Filippine in ginocchio. L'Onu: servono 300 milioni di dollari

Mentre sulle isole devastate la situazione fatica a registrare miglioramenti concreti, con il crescente disappunto unito alla mancanza di generi necessari, la comunità internazionale sta prendendo i suoi impegni di solidarietà.

Filippine in ginocchio. L'Onu: servono 300 milioni di dollari

 

Mentre sulle isole devastate delle Filippine centrali la situazione fatica a registrare miglioramenti concreti, con il parallelo e crescente disappunto unito alla mancanza di generi necessari, la comunità internazionale sta prendendo i suoi impegni di solidarietà.

 

 

Portando con sé un finanziamento Onu di 25 milioni di dollari, ieri a Manila il sottosegretario delle Nazioni Unite per gli Affari umanitari, Valerie Amos, ha ricordato alla comunità internazionale che l’arcipelago necessita di almeno 301 milioni di dollari (pari a 224 milioni di euro) nei prossimi sei mesi per soccorrere 11,3 milioni di persone colpite dalla furia di Haiyan. «Abbiamo lanciato con il governo un piano di azione centrato sulle aree di cibo, salute, sanità, riparo, rimozione dei detriti e protezione dei più vulnerabili. Io spero vivamente nella generosità dei nostri donatori», ha detto la Amos. Evidentemente, però, l’esperienza di altre emergenze e le condizioni delle Filippine sollecitano anche impegni preventivi. Davanti alla preoccupazione che una parte dei fondi finisca ad alimentare la corruzione più che alleviare le difficoltà dei bisognosi, il ministro al Bilancio, Florencio Abad, ha assicurato che «donazioni e finanziamenti entreranno nei registri governativi e saranno quindi contabilizzati».

 

 

Finora la comunità internazionale ha offerto 54 milioni di dollari, arrivati da 28 Paesi e da organizzazioni internazionali come l’Unione Europea che ha annunciato 13 milioni di euro. Ingenti quantità di aiuti stanno affluendo a Manila per essere recapitati nelle aree colpite. Anche con mezzi stranieri. La portaerei statunitense George Washington è salpata ieri da Hong Kong per le Visayas, come pure, da Singapore, un incrociatore britannico. A partecipare al ponte aereo tra Manila e gli aeroporti principali della regione sono anche i C130 dell’aviazione militare statunitense, mentre è in arrivo da Londra un aereo da trasporto C17. Quanto al bilancio delle vittime, il presidente delle Filippine, Benigno Aquino, in una intervista alla Cnn, ha detto che «è vicino a 2.000-2.500 morti e non ai 10mila, come è stato erroneamente reso noto nei giorni scorsi dagli organi di stampa». Secondo Aquino, le prime stime potrebbero essere state influenzate dall’emotività. Ma il presidente ha anche precisato che mancano ancora da contattare 29 municipalità. Sono invece almeno 600mila i profughi nei campi di fortuna.

 

 

Una delle tante emergenze è quella dei saccheggi e della violenza. Soprattutto nella città di Tacloban, simbolo della catastrofe e dove le vittime potrebbero essere 10mila, la notte è pericolosa anche per chi non ha più nulla o per chi cerca di salvare le poche cose rimaste.

 

 

Da ieri mattina vi è stato imposto anche il coprifuoco per evitare tensioni e saccheggi e le strade che attraversano la devastazione sono pattugliate da blindati e militari dei corpi d’élite. Altri 700, inclusi genieri sono arrivati oggi da Manila. Loro compito ripulire la città, dove ancora un gran numero di cadaveri sono abbandonati tra le macerie e lungo le strade, ma anche proteggere l’aeroporto, assediato da migliaia di disperati perché unica via d’uscita dall’incubo che è diventata la loro città e perché al suo interno si trovano viveri, acqua e un ospedale da campo. Come occorre formare posti di blocco che fermino il panico e impediscano infiltrazioni della criminalità.

 

 

Ieri i ribelli attivi nella regione hanno teso un’imboscata a un camion carico di aiuti diretti verso Tacloban. Due morti e un ferito tra la quindicina di assalitori a segnalare un pericolo concreto e inaspettato. In alcune aree delle Visayas, i ribelli di ispirazione maoista del Nuovo esercito del popolo hanno loro roccaforti e una presenza storica. La loro insurrezione motivata ideologicamente negli anni Settanta, raffinata nelle tecniche belliche durante il duro regime di Ferdinand Marcos, nell’ultimo trentennio ha avuto al centro attività di autofinanziamento sulle aree sotto la loro influenza. Dopo giorni di incertezza hanno deciso di farsi avanti. Probabilmente con il duplice obiettivo di non perdere terreno e di garantirsi parte degli aiuti.

 

 

Stefano Vecchia

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