Quella praticata dal Festival di Sanremo edizione 2005 nei confronti del Darfur è “carità pelosa, atteggiamento paternalistico che appartiene alla stessa logica degli sms per il sud-est asiatico, che non mette in discussione chi dona, ma tende a lavare le coscienze”. Parola di padre Giulio Albanese, fondatore della Misna...
del 01 gennaio 2002
Quella praticata dal Festival di Sanremo edizione 2005 nei confronti del Darfur è “carità pelosa, atteggiamento paternalistico che appartiene alla stessa logica degli sms per il sud-est asiatico, che non mette in discussione chi dona, ma tende a lavare le coscienze”. Parola di padre Giulio Albanese, fondatore della Misna, uno che di Africa se ne intende. Il missionario comboniano è intervenuto ad un convegno su “Africa chi sei?” promosso dalle Acli nazionali e non ha usato mezzi termini per dire la sua sull’iniziativa benefica del Sanremo targato Paolo Bonolis. Una riflessione che farà discutere, anche perché il progetto festivaliero “Avamposto 55” ha obiettivi concreti e mira a costruire un presidio ospedaliero in Darfur che sarà – nel bene e nel male – una realtà utile e importante.
Eppure il sacerdote, giornalista e missionario, invita a rifuggire la logica “del ricco epulone e delle suo briciole per il povero Lazzaro”, criticando le immagini “del solito bambino africano col pancione” e mettendo in guardia dal rischio della ''banalizzazione'' e della ''solidarietà strappalacrime''. In realtà, la prima vera forma di solidarietà è l’informazione, chiamata oggi a confrontarsi con una dimensione etica, superando il modello di un giornalismo “in cui è la notizia che cerca i giornalisti e non viceversa”. Per questo, padre Albanese ha chiesto con forza, in particolare al mondo cattolico, associativo e missionario, uno sforzo di comunione per un progetto editoriale di stampo sociale: “Senza disperdersi in una miriade di progetti analoghi, autoreferenziali e di nicchia, è tempo che nasca una grande agenzia di stampa di tutto il mondo della società civile”, che faccia da moltiplicatore potenziale per tutto il sistema mediatico. La pluralità di notizie e di spazi informativi similari di cui è ingorgata la Rete sembrano infatti destinati a disperdersi e affondare nel mare magnum di internet, che invece dovrebbe fungere solo da trampolino per comunicare quanto la società civile fa di buono.
Ammonendo sul rischio che l’Africa possa diventare «il Medio Oriente del futuro» e sull’impossibilità di raccontare l’Africa senza corrispondenti e fonti locali, padre Giulio ha chiuso il suo intervento lanciando una proposta alle grandi testate giornalistiche italiane: “Perché non adottate un giornalista africano come corrispondente locale? Ce ne sono tanti e bravi e non riescono a sbarcare il lunario. Se ogni testata ne avesse uno, magari da varie parti del continente, avremmo fatto un servizio alla qualità dell’informazione e realizzato un progetto di solidarietà concreta”.
di Mattia Bianchi
Tratto da http://www.korazym.or
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