sollecitudine di padre che opera adesso in tutto il mondo?
Non lo senti intonare il suo canto a tante figlie, a tanti figli,
che portano questi riflessi del Padre che amiamo?
Questi figli e queste figlie sono seguaci di puro amore e fede, e sacrificio:
tutti dei giovani, tutti di Cristo...
come il Padre don Bosco, si commuovono nel loro intimo
e si impegnano di fronte al dolore del giovane che si è trovato in difficoltà».
Il miracolo che vi racconto di Aleppo potrei dirlo di molti altri luoghi.
Uno degli impegni che con più insistenza Don Bosco ricordava ai salesiani, specialmente ai primi missionari che partivano per l’America era questo: «Abbiate cura specialmente degli ammalati, dei piccoli, degli anziani e dei poveri». Questo spiega il miracolo salesiano di Aleppo. È una casa dove ognuno può trovare posto. Non troveranno molto da mangiare, perché manca dappertutto, ma continua il canto alla vita e la scommessa sul futuro in una situazione in cui tutto parla solo più di morte.
Tutto questo mi riempie di gioia e fa rinascere in me parole di ammirazione e gratitudine per Don Bosco che, senza alcuna presunzione, fu grande perché con uno sguardo, il silenzio, una parola arrivava nel profondo del cuore delle persone. Come succede oggi nei tanti “Valdocco” del mondo.
Questi sentimenti mi fanno ricordare un piccolo fatto che ci parla del gran cuore di Don Bosco. È soltanto un aneddoto breve ma molto indicativo. Lo racconta, alcuni anni dopo la morte di Don Bosco, un salesiano, don Alessandro Luchelli, che trascorse vari anni a Valdocco con Don Bosco. Nel 1884, ricorda don Alessandro, la disciplina nell’Oratorio di Valdocco (Torino) era diventata molto severa, in senso contrario alla tradizione salesiana. Don Bosco stesso, che lì abitava, assisteva con tristezza ad alcuni fatti. La famosa “Lettera da Roma” testimonia questa sua preoccupazione. «Un giorno» narra don Alessandro «avevo l’incarico di sorvegliare una fila di ragazzi che aspettavano il loro turno per salire nello studio comune. Li tenevo ben disciplinati con uno sguardo severo e un tantino minaccioso perché mantenessero ordinata la fila. In quel momento passò don Bosco, mi mise la mano sulla spalla e mi disse: “Ma lascia un po' stare”. A Don Bosco non piacevano le file. Le tollerò soltanto quando il numero dei giovani era tanto aumentato che pareva non si potesse fare altrimenti».
È solo una delle tante testimonianze che ci parlano del cuore di un padre che si preoccupa anche delle cose più semplici della casa, della famiglia, dei giovani della casa salesiana. Come ad Aleppo, come in Sierra Leone, come in Ghana, come a Ciudad Don Bosco in Colombia e come in Etiopia, come con i ragazzi rifugiati accolti nelle case salesiane in Germania ... e centinaia e centinaia di casi che potrei aggiungere.
Questo il messaggio che vi lascio oggi, insieme ad Abuna Munir di Aleppo: Don Bosco è vivo! Vive nella quotidianità delle case salesiane del mondo e nella dedizione appassionata di tanti suoi figli, religiosi, religiose, laici di tutto il mondo che fanno di tutto, nella semplicità della loro vita, per “essere Don Bosco oggi”.
Don Angel Fernandez Artime
Versione app: 3.25.0 (f932362)