Giovani lasciati al presente da Giovani per i Giovani

Giovani per i giovani. Ma chi sono i giovani d'oggi? Ci siamo serviti di un'indagine del Censis per chiarirci un po' le idee e capire quali sono i cambiamenti in atto nella cultura e nell'identità giovanile. Il campione è composto di 1500 giovani tra i 15 e i 30 anni, l'arco d'età dell'adolescenza lunga. I dati da riportare sarebbero molti, ma dati limiti di spazio ci soffermeremo sui più significativi. (continua...)

Giovani lasciati al presente da Giovani per i Giovani

da GxG Magazine

del 04 aprile 2003

 

I giovani italiani non hanno una vocazione spiccata all’impegno di tipo pubblico. Pochi aderiscono ad associazioni studentesche (13,2%), pochi ai partiti (9,4%), pochissimi ai sindacati (4%). Anche con riguardo ai luoghi in cui trascorrono il tempo, solo il 3,1% frequenta i centri sociali che rappresentano una delle sedi privilegiate di socializzazione politica.

In questo senso, tempo libero e tempo impegnato corrispondono alla stessa necessità: non sottrarre troppe energie, al di là della loro fruizione immediata. Coltivano al più esperienze di volontariato e di gruppi parrocchiali, slegate da impegni progettuali di tipo generale.

 

Fortemente legato alla mancanza di impegno sociale, è l’appiattimento dei giovani sul presente. Per questo essi privilegiano, su tutti i piani, le relazioni corte e di chiara immediatezza. Vogliono “essere ora”, e già l’attesa del giorno successivo può diventare oggetto di rifiuto. Questa analisi motiva la frequenza con cui i giovani comunicano tramite telefonini e sms e il bassissimo ricorso a mezzi come le lettere cartacee che l’85,2% di loro non usa mai, proprio per il differimento dei benefici che procurano in termini di messa in relazione.

La domanda di immediatezza che i giovani chiedono alle loro relazioni interpersonali si riflette anche sul loro rapporto con la sfera degli affetti.

L’amore per la maggior parte dei giovani –anche per quelli di loro che hanno già un legame– rimane una dimensione da sogno: nessuno si nega un futuro in cui ci sia spazio per un innamoramento, ma al tempo stesso, senza una particolare voglia di investire su esso. Sì all’amore, dunque, no ai legami più istituzionali che comportano investimenti di vita. Si tratta di un atteggiamento di rilassatezza legato, probabilmente, alle difficoltà di costruire legami stabili sul piano economico e profondi sul piano intimo-affettivo. E all’assenza di un reale processo di formazione: ai giovani non viene più trasmesso, ad esempio, uno dei significati più costruttivi dell’amore, quello cioè che si tratta di un sentimento che va coltivato e curato e che comporta attenzioni non necessariamente razionali, ma coscienti, perché cresca e si rafforzi.

Per altri versi, i giovani temono l’impegno che gli investimenti interiori comportano, così come hanno paura di tutto ciò che non riescono direttamente a controllare: la guerra, la violenza, le patologie sociali, nonché tutte quelle insicurezze interiori che procurano noia e spesso non hanno risposte (la solitudine, la morte, la sofferenza e il dolore fisico).

 

Eppure si tratta di giovani che avvertono il bisogno di scavare nella dimensione della spiritualità: il 34% di essi sente infatti la necessità di riflettere sul tema della trascendenza.

Ciò che colpisce è la tendenza dei giovani a costruirsi “percorsi spirituali personalizzati”: solo nel 9,9% di risposte si osserva un’adesione ai riti religiosi, mentre negli altri casi prevalgono percorsi spontanei che vanno dalla preghiera alla meditazione. Colpisce, tra l’altro, l’orientamento dei giovani a rendere l’“amore per gli altri” uno strumento attraverso cui soddisfare il proprio bisogno di spiritualità (26,6%).

Una domanda pressante di sicurezza traspare da tutti gli atteggiamenti e le opinioni raccolte. Gli eventi esterni, nonché i passaggi verso la maturità contribuiscono a rafforzarla.

La famiglia resta un’agenzia fondamentale, non tanto e non solo perché il 73,2% dei giovani ancora vive all’interno dei nuclei di origine, ma per il legame profondo che lega i giovani alle proprie radici. La figura del padre e della madre offrono ancora modelli in gran parte da seguire, almeno per alcuni aspetti.

