I fidanzati chiedono il matrimonio cristiano, si presentano con un vuoto enorme di formazione cristiana, ma anche con gravi immaturità dal punto di vista affettivo; è mancato un cammino nell'adolescenza che li abbia aiutati a crescere nella vita affettiva e nella maturità all'amore... Ad Abano Terme (PD) dal 25 al 29 giugno 2005 la settimana estiva di formazione di Pastorale Familiare.
del 11 luglio 2005
 Alla Chiesa sta a cuore la coppia: l’amore tra un uomo e una donna racchiude il mistero della vita e l’incontro con il nostro Creatore, anzi può diventare immagine di tutta la grandezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Dio per le sue creature.
 
L’Ufficio nazionale Cei per la pastorale della famiglia ha dedicato, in questi ultimi anni, tutta l’attenzione alle dinamiche dell’amore di coppia scegliendolo come tema per le settimane di formazione estiva per operatori di pastorale familiare.
 
Ci si è resi conto che quando i fidanzati chiedono il matrimonio cristiano, si presentano con un vuoto enorme di formazione cristiana, ma anche con gravi immaturità dal punto di vista affettivo; è mancato un cammino nell’adolescenza che li abbia aiutati a crescere nella vita affettiva e nella maturità all’amore, come pure è mancata la continuità di formazione nella fede e nella capacità di collocare la dimensione sessuale/affettiva in un progetto globale della persona.
 
La settimana di formazione estiva dello scorso anno aveva affrontato questo tema coinvolgendo non solo le famiglie, ma tutta la comunità cristiana e in particolare la pastorale giovanile. Si è affrontato ampiamente il tempo del fidanzamento come tempo di grazia, di scoperta dell’incanto e dello stupore, ma anche di progettazione e di accompagnamento.
 
           
 
I primi anni di matrimonio
 
Quest’anno si è voluto riflettere sul tempo dei primi anni di matrimonio; il tempo dell’inizio del cammino, dell’arrivo dei figli, del passaggio dall’amore sognato all’amore reale fatto di gioie, ma anche di difficoltà. Si tratta di un tempo di frequenti fragilità, di fallimenti anche precoci, che non sempre risparmiano coppie anche ben preparate e che si sono sposate con convinzione ed entusiasmo. È un tempo di forte rischio, ma anche di opportunità straordinarie che non torneranno più; nei primi anni si pongono le fondamenta della crescita di amore che resterà nella storia futura, anni in cui si fondano le motivazioni dello stare insieme, anni di ricerca di una casa propria, anni di debiti, di rischi, di affanni, anni di distacco dalla famiglia di origine in cui si matura un rapporto nuovo con i propri genitori. Sono però anche gli anni in cui è possibile una riscoperta della fede, tempo di ricchezza e di risorsa per gli sposi stessi e per la chiesa.
 
L’amore giovane va riscoperto, apprezzato e coltivato affinché tutti possiamo farne tesoro. Gli sposi però hanno bisogno della vicinanza della comunità cristiana: dove sono finiti i rapporti di amicizia e di conoscenza con le persone adulte significative? Dalla grande preparazione al matrimonio alla solitudine del dopo…
 
“Ti accolgo e prometto di esserti fedele sempre” - Giovani sposi in cammino… non da soli è stato il tema prescelto per la recente settimana di formazione di pastorale familiare promossa dalla Cei, che si è tenuta ad Abano Terme (PD) dal 25 al 29 giugno 2005.
 
Il convegno è stato organizzato con la collaborazione della Confederazione italiana dei consultori familiari di ispirazione cristiana e dell’UCIPEM (Unione consultori italiani prematrimoniali e matrimoniali): due realtà chiamate a lavorare in comunione a servizio della crescita umana dei giovani sposi e ad accompagnarli nel superamento delle loro fragilità.
 
La prima giornata è stata aperta dal saluto di Giuseppe Anfossi, vescovo di Aosta, nuovo presidente della Commissione episcopale per la famiglia e per la vita, di Ovidio Poletto, vescovo di Concordia-Pordenone e delegato della Conferenza episcopale triveneta per la pastorale familiare e di Antonio Mattiazzo, vescovo di Padova. I lavori sono stati introdotti da don Sergio Nicolli, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia e dai suoi collaboratori Enrica e Michelangelo Tortalla.
 
