Educare è un'avventura

Educare è un'avventura tra persone. Educare un figlio dal punto di vista affettivo e sessuale non è diverso dall'"educarlo" in senso globale: l'educazione sessuale non è altro che "educazione" della persona, "anche" sotto il profilo sessuale. Già l'avere per la prima volta un figlio è un'avventura, spesso attesa con molta trepidazione: ci si prepara in anticipo guardando amici o chiedendo consigli...

Educare è un'avventura

Educare è un'avventura tra persone: il figlio ed i genitori sono coinvolti in un percorso umano di cui vedono il presente, ma di cui non possono prevedere il futuro, né tantomeno intuire l'esito finale, nonostante possano cercare di indovinarlo o di immaginarlo secondo i propri desideri, proprio come nei racconti di avventura.

Educare un figlio dal punto di vista affettivo e sessuale non è diverso dall'"educarlo" in senso globale: l'educazione sessuale non è altro che "educazione" della persona, "anche" sotto il profilo sessuale.

Già l'avere per la prima volta un figlio è un'avventura, spesso attesa con molta trepidazione: ci si prepara in anticipo guardando amici o chiedendo consigli; cercando poi di prevedere via via le tappe della crescita, per assecondare lo sviluppo secondo le direttive dettate dai più noti "esperti" che offrono regole e ricette dalle colonne delle riviste; desideriamo "bimbi sani e belli", programmati nella loro evoluzione, nello sviluppo delle loro capacità, accuditi in ogni momento della loro crescita, frutto delle nostre amorose cure di genitori che non si lasciano cogliere di sorpresa dalle necessità della vita.

Siamo in un'epoca in cui i figli hanno un posto importante nella vita dei genitori, molto di più di quanto fosse per le generazioni passate: una volta al centro della famiglia stava salda la coppia genitoriale, o meglio, il "capofamiglia" e la madre con i loro doveri già chiari e definiti. Ora al centro della famiglia sta spesso il figlio, fonte di gioie e di preoccupazioni, che deve essere accudito nel migliore dei modi dai due genitori che però non hanno più ruoli definiti e totalmente differenti, ma che spesso si sovrappongono e si affannano insieme, talvolta intralciandosi con pareri diversi; papà che si occupano dei problemi intestinali dei figli, criticando l'operato della moglie in campo alimentare o igienico; mamme che si aggiornano sulle riviste o libri specialistici, per rimediare ad una insicurezza crescente.

E l'aspetto affettivo-sessuale non rimane certo trascurato: pareri contrastanti sull'uso del "ciucciotto", sull'addormentamento serale o sull'opportunità di mostrarsi nudi ai figli piccoli, si accavallano ai pareri più illuminati di parenti delle due famiglie di origine e a quelli degli esperti. Ma in ogni avventura ci sono gli imprevisti.

Tutto il darsi da fare dei genitori ha però spesso come scopo non dichiarato, oltre alle buone intenzioni amorevoli di far "crescere bene" il figlio, il desiderio più o meno nascosto di eliminare qualsiasi imprevisto della vita, quasi temendo che una novità non prevista possa essere non solo occasione di danno al figlio, ma anche alla propria immagine di genitore, non previdente e poco "capace". Vivendo così, con questa preoccupazione, si rischia di "costringere" la vita entro binari delle proprie previsioni, non accettando del figlio e della sua crescita ciò che non era immaginato in anticipo, o accettandolo con rassegnazione, come fosse una sconfitta immeritata. La realtà, al contrario, è sempre più ricca ed intensa di quanto si possa immaginare nei propri sogni od aspirazioni: un figlio rivela prima o poi caratteristiche che i genitori non avevano previsto, doti diverse da quelle immaginate, capacità che non si credeva possibile che si sviluppassero.

