Quando per motivi che tu non conosci, ti dovrai fermare, stai ugualmente contento...
Quando incontriamo qualcuno che non vediamo da tempo, gli chiediamo come sta, come va.
Come risposta, dopo averci detto che sta più o meno bene, subito ci tiene ad assicurarci che fa questo, o quello, che corre qua, che corre là.
Quasi a garantirci che non è uno che vive con le mani in mano, che non perde tempo; ma che è utile alla società, alla famiglia, alla comunità. Augurandosi di poter sempre fare tanto bene, riterrebbe una disgrazia il restare inattivo, non essere più in grado di far nulla per malattia o per vecchiaia, col timore di diventare un peso a chi gli sta attorno.
Giorni fa ho incontrato due amici, ai quali, tra il serio e il faceto, ho chiesto: “Secondo voi, chi lavora di più?.. chi corre o chi sta fermo?”. Dopo alcuni momenti di riflessione, uno mi risponde che questa gli risulta una domanda troppo difficile ed impegnativa.
Ma la risposta me l’ha saputa dare Michel, un amico provato dal dolore e che ho potuto visitare all’ospedale dov’era ricoverato.
Michel, persona attivissima, di quelle che “una ne dicono, dieci ne fanno”, come si suol dire: un corridore nato.
Gli domando come va. Mi ha descritto la malattia improvvisa, le cure, le raccomandazioni dei medici: “Non fare questo, non fare quello; non mangiare né questo, né quello. D’ora innanzi si scordi quell’impegno, quell’attività. Per un lungo periodo, “ciabatte, letto, poltrona, qualche passo…”.
Mi sono complimentato con lui, chiedendogli come mai e da dove quella sua inaspettata e invidiabile serenità nella completa e forzata inattività.
A questa domanda ha subito risposto con un sorriso come di chi doveva rivelare qualcosa di bello e di grande, ma capiva che non gli sarebbe stato facile trovare le parole. Perciò preferiva rispondermi raccontandomi una “favola vera” come la definì egli stesso.
“Un ricco signore, viveva in un grande palazzo, dai lunghi corridoi e dalle grandi sale. Durante il giorno, in certe ore della giornata, per rallegrare chiunque andasse a visitarlo faceva sfrecciare lungo i corridoi e le grandi sale, macchinine – modellini appartenenti alle diverse case della formula uno; tutte funzionanti, scattanti e obbedienti ai pulsanti che lui manovrava. Era una meraviglia vedere quei modelli scorrazzare con il tipico rombo delle macchine vere. Alla sera le allineava nel salone più grande, le guardava, le lucidava una ad una, fiero di loro; ma anche queste macchinine sembravano fiere di correre per la gioia del loro proprietario. Ma un giorno, proprio quella che sembrava la più apprezzata, si ruppe, si fermò in mezzo al corridoio, creando scompiglio e sconcerto tra le altre che passando la vedevano ferma e e di traverso. Tutte si fermarono a commiserarla: ormai non più funzionante, sarebbe stata gettata via; una disgrazia nella disgrazia. Invece accadde un fatto inaspettato che destò meraviglia e sollievo in tutte: il proprietario, visto il danno irreparabile, la prese in mano, la lucidò, la portò nel suo studio, la pose sul suo tavolo perchè diventasse il suo prezioso “fermacarte”. Mai la incidentata avrebbe potuto sognare di servire, anche immobile, di diventare un prezioso fermacarte e stare tutto il giorno sul tavolo, sotto gli occhi del suo padrone. Tutte le altre macchinine, vista la predilezione accordatale, passarono dalla commiserazione per la temuta disgrazia nella disgrazia, ad una specie di invidia per la insperata grazia che nella disgrazia è toccata alla compagna."
Vai, corri, fai, lavora,-concluse il mio amico malato -…e sei contento perchè è volontà di Dio e per questo piaci a Dio. Quando per motivi che tu non sai e non conosci, ti dovrai fermare, stai ugualmente contento perchè è volontà di Dio e così ugualmente piaci a lui che di te vuol servirsi in un altro modo, quando dalla pista della tua operosità, ti vuole prezioso “fermacarte”, collaboratore-sul tavolo della sua scrivania.
Serve chi corre e anche chi sta fermo, se correndo o fermandosi sta nella mano di Dio.
p. Andrea Panont
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