           
 
Chi sono i giovani sposi?       
 
È seguita un’interessante tavola rotonda con il compito di illustrare l’identità dei giovani sposi oggi. Don Gianluigi Figone ha coordinato questo lavoro al quale hanno partecipato membri delle due confederazioni di consultori di ispirazione cristiana. È emersa la diversità dell’essere giovani sposi: molte giovani coppie provengono da lunghi periodi di fidanzamento, spesso dopo relazioni terminate male e con sofferenza; molti sono coloro che si sposano dopo aver “provato” la relazione in un periodo più o meno lungo di convivenza. Per molti il matrimonio viene rimandato per motivi economici: prima si “mette su” casa, dopo si spende per la festa. L’età media in cui si celebra il matrimonio si è notevolmente innalzata; è frequente la provenienza da coppie genitoriali separate.
 
È presente una difficoltà nell’identità del maschile e del femminile. C’è un coinvolgimento maggiore di entrambi i coniugi nelle attività domestiche e nella cura dei figli, anche se l’educazione viene spesso delegata ad altri (scuola, nonni, badanti). Il padre ha difficoltà ad assumere il proprio ruolo. Si rischia di stare poco con i figli e di “adultizzarli” troppo spesso, non rispettando gli stadi evolutivi. Altri punti fragili della famiglia di oggi: la difficoltà a comunicare e la carenza di progettualità.
 
Dalla consapevolezza della realtà sociale di oggi si è passati a riflettere su Iniziare a vivere in due: dono e progetto. L’approfondimento è stato proposto magistralmente da don Franco Giulio Brambilla che si è ispirato al testo biblico delle nozze di Cana.
 
Nei primi dieci anni del matrimonio la vita della coppia e della famiglia appare la più remota rispetto alla pastorale della chiesa. Coppia e chiesa sembrano camminare su due binari paralleli, anche se questo è un tempo decisivo della vita della famiglia. Due sono i momenti di grazia particolare: l’inizio della vita a due e l’arrivo del primo figlio.
 
L’inizio del ministero di Gesù avviene proprio a Cana, durante una festa di nozze. C’è una reciproca illuminazione e una feconda benedizione tra l’iniziare la vita a due e “l’inizio dei segni” di Gesù. Il primo segno che apre la missione di Cristo è quello delle nozze e dell’abbondanza del vino che minaccia di mancare nel giorno delle nozze. Questo è un segno che parla del vino in abbondanza che lo Sposo è venuto a portare, che preannuncia il dono del sangue del Cristo. Si tratta quindi di qualcosa di speciale, capace di “dare l’inizio”: l’amore tra l’uomo e la donna e la forma con cui essi si consegnano l’uno all’altro per la vita sono una delle esperienze originarie dell’esistenza, con la quale “si dice l’inizio” e si “dà inizio alla vita”. Gesù a Cana rivela la sua presenza gloriosa e la sua vicinanza amorevole per tutti noi nel segno delle nozze!
 
I primi tempi sono tempi di gioia: è facile l’ascolto, i gesti di dono sono naturali e gli sposi possono ascoltare il sogno e il progetto contenuto nella promessa del loro incontro: tutto questo rende più facile la partenza. Oggi spesso si arriva al matrimonio dopo un periodo di convivenza e capita che questo primo tempo di vita insieme sia già logorato. Per quanto si possa sperimentare prima, non si può dire che cosa succederà poi. La convivenza è una rappresentazione idealizzata: si tratta di un esperimento, non di un’esperienza. Solo da sposati si inizia veramente a pensare, a progettare in due e a compiere pian piano un sogno comune.
 
Colpisce la centralità di Maria e richiama lo “stare presso la croce” della madre. Essa allude alla presenza silenziosa del padre e della madre degli sposi. È il momento in cui la maternità genera sempre di nuovo. Dopo la generazione fisica della nascita e quella psichica nell’adolescenza, le nozze diventano la generazione alla partenza per la vita.
 
«Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli». Negli sposi che l’invitano, Gesù prende dimora presso la loro casa come l’ospite di riguardo e porta con sé i suoi discepoli. È il tempo di aprire la casa a nuove forme di incontro, a stringere nuove amicizie e ad iniziare una frequenza nella comunità che si riunisce attorno a Gesù. Maria interviene con la freschezza di chi sa che «nulla è impossibile a Dio»; ella sembra voler “generare” il Figlio anche al ministero, si dà da fare con fiducia perché Gesù intervenga subito; egli si sottrae a questa pretesa perché «non è ancora giunta la sua ora». Prima di compiere questo segno, Gesù deve chiarire che il futuro del Figlio non dipende dall’invocazione della madre, ma dalla sovranità del Padre.
 
Tutto ciò ci fa accostare alla seconda grande esperienza dei primi anni del matrimonio: la generazione del figlio. Occorre sostare sull’evento sorprendente della nascita del bimbo, un’esperienza che tocca nel profondo la vita della coppia e che può correre il rischio perfino di oscurare l’altra nascita, quella della vita in comune.
 
           
 
Un amore sponsale che cresce
 
I coniugi Maria Teresa Zattoni e Gilberto Gillini hanno portato un interessante contributo nella relazione che aveva per tema Un amore che cresce: i giovani sposi tra libertà e condizionamenti. La vita di coppia va coltivata, altrimenti si deteriora: essa è sottoposta alla prova del tempo, dei venti e delle piogge che mettono a dura prova la stabilità del rapporto. È un processo naturale il passaggio dall’innamoramento (processo di presunzione di somiglianza) all’amore sponsale che è il decidersi per il bene dell’altro. In questo passaggio è inevitabile il disagio: esso diventa un momento importante di verifica e può portare alla crescita della coppia. Dio è presente nel vissuto di ogni coppia, “fa il tifo” per l’amore della coppia, ma lasciando libero il rapporto. Egli non toglie le difficoltà, come del resto resta accanto nella delusione e nella crisi, ma non toglie l’esodo verso la terra promessa. I limiti dell’altro sono parte della vocazione al matrimonio e sono il luogo nel quale Dio chiama nell’amore.
 
L’immaginario tipico del mondo in cui viviamo ci dice: “Mettiamoci insieme quando ci pare e lasciamoci quando vogliamo”. La delusione dell’altro apre la strada alla rottura. Quando la coppia s’innamora dice: “Siamo fatti l’uno per l’altro”, che è come dire: “Tu sei come io ho bisogno che tu sia”. Ma l’altro, finito l’incanto, non sarà mai adattabile a me… Ci sono delle situazioni molto pericolose di dipendenza nelle quali il rapporto diventa ossessivo. La persona si espone alla relazione, ma non si perde in essa; il rapporto non elimina l’identità delle due persone. Nel sogno originario di Dio sulla coppia, Adamo scopre che Eva viene a lui dalle mani di Dio.
 
Una proposta pastorale per esprimere la gratitudine alle giovani coppie potrebbe essere, per esempio, rendersi disponibili una sera al mese per tenere i bimbi di una coppia giovane perché i due possano uscire soli e rinvigorire il loro rapporto.
 
 
 
Da sposi a sposi genitori
 
La pedagogista Chiara Palazzini ha parlato del Passaggio da sposi a sposi genitori. L’essere coppia non si scioglie quando si diventa genitori, ma si ridefinisce. Il diventare madri e padri comporta delle sfide: si chiude un tempo di sogni adolescenziali per aprire un tempo di impegno e responsabilità: genitori si diventa per sempre e questo può portare ad un senso di paura. Oggi c’è un rinvio all’inizio della genitorialità perché ciò viene percepito come un passo definitivo verso l’adultità, rispetto alla quale la società è latitante o povera di sostegno.
 
La scelta di diventare genitori può essere tormentata da ansia, da insicurezza e da paure. Oggi le mamme soffrono di una grande solitudine; i padri, a loro volta, non hanno visto nei propri padri il ruolo di vicinanza e di collaborazione che essi avrebbero richiesto. È necessario sostenere le giovani coppie in questo tempo, anche per riconoscere tempestivamente le situazioni a rischio. Educare è un’arte e una trasmissione di competenze e di intuizioni; è guidare a vivere nella verità e nell’amore. Educare alla fede i propri figli è insegnare loro a muoversi dentro il disegno di amore di Dio. Bisogna saper accettare i propri limiti senza scoraggiarsi. Il dubbio fa parte dell’educazione e il confronto è utile perché si può reimpostare il percorso.
 