Certamente non si può essere ingenui: la vita implica anche pericoli oggettivi e possibilità di scelte diverse da quelle auspicabili, rischio di cui bisogna essere consapevoli per indirizzare bene i figli: ma perché questa consapevolezza deve accompagnarsi spesso ad un "timore", ad un pessimismo, che paradossalmente ricerca la conferma delle proprie previsioni? Eppure ammettere l'imprevisto, accettare la possibilità che possa succedere qualcosa di diverso da quello che abbiamo immaginato per i figli, è la condizione fondamentale per la crescita della caratteristica più profonda e preziosa della loro persona: la loro libertà. Se i figli fossero solo il risultato dell'azione educativa dei genitori, della loro esperienza e saggezza di educatori, i figli sarebbero solo un "prodotto" dei genitori; come in una fabbrica: difetti o i pregi del prodotto finale sono solo imputabili a chi li ha progettati o agli errori delle macchine che li hanno fabbricati; e giustamente si dà all'acquirente un certificato di garanzia, che riconosce la responsabilità di eventuali difetti di fabbrica.

Ma con i figli il processo di formazione non è così meccanico: anche genitori esperti e "saggi" possono incontrare con un figlio maggiori difficoltà che non con un altro, non solo perché ogni figlio è "unico", diverso dagli altri, ma anche perché c'è di mezzo la sua libertà, quella possibilità di scelta dei comportamenti che dipende ultimamente solo dal singolo essere umano, per influenzabile e malleabile che sia: e ciò, per quanto genitori credano di conoscere loro figlio, è imprevedibile.

Ammettere questa imprevedibilità è lasciare spazio alla libertà del figlio. Ciò non toglie che di fronte alle scelte del figlio che appaiono errate, il genitore possa di nuovo interloquire, possa far presente un'altra possibile scelta, o dar anche consigli; ma è importante ammettere che i figli sono fondamentalmente "liberi" di scegliere la loro strada, utilizzando sotto loro responsabilità i valori che hanno incontrato nei genitori e negli altri. La sessualità e l'affettività, poi, ancor più devono essere affrontate con una responsabilità personale, perché stanno nel profondo dei valori e dei desideri della persona: pertanto in questo campo il figlio deve usare tutta la sua libertà personale con la capacità che essa implica di riconoscere il bene per sé.

L'obbedienza conformistica o per timore di punizioni non è sufficiente per assumersi, da parte del figlio, i profondi valori morali della vita: se il figlio non li riscopre personalmente, sollecitato ed aiutato dal genitore, prima o poi li abbandona per sempre.

Ecco allora perché educare i figli è un'avventura appassionante: perché il rischio che si affronta non è banalmente l'imprevisto dovuto ai fattori esterni, come sarebbe quello che si affronta in un viaggio, per esempio, ma è un rischio connesso anche alla caratteristica più profonda dei figli e di ogni essere umano: è il rischio della libertà loro e di noi genitori. Libertà da far crescere nella sua capacità di adesione al vero e al bene, attraverso un lungo cammino insieme. Educare è educare la libertà.

La libertà è la caratteristica fondamentale di ogni essere umano che possa dire "io" con pienezza e soddisfazione. Fare i conti con tale libertà è pertanto fare i conti con la persona che abbiamo di fronte, stare in rapporto più profondo con essa, senza assimilarla a noi. Perciò è appassionante riconoscere la libertà di qualsiasi persona: perché è come entrare maggiormente nel suo mondo interiore con discrezione e rispetto, come entrare in casa sua avendone chiesto il permesso ed essendone ammesso come ospite gradito. L'alternativa è entrarvi "senza permesso", con invadenza o con distrazione, senza accorgersi del padrone di casa: a volte è premessa di conflitti e di scontri, di incomprensioni lunghe o di sottomissioni rassegnate.

Ma la libertà non è un "dato" posseduto già nelIa sua pienezza: nessuno nasce già con una libertà ed una capacità di "volere" formata ed adeguata ad affrontare la vita nella sua ricchezza e complessità. La libertà è un bene che cresce nel corso della vita all'interno di ogni persona che attui una modalità di rapporto con la sua esistenza aperto, non chiuso sulla difensiva.

