Don Bosco era profondamente convinto che Dio è la sorgente e il termine della felicità; ci ha chiamati alla vita per la felicità... Partendo da questa convinzione ed innamorato del bene-felicità, don Bosco non poteva non presentare questo volto di Dio, non poteva non offrire l'esperienza di fede ai suoi giovani.
del 01 gennaio 2002
Don Bosco era profondamente convinto che Dio è la sorgente e il termine della felicità; ci ha chiamati alla vita per la felicità, ci attende al termine della vita per la felicità; e, fin che siamo quaggiù, opera con noi perché incontriamo la felicità indicandone le vie e sostenendo col suo aiuto, non ancora felicità piena ma quelle felicità che sono, allo stesso tempo, il segno e l’anticipo di quella piena.
Partendo da questa convinzione ed innamorato del bene-felicità, don Bosco non poteva non presentare questo volto di Dio, non poteva non offrire l’esperienza di fede ai suoi giovani.
Ricordiamo il trinomio educativo di don Bosco: ragione-religione-amorevolezza.
Se ragione dice passione per tutto l’umano e in particolare per la passione alla vita e il desiderio di felicità, se amorevolezza dice l’apertura dei canali comunicativi tra educatore ed educando all’insegna della cordialità ossia di una interiorità che parla ad un’altra interiorità, la religione dice la proposta di Dio come il Dio della vita e della felicità.
Ma è davvero così? La fede concorre alla felicità già ora e quaggiù?
Riconciliazione col passato
Uno degli elementi che disturbano la nostra capacità di cogliere la felicità è dato dalle esperienze del passato; abbiamo già parlato della posizione chiave nei confronti della vita e della felicità e della necessità di prenderne coscienza; non solo, ma di riconciliarci con questo nostro passato.
Se, nella fiducia in questo amore di Dio, metto in rapporto il mio passato (con tutte le sue ferite) con Dio, allora è possibile scoprire anche nella profondità dei fatti dolorosi la provvidenza di Dio, che permette che tutto accada. Se rimangono ancora alcuni impedimenti e cicatrici dolorose delle ferite della vita, nella fede posso contare sul fatto che essi sono stati già redenti da Cristo. E così posso avere il coraggio di affidare a lui le mie paure e i miei dolori.
Spinta all’azione
Credere significa anche vedere la mia vita, gli altri e il mondo intero con “occhi buoni”, derivare positivamente la realtà da Dio. In ciò la fede non trascura in nessun modo i fatti dolorosi e il male distruttivo in questo mondo, ma li chiama con il loro nome e li distingue secondo giustizia e ingiustizia con il parametro dell'amore e della vita in pienezza. La fede non solo fa sperare nell'aldilà, ma rimanda anche alla “piccola felicità” nella nostra vita quotidiana. Contemporaneamente rafforza in noi la speranza nel compimento di questo mondo e della nostra vita in Dio. La fede ci libera dalla pressione della redenzione e dello sviluppo operati con le proprie forze, dalla mania del profitto, dal dover fare di tutto per una “ felicità infinita”.
“L'interpretazione del nostro mondo nella fede ci permette di cercare, per i problemi del nostro tempo, delle soluzioni più realistiche rispetto alle idee utopistiche dalle quali oggi si fanno guidare molte persone delegate al miglioramento del mondo... [Essa non si esaurisce] con la percezione di tutti i fatti negativi e con il lamento sul nostro mondo cattivo, ma ha ancora delle energie disponibili per lavorare al cambiamento positivo del nostro mondo, a un cambiamento che realisticamente è portatore di salvezza, mentre tutti i tentativi utopistici di cambiamento creano sempre nuovi problemi e alla fine diventano essi stessi dei problemi' (Grun 1986, 36ss).
Partecipazione alla Pasqua
Infine è decisivo circa la felicità e l'infelicità nella nostra vita se noi accettiamo o rifiutiamo la promessa e l'amore offertici da Dio, se crediamo alle promesse di vita e di felicità, che Dio ci ha fatto personalmente nel battesimo, piuttosto che ai messaggi di infelicità, negativi per la vita, dei genitori, dietro i quali si nasconde spesso l'avversario.
Il triplice aspetto dell'amore per Dio, per il prossimo e per se stessi, secondo la fede cristiana, è la migliore garanzia per una vita felice. L'amore “risveglia per la vita il bene che la fede ha scoperto nell'interpretazione della realtà. L'amore trasforma la realtà, la forma in modo buono e realizza il bene in essa” (Griin 1986, 41ss).
Con ciò, naturalmente, non vengono eliminate tutte le malattie e certo non viene eliminata la morte come fine della vita terrena. Ma esse vengono trasformate nella fede, dando loro un nuovo significato secondo il quale Dio stesso può essere trovato in tutte le cose, anche nella malattia, nella difficoltà e nella morte; Dio infatti si trova all'interno della vita che deve essere scoperta in modo sempre più profondo. Paolo, nella lettera ai Romani, descrive questa fede trasformante: se Gesù Cristo, che muore abbandonato sulla croce, viene risvegliato da Dio alla vita, allora per noi credenti non esiste più la morte; essa è già stata eliminata e trasformata nella risurrezione alla vita eterna.
Perciò non esiste solitudine, paura, disperazione e dunque non esiste fallimento, dolore, posizioni‚Äëchiave negative che Dio non abbia già sperimentato e redento in Gesù.
Questa fede pasquale permette anche di vedere le proprie croci e ferite alla luce della “com‚Äëpassione” di Gesù, e ciò conduce alla salvezza. Ciò vale anche per il rapporto con le situazioni dolorose di altre persone. In questo senso considerati alla luce della fede, non vi sono “casi senza speranza” Per questo una tale fede pasquale ci dona la forza di non scoraggiarci in situazioni di dolore immodificabili.
“Desidero che siate felici nel tempo e nell’eternità”: la frase di don Bosco acquista ora tutto il suo significato; non una felicità qualsiasi desidero per voi, ma “la” felicità, quella che solo Dio può dare: già ora e al termine del tempo. Per voi non desidero qualcosa, dice don Bosco; per voi desidero tutto!
don Giannantonio Bonato
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