 
 
Il tema della fedeltà
 
La relazione del biblista Gregorio Vivaldelli, sposato e padre di quattro figli, ha “incantato” i partecipanti al convegno: egli ha parlato della fedeltà. Per dire la fedeltà di Dio la Bibbia narra l’infedeltà dell’uomo e di Israele. Il discorso, nel nostro contesto, va rivolto alle giovani coppie sposate nel Signore: secondo la religione cristiana essi sono dei “chiamati”, cioè sono coloro che si fidano di Dio e della chiesa. Ogni dimensione della propria vita coniugale è una chiamata di Dio. Che cosa ci si attende dal chiamato oggi? Lo stare insieme, le gioie e le difficoltà, l’avere figli, il mettersi in un cammino è una parola di speranza ed è una chiamata a parlare di Dio.
 
Chi si affida e crede nella fedeltà di Dio sa che lui è presente sempre nella nostra storia. Si tratta di scoprire dove lui si rende visibile. Il credente scopre che la sua storia non è programmabile, c’è sempre qualche cosa che ci sfugge. Credere nella fedeltà è la “boccata di ossigeno” che ci fa andare avanti soprattutto nei momenti di “deserto”.
 
La fedeltà di Dio si manifesta soprattutto nelle cadute di Israele: per esempio, durante l’esilio in Babilonia, frutto della grande infedeltà di Israele. Durante l’esilio il popolo vive un momento drammatico: esso perde la terra e la casa, sperimenta l’abbandono, la decadenza e la sofferenza; ma è proprio in questa situazione che, guardando in faccia la sua infedeltà, scopre la vera fedeltà di Dio.
 
Ciò vale anche per noi: ogni esperienza di fragilità, di buio, di incapacità nel non capire che cosa ci sta succedendo, ci invita a ripensare a chi abbiamo affidato la nostra vita. La fede non è una realtà da sapere, ma è una realtà a cui affidarsi. Dio ci accompagna nella nostra storia e l’esperienza della caduta e della crisi diventa l’occasione per crescere nella fiducia in lui e di diventare suoi profeti. Le famiglie di oggi sono chiamate a dire che la fedeltà di Dio è più grande del male.
 
 
 
Sposi, chiamati alla santità
 
Mons. Giuseppe Anfossi ci ha aiutato a riflettere sulla Chiamata alla santità: occasioni, strumenti e iniziative per accompagnare i giovani sposi in un cammino spirituale. La Gaudium et spes dice che «la spiritualità non è al di fuori della vita matrimoniale ma dentro. I coniugi cristiani sono corroborati da uno speciale sacramento, sono penetrati dello Spirito di Cristo, cercando la loro mutua perfezione». La vita è concepita come dono di sé. I cristiani sono coloro che credono che è più bello donare che ricevere; ciò presuppone una maturità psicologica e affettiva, e di conseguenza il percepire la vita come vocazione. Questo è il tempo per annunciare che la fede è un discorso esistenziale, è un modo di stare nel mondo; il comportamento etico viene dopo.
 
Ai giovani sposi ci si deve avvicinare con rispetto ed empatia, aiutarli a saper cogliere la bellezza del vivere quotidiano, le sfide dell’arrivo dei figli. Tutta la realtà familiare è uno strumento per “custodire, rivelare e comunicare l’amore”. Un’attenzione particolare va rivolta alle coppie più “povere”, quelle che non frequentano tanto la chiesa: esse vanno incoraggiate, sostenute con percorsi semplici, secondo le loro disponibilità di tempo e garantendo l’animazione dei figli. I temi dell’annuncio devono essere semplici e concreti: il perdono, il lavoro e il tempo libero. La parola di Dio va inquadrata in un contesto esperienziale e la preghiera dev’essere bella e significativa per tutti. I sacerdoti possono donare la loro presenza in un atteggiamento di gratitudine per l’amore che gli sposi si donano. La presenza degli sposi aiuta e rasserena la vita dei sacerdoti. Gli sposi sono accompagnati dai sacerdoti a scoprire con gioia che lo Spirito Santo abita il loro cuore. Preti e sposi possono aiutarsi reciprocamente a portarsi al livello più alto e più bello della reciproca vocazione e missione.
 