Ogni figlio ha presto, fin dai primi giorni di vita, una iniziale capacità di movimenti (degli occhi, degli arti, poi di tutto il corpo..) che diventa iniziale libertà da quando diventa percezione di sé distinto dagli altri esseri che lo circondano; successivamente questa percezione diviene capacità di dire "io", che cresce in consapevolezza quanto più si distingue dall'io di degli altri, magari anche con caparbietà talvolta, con dei "no" che appaiono assurdi agli adulti, ma che sono lo "spazio" per potersi percepire come individuo.

Quanto più crescono i bambini, tanto più si evidenzia questo desiderio di libertà, fino a quando, nell'adolescenza, essa diventa il perno della personalità del ragazzo e della ragazza, lo spazio interiore delle loro motivazioni e della loro energia d'impegno con l'esistenza.

Desiderano avere amici, parlare delle loro simpatie ed antipatie, anche se sanno che gli adulti non approverebbero tutte le loro modalità di rapporto con i coetanei; e cominciano a desiderare di essere guardati in modo diverso, provano emozioni nuove nelle relazioni interpersonali, fra maschi e femmine, da cui si sentono attratti, come da una possibilità nuova di essere, di vivere. E le energie che impiegano in tutto questo lavorio sono grandi, raccogliendo tutti i suggerimenti che la loro fantasia e la loro libertà permettono. Come si può educare alla libertà?

L'opera educativa dei genitori coincide sempre più con la cura che essi hanno della formazione della libertà del figlio: un genitore educa i propri figli quanto più stimola la loro libertà ad impegnarsi con la vita, a fare scelte costruttive per sé e per gli altri.

Cercare di forzare questa libertà interiore del figlio può essere una tentazione: si esprime spesso con l'insistenza di certi richiami, o con la fretta che il figlio interiorizzi le motivazioni del genitore; in ogni caso al di là della buona intenzione, è sempre una falsa "scorciatoia", perché il figlio ha bisogno di un tempo e di uno spazio suoi per interiorizzare veramente una prospettiva di bene propostagli, e qualsiasi tentativo di abbreviarne i tempi, non ottiene in realtà che risultati effimeri, se non addirittura contrari. Anche la posizione opposta non fa maturare il figlio: lasciargli la più assoluta libertà di "fare ciò che vuole", il permissivismo, lo lascia nell'incertezza, talvolta persino nel dubbio di essere realmente amato, e comunque in balia degli stati d'animo o degli entusiasmi del momento. In realtà il figlio ha bisogno dello stimolo dei genitori: la sua libertà interiore non cresce nel vuoto, nell'assenza di qualsiasi proposta, come talvolta s'illudono taluni genitori che di questo distacco fanno una bandiera di fiducia nel figlio: all'opposto, invece, essa cresce quanto più ha a che fare con una proposta precisa con cui fare i conti, con cui confrontarsi: solo così è possibile che il figlio arrivi ad una adesione, o ad un rifiuto consapevole, ai valori dei genitori, se essi ne hanno.

Certamente non è questione di qualche giorno, né di qualche mese soltanto: è un lungo cammino, fatto di un interesse alla sua crescita interiore, alla sua reale maturazione, come in ogni rapporto che sia educativo. È una educazione "alla libertà" senza che quest'ultima sia confusa con la "voglia", che schiavizza il giovane all'inclinazione del momento.

Ma l'educazione alla libertà implica un rischio: il rischio che il figlio possa fare scelte sbagliate o che tali appaiono per lo meno al genitore; comunque scelte diverse da quelle previste e desiderate dal genitore, nonostante tutta la sua attenzione e le energie spese per ottenere un esito giudicato buono.