I giovani aspirano ad una tipologia di famiglia generalmente molto tradizionale: uomini e donne possono occuparsi indifferentemente dell’organizzazione di casa e della partecipazione al bilancio familiare, ma delle attività domestiche devono farsi carico soprattutto le donne.

La ricerca evidenzia che i riti del passaggio all’età adulta si sono oggi del tutto azzerati: crescere è diventato un lungo processo senza tappe rigidamente predeterminate, come poteva accadere in passato. Non si diventa adulti andando a vivere da soli, contraendo legami di coppia stabili o un impegno sociale forte, ma riconoscendo che si sta percorrendo la strada di ingresso nella maturità e assumendosi, di conseguenza, le responsabilità che di volta in volta occorre sostenere.

Un dato significativo è che, fra i giovani di oggi, molti sono pronti ad entrare in questo complesso percorso di crescita: quasi la metà di essi sa che il proprio futuro dipenderà dalle proprie capacità e dalla propria voglia di realizzarsi (44,2%), e che questo modo di concepire la vita fa sì che ognuno di loro sia diverso dai suoi pari. L’altro elemento che scopre la ricchezza di energie presenti fra i giovani è il loro rapporto con il lavoro. Quest’ultimo non è considerato una dimensione su cui investire tutto il tempo –tratto fortissimo anche nelle fasce anagrafiche più mature– ma deve corrispondere ai requisiti dell’autonomia e della crescita professionale. I giovani hanno le idee molto chiare: dicono sì alla prospettiva di spostarsi e di viaggiare per lavoro, apprezzano molto meno l’idea di cambiare del tutto città. Chiedono inoltre una società a qualità della vita crescente e sempre più orientata verso un assetto migliore delle relazioni sociali.

 

ipotesi di intervento e di supporto per la transizione dei giovani all’interno del loro processo di crescita: tre soggetti dovrebbero sviluppare qualche responsabilità in più nei confronti dei giovani: le famiglie, gli attori delle politiche sociali sul piano locale, i media.

Il primo luogo in cui la giovinezza non è riconosciuta a sufficienza è proprio la famiglia, dove viene coltivata spesso la nostalgia dell’infanzia dei figli o ci si lamenta dell’impegno che l’accompagnamento alla loro maturazione impone. Il fatto che il 24,1% di giovani dichiari di non amare di sé neanche l’aspetto fisico, vuol dire che in casa non riescono a ridurre la fatica del percorso che li attende. Riconoscere i figli come persone che esprimono in sé tutta la drammaticità e la forza di un corpo e di una identità psichica che cambiano, ma anche le energie che costruiranno il futuro di tutti, è operazione difficile, ma necessaria che giustifica la legittimazione che i giovani riservano all’istituzione familiare.

 

Il territorio, per parte sua, è una risorsa importante per i giovani, ma può costituire anche un elemento disfunzionale al processo di crescita. I responsabili delle politiche sociali comunali e provinciali sono chiamati a sviluppare una maggiore apertura nei confronti delle esigenze giovanili tenendo conto del fatto che esse non sono, come la ricerca dimostra, del tutto indifferenziate e uniformi.

Il rifiuto che generalmente i giovani oppongono alla serialità nei comportamenti e nell’uso del tempo libero, comporta di personalizzare sempre più l’offerta di servizi pubblici a loro favore. In particolar modo, chiede di sviluppare interventi per la crescita della collettività, orientati ai principi di “società aperta” presenti nella cultura giovanile. Trasformando così il territorio in un serbatoio di identità e non in un luogo di rinserramento e di protezione.

 

Infine, i media. L’influenza che televisione, giornali e in misura minore la radio, hanno sulla formazione dell’identità giovanile appare, dalla ricerca, sempre più marcata. L’indicazione che emerge riguarda l’opportunità di investire sui giovani, proponendo meno modelli totalizzanti –e spesso depersonalizzanti– ma una pluralità di scelte. Se i media alimentassero le capacità di scelta dei giovani fra diverse alternative, lungo una scala di valori funzionali ai loro codici di riconoscimento e di progettazione, si otterrebbe l’obiettivo di aiutare il loro processo di maturazione riducendo la fragilità che i giovani sviluppano nei confronti dei modelli unici che gli vengono proposti.

 

 

 

Quello che “Giovani lasciati al presente”

dimostra è che i giovani sono e vogliono

essere i protagonisti del loro processo

di crescita, ma chiedono pi√π sponde

che delimitino questo percorso.

La sfida per gli adulti è proprio quella di

ri-trovare la fantasia e la disponibilità

per offrirgliele.

 

Elisabetta Prete

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