I partecipanti al convegno si sono impegnati attivamente nei 14 laboratori. In due mezze giornate del convegno si è cercato di riflettere dapprima sulle luci e le ombre delle tematiche, successivamente sulle proposte operative e sulle risorse per attuarle. Ogni gruppo è stato introdotto dalla relazione di un esperto e accompagnato da due tutors.
 
Le tematiche hanno riguardato i diversi aspetti e i tempi di vita della famiglia: lo studio del nuovo Rito del matrimonio, la dimensione sessuale della giovane coppia, la conflittualità come opportunità di crescita, la fecondità della coppia e l’esperienza del primo figlio, la richiesta del battesimo dei figli, l’educazione dei figli da 0 a 7 anni, l’intreccio tra la catechesi della parrocchia e l’azione educativa dei genitori in ordine alla fede, la preghiera familiare, il rapporto con il lavoro professionale, la relazione con le famiglie d’origine, l’esperienza della sofferenza e della morte in famiglia, lo stile di vita della famiglia cristiana, la presenza della famiglia nella chiesa e nella società.
 
Lo sfondo dei laboratori è stata una riflessione del Direttorio di pastorale familiare n. 92: «Con la celebrazione del matrimonio, la coppia e la famiglia iniziano un cammino di progressiva attuazione dei valori e dei compiti del matrimonio stesso: un cammino che si snoda in diverse tappe e che è orientato verso la piena rivelazione e realizzazione del regno di Dio. Questo processo provoca la sollecitudine pastorale dell’intera comunità cristiana, chiamata ad accompagnare con saggezza e con amore paziente gli sposi e le famiglie e a saper diversificare le proposte ad essi rivolte».
 
           
 
Conclusioni del convegno
 
Le conclusioni del convegno sono state offerte da don Sergio Nicolli e da Enrica e Michelangelo Tortalla. Queste giornate sono state molto importanti perché hanno aiutato a guardare meglio dentro questa complessa realtà che sono i giovani sposi, a capire meglio le dinamiche che incidono fortemente sul divenire della relazione di coppia e sui rapporti familiari. I laboratori hanno indicato alcune tracce nelle quali indirizzare l’attenzione pastorale. Si sono evidenziate alcune fragilità che mettono a rischio la giovane famiglia, ma anche l’enorme potenzialità che racchiude la prima fase della vita coniugale.
 
Una chiesa per essere giovane e vitale ha bisogno di sposi giovani e di famiglie giovani. Una chiesa viva d’altra parte genera famiglie giovani, delle quali la comunità, ecclesiale e civile, non può fare a meno, pena il restare impoverita nella sua vitalità e nella sua capacità di servire al bene delle persone.
 
Dobbiamo riconoscere il tesoro che Dio continuamente elargisce alle comunità e ringraziare il Padre dei cieli che non fa mancare nei giovani il miracolo dell’amore e il coraggio di tradurre l’amore in un progetto coraggioso per la vita. Ma dobbiamo accogliere questo dono sapendo che esso è custodito in vasi di creta ed è affidato alla nostra cura per crescere e diventare tesoro prezioso per tutti. L’accompagnamento dei giovani sposi è un ministero non facoltativo per le nostre chiese.
 
Come diventare compagni di viaggio? Come entrare in una relazione accogliente? Essi vanno amati senza fare troppe distinzioni e accompagnati da operatori pastorali capaci di incontrare fratelli e sorelle adulti, che sappiano accogliere con passione e con profondo rispetto del mistero che c’è in ogni persona umana e in ogni storia d’amore.
 
L’accompagnamento dei giovani sposi con il loro mondo complesso di problemi non può essere opera di qualche navigatore solitario: può essere soltanto il frutto di una sinfonia di comunione che riconosce ogni persona come una ricchezza unica e irripetibile da non dimenticare e da non lasciar perdere.
Antonio e Donatella Martini
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