È nella natura stessa dell'opera educativa questo rischio: l'educatore sa che non può sostituirsi al giovane che vuole educare nell'affrontare la vita; è il ragazzo che deve progressivamente assumersi le scelte necessarie nella sua esistenza, quindi anche nella vita sentimentale e sessuale, in una crescente capacità di autonomia. L'opera educativa è "riuscita" proprio quando il giovane "cammina con le sue gambe", capace di scegliere ciò che è bene per la sua persona. Ed in questa crescente autonomia c'è un margine di rischio inevitabile. Il figlio può affezionarsi ad una ragazza che non è proprio "il tipo che ci voleva per lui", o almeno in questo momento di impegno con lo studio, oppure al contrario, la figlia può tardare a legarsi sentimentalmente con un ragazzo rispetto all'età che penseremmo come ideale. Se il genitore non sa correre (sia pur prudentemente) questo rischio legato all'affermarsi progressivo della autonomia del figlio, allora sarà ben difficile che questi raggiunga quella maturazione che si desidererebbe per lui: magari seguirà consigli e i dettami dei genitori, sarà un adolescente "obbediente" ( e forse con un pò di tristezza nel cuore), ma difficilmente assumerà con convinzione ed energia i valori propostigli.

È questo il caso di alcuni figli devoti e fedeli, ma poco entusiasti della vita, perché avvertono che la loro libertà è un pericolo per se stessi e per i genitori; e che perciò non danno tutto quello che potrebbero dare a sé e agli altri, non usano tutte le risorse interiori che solo la libertà evidenzia. Al contrario il genitore che avrà fiducia nella positività della libertà del figlio, lo incoraggerà a farne uso nella vita, cogliendo le occasioni per impegnarsi con essa e dando di sé quello che in quel momento può dare.

Talvolta il genitore deve proprio precedere il figlio in questa fiducia, perché i figli spesso hanno una particolare sensibilità nel cercare di indovinare ciò che può intimorire o che può maggiormente rendere tranquilli e sicuri i propri genitori: se pertanto hanno l'impressione che al genitore dà preoccupazione la propria autonomia, taluni di essi prontamente ne fanno a meno, e rimangono "dipendenti" a lungo, magari non sposandosi mai. Il rischio dell'errore.

Abbiamo visto che "educare" comporta un rischio: il rischio che le risposte e le scelte di chi deve essere educato non siano conformi alle nostre aspettative e desideri di genitori: può capitare che l'adolescente scelga amici poco apprezzati, o utilizzi il tempo libero in modo diverso da quello auspicato dai genitori, o che s'innamori di un coetaneo a loro non ben accetto. Per non parlare poi di scelte ancor più discutibili, dalle conseguenze chiaramente dannose.

In tali casi il genitore innanzitutto ha il dispiacere di veder cadere il figlio proprio nell'errore temuto, contro le sue indicazioni e raccomandazioni. Ed in questi momenti certo è una triste consolazione il poter dire: "L'avevo detto, io!..": è una "consolazione" che ci si può prendere solo se la rabbia contro il l'adolescente che non ha "obbedito" fa prendere al genitore la distanza da lui, lo fa sentire improvvisamente estraneo od addirittura ostile. Comunque sia, dura ben poco come "consolazione": è presto abbandonata a favore di un ripensamento totale del rapporto col figlio, per cercare di scorgervi che cosa sia stato sbagliato, da parte del genitore, per non essere stato ascoltato in tempo.

Ma lo sbaglio del figlio, può diventare spesso occasione di un positivo ripensamento, da parte dei genitori, del rapporto che hanno avuto con lui fino a quel momento. In alcune coppie questo ripensamento si conclude a volte con l'autosentenza di fallimento, come se lo sbaglio del figlio potesse essere solo frutto di un errore educativo dei genitori stessi, e non anche l'esito di un possibile impiego errato della libertà da parte del figlio; in altri casi tale ripensamento conduce solo a una presa di distanza, come ad una delusione che porti estraneità nei rapporti in famiglia, per non "doversi arrabbiare.

