Ricorre oggi la memoria del martire salesiano don Titus Zeman, martire per le vocazioni.
Il Beato Don Titus Zeman, salesiano slovacco, nacque da una famiglia cristiana il 4 gennaio 1915 a Vajnory, presso Bratislava. Desiderava diventare sacerdote sin dall’età di 10 anni. Nel 1931 intraprese il noviziato salesiano a Hronský Svätý Beňadik e il 6 agosto 1932 emise la Prima professione. Studente di teologia presso l’Università Gregoriana di Roma, e poi a Chieri, sfruttava il suo tempo libero per fare apostolato nell’oratorio. A Torino, il 23 giugno 1940, raggiunse la meta della ordinazione sacerdotale, e il 4 agosto 1940, a Vajnory, suo paese natale, celebrò la sua prima messa.
Quando il regime comunista cecoslovacco, nell’aprile del 1950, soppresse gli ordini religiosi e iniziò a deportare consacrati nei campi di concentramento, divenne necessario salvare i giovani religiosi per consentire a loro di completare gli studi in estero. Don Zeman s’incaricò di organizzare dei viaggi clandestini oltre il fiume Morava per l’Austria e verso Torino; una attività molto rischiosa.
Nel 1950 organizzò due spedizioni e salvò 21 giovani salesiani. Alla terza spedizione nell'aprile 1951 don Zeman, insieme con i fuggitivi, venne arrestato. Subì un duro processo, durante il quale venne descritto come traditore della patria e spia del Vaticano, e rischiò addirittura la morte. Il 22 febbraio 1952, venne condannato a 25 anni di pena.
Don Zeman uscì di prigione, in prova, solo dopo 13 anni di reclusione, il 10 marzo 1964. Ormai irrimediabilmente segnato dalle sofferenze subite in carcere, morì cinque anni dopo, l’8 gennaio 1969, circondato da una gloriosa fama di martirio e di santità.
Riguardo al periodo delle torture, don Titus ha dichiarato al signor Augustín Krivosudský:
“Quando mi hanno preso, per me è stata una Via Crucis. Dal punto di vista psichico e fisico l’ho vissuta durante il carcere preliminare. In pratica durò due anni. Sotto la finestra si trovava il luogo delle esecuzioni capitali. Ad esso quotidianamente portavano la gente. Sentivo urla e pianti disumani. Li torturavano persino anche in quel posto. Vivevo in una paura continua che in qualsiasi momento si aprisse la porta della mia cella e mi portassero fuori, al luogo d’esecuzione. Vedi, per questo tutti i miei capelli sono diventati bianchi. Se ritorno alle torture inimmaginabili sofferte durante gli interrogatori, ti dico sinceramente che ancora oggi mi vengono i brividi. Nel picchiarmi e nel torturarmi usavano metodi disumani. Per esempio, portavano un secchio pieno di liquame di fogna, in esso mi immergevano la testa e me la tenevano dentro finché non cominciavo a soffocare. Mi davano dei forti calci in tutto il corpo, mi picchiavano con qualsiasi oggetto. Dopo uno di questi colpi per vari giorni sono diventato sordo.“
A Michal, nipote di cresima, una volta ha detto:
La sera, invece di lasciarti andare a dormire, ti portano in una stanza, dove hai freddo anche se sei vestito, e ti ordinano di svestirti. Poi ti dicono di entrare in un gran buco di pietra, di stenderti sul dorso e tutta la notte ti innaffiano con acqua gelata. Ti è vietato cambiare la posizione, accovacciarti per difenderti almeno un po’ dal freddo. Durante il giorno poi devi stare continuamente in piedi e, la notte seguente, stesso trattamento. Questo era uno dei modi con cui – oltre le botte – mi torturavano. Degli altri modi, per favore, non chiedermi mai più!
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