In ogni caso bisogna riconoscere che l'errore del figlio è sempre una difficoltà per il genitore, che può' reagire deluso o prendere le distanze da un rapporto che lo coinvolge profondamente. Ambedue le reazioni descritte, però, non solo non hanno nessuna utilità per il figlio, ma addirittura possono avere conseguenze ulteriori di reazioni negative: possono essere accentuati dall'adolescente comportamenti reattivi, come l'attaccamento più ostentato proprio agli amici o al ragazzo (o alla ragazza) disapprovati dai genitori. Quale prospettiva può esserci allora in questi casi? Che cosa può dare serenità e fiducia di poter sostenere il rapporto con il figlio, mentre invece si ha l'impressione come genitori che si sia infranto un sogno, che sia "crollato un castello" in cui ci si sentiva sicuri e al riparo da sorprese?

Solo un reale ripensamento del rapporto tra marito, moglie e figli può portare ad un nuovo atteggiamento di fronte al figlio, riflettendo sulle proprie aspettative, desideri, consapevoli ed inconsapevoli che si rivelano da ciò che succede: al di là della buona intenzione, il rimprovero fatto al figlio è forse più motivato dall'irritazione perché lui mi ha toccato in qualcosa che mi irrita terribilmente; o la svalutazione del suo "ragazzo" che ho fatto a mia figlia risponde più ad esigenze di non aver "concorrenti" ai suoi occhi... E poi è necessario ripensare al figlio, alle sue esigenze e desideri, per poter riconoscere la "sua" strada, il suo "destino"; ed infine riconsiderare le condizioni di un rapporto con lui che gli permettano di esistere e crescere come persona, pur con lo sbaglio che può aver commesso.

L'errore, infatti, per quanto grave sia, non toglie a nessuno la possibilità di fare nuovamente i conti con la vita, non toglie a nessuno tutte le possibilità di vivere una vita degna di essere vissuta. Tutto ciò' però è possibile soprattutto se il figlio o la figlia ricevono dai genitori (o da altre persone che stimano) la fiducia necessaria per riprendere a vivere e ad esplorare le proprie capacità o le possibilità che la vita offre; se invece il genitore e gli altri si ritirano delusi e pieni solo di condanna, il cammino sarà più difficile; sarà sempre possibile, ma più' difficile.

Un genitore capace di superare le prime reazioni di delusione e di "sdegno" di fronte al figlio che ha sbagliato, non solo aiuterà' il ragazzo a riprendere il cammino della sua vita, ma potrà scoprire per se stesso una possibilità di vivere in modo più profondo e significativo il rapporto col figlio medesimo, una possibilità nuova che prima era offuscata da aspettative o magari pretese, che impedivano insomma di percepire la realtà del ragazzo stesso.

Il rapporto con lui può diventare allora meno formale e meno rigido, ed ognuno in famiglia può riconoscere il proprio "posto" e sentirsi accolto con libertà, nella propria concreta realtà di persona. Famiglia: ambito naturale di educazione sessuale?

Da quanto finora affermato risulta evidente che la famiglia è il luogo naturale dove, non solo per "scelta morale" ma come oggettivo ambito di educazione, possa avvenire una vera formazione sessuale. La presenza e l'autorevolezza del padre e della madre e le modalità di relazione tra marito e moglie hanno grande valore educativo per il bambino e per l'adolescente, perché gli permettono di confrontarsi con gli adulti che nel rapporto coniugale vivono i reciproci ruoli in armonica relazione tra loro stessi e i figli.

La coppia che ha consapevolezza del valore e del significato della propria sessualità ha anche la capacità di aiutare le domande dei figli, anche se esplicitate in modo indiretto, di abbozzare delle risposte che siano vere anche se adeguate all'età e alle esigenze di chi ha formulato le domande.

In genere già verso i tre, quattro anni i bambini pongono ai genitori domande dirette circa la propria nascita, la loro origine; vogliono sapere dove erano prima di nascere e come sono potuti "uscire" dalla pancia della mamma. In seguito le domande si fanno sempre meno dirette ed a volte il bambino esprime il suo bisogno di sapere attraverso comportamenti che denotano un particolare interesse verso l'intimità della coppia genitoriale, verso le donne in attesa di un bimbo ecc. Il bambino è da sempre molto affascinato e curioso di conoscere il come ed il perché si viene al mondo ed è importante che i genitori non si fermino ad una descrizione dell'avvenimento evitando di parlare dell'amore tra un uomo e una donna, del desiderio e del rispetto della diversità dell'altro. Ma nonostante le risposte date, i genitori non si devono stupire se le stesse domande vengono poste nuovamente a distanza di tempo; anche se i bambini sembrano essersene dimenticati, l'aver risposto in modo vero permetterà loro di comprendere il significato della sessualità quando saranno adulti.

L'accettazione della dimensione sessuale del bambino e l'aiuto che proviene in primo luogo dai genitori ad inquadrare tale dimensione nello sviluppo della sua personalità globale, indurranno l'adolescente a realizzare la sua sessualità in modo naturale e soddisfacente, perché egli ritroverà nelle proprie esperienze infantili e nella comunicazione con i propri genitori le premesse ed i criteri con cui affrontare l'avventura del divenire "grande". L'educazione sessuale può così essere praticata e condivisa attraverso un'esperienza di crescita personale, dai genitori stessi oltre che dai figli. Essa è vissuta anche nella fatica della pazienza e nella sofferenza di cui molte volte gli stessi genitori danno esempio proprio con il loro modo di essere coppia.

L'educazione sessuale diventa espressione della relazione tra le persone che stanno insieme e che si vogliono bene, in un clima di apertura e di disponibilità ad accettare le differenze di cui ogni singolo componente della famiglia è portatore.

Un simile clima instaurato durante tutto l'arco della crescita dei figli, quando sono evitate le bugie, le deformazioni della realtà, le repressioni e le finzioni, aiuta ad evitare l'insorgere di dissonanze, conflittualità e ambigue curiosità.

Tuttavia, pur se la conoscenza dei meccanismi che stanno alla base dell'esperienza e del comportamento sessuale è importante, non è condizione sufficiente per rispondere esaurientemente a tutte le domande dei ragazzi. Essi, come abbiamo precedentemente visto, quando interrogano gli adulti sia in forma implicita che esplicita, si aspettano una risposta che spieghi il significato più profondo che vada oltre il solo aspetto fisico-biologico.

Il sapere come usare della genitalità, la descrizione del funzionamento degli organi non è educazione sessuale, ma soprattutto non serve e non basta ai ragazzi per comprendere totalmente il significato del loro essere persona maschile o femminile. Non si deve ignorare il grande desiderio di amore (amare ed essere amato) che caratterizza ogni uomo.

Allora il compito di ciascun genitore consiste nel rischiare un lavoro educativo condiviso con il coniuge che si è scelto come compagno di questa affascinante avventura, preoccupati non tanto di saper usare una terminologia scientificamente esatta, ma soprattutto certi che la storia di ognuno di noi, fatta di limiti di desideri e di fatica, può essere riferimento e confronto nella ricerca di identità che i figli stanno facendo.

In questo delicato compito sarebbe importante che la famiglia non si trovasse sola ad affrontare i dubbi e le incertezze che ogni relazione educativa comporta. Il potersi incontrare con altri genitori, il confrontarsi sui criteri educativi assunti, il riuscire a dialogare con altri adulti - per es. insegnanti, educatori che pur in ambiti diversi dalla famiglia hanno a cuore il destino del giovane loro affidato - favoriscono una interazione tra la famiglia ed i luoghi di formazione in cui l'adolescente è inserito.

Gli adulti diventano così per il ragazzo propositivi di una ipotesi di lavoro, modelli con cui confrontarsi per poter scegliere e verificare " chi" vuole diventare. Perché questo possa accadere è però necessario che l'adulto e il giovane abbiano un comune amore al vero, dove non sia ritenuta né obiezione né scandalo l'incoerenza e l'errore, perché insieme, amichevolmente e con affetto ci si aiuta a riscoprire il significato il motivo e la speranza per cui vale la pena di vivere.

Annamaria Brambilla

http://www.culturacattolica.it

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