Lugi Calabresi era un cattolico osservante, un uomo che provava ad impastare la sua vita quotidiana con il Vangelo. Su di lui è aperta anche una causa di beatificazione...
Nelle serate del 7/8 gennaio 2014 va in onda una fiction Rai sulla figura del Commissario Calabresi che, per chi lo avesse dimenticato o non lo sapesse, è stato un “servitore dello Stato” assassinato il 17 maggio 1972 da Ovidio Bompressi, con la complicità di Leonardo Marino, su mandato di Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani. Tutti membri di Lotta Continua, gruppo comunista-rivoluzionario che ha contribuito molto a scrivere la storia dei nostri “anni di piombo”.
Il giorno dopo l’assassinio del Commissario, proprio sull’organo di stampa di “Lotta Continua”, c’è tutto l’assurdo che caratterizzò quegli anni: “L’uccisione di Calabresi è un atto in cui gli sfruttati riconoscono la propria volontà di giustizia”. Questi personaggi, fin troppo esaltati anche ai giorni nostri, si ritenevano consacrati ad una vera e propria missione di carattere pseudo-religioso e per questo disposti a tutto. Ennesima testimonianza di come l’ideologia, di qualsiasi stampo, travolge ogni cosa: la realtà se non è come si vuole, si deve trasformare con qualsiasi mezzo. In quel caso fu l’uccisione di un Commissario di P.S.
La vicenda Calabresi, così come è conosciuta dal grande pubblico, origina dalla tragica strage di Piazza Fontana – 12 dicembre 1969 – dove morirono 17 persone e altre 90 rimasero ferite. Nato a Roma nel 1937, Calabresi giunse a Milano dopo la laurea conseguita nel 1965 e dopo aver vinto il concorso in polizia. Ben presto fu trasferito all’ufficio politico e qui si trovò a confrontarsi con i terribili fatti che stavano infiammando le piazze.
Dopo la strage a Piazza Fontana la questura di Milano, già da tempo impegnata contro l’eversione di sinistra e di destra, controllò l’alibi di circa 140 persone sospette, tra cui l’anarchico Pino Pinelli. La notte del 15 dicembre 1969 si consumò la tragedia: durante l’interrogatorio condotto nell’ufficio di Calabresi Pinelli precipitò dalla finestra e morì. “Pinelli si è suicidato”, disse Calabresi alla moglie appena gli fu possibile rincasare, ma tutta la stampa e l’intellighenzia in voga la pensava (o voleva pensare) molto diversamente. “Comunque sia morto, Pinelli è stato ucciso” sentenziarono da subito gli anarchici milanesi, ma ben presto si arrivò ad accusare Calabresi di omicidio. Cominciò il quotidiano “l’Avanti”, poi “l’Unità”, e Lotta Continua in fondo non fece che riprendere e “gonfiare” le tesi fornite dalla stessa stampa “ufficiale”. “Questo marine dalla finestra facile – scrivevano quelli di Lotta Continua – dovrò rispondere di tutto. Gli siamo alle costole ormai…”
Quando il 4 luglio 1970 Calabresi venne prosciolto dalle accuse di omicidio si scatenò il finimondo. Circa 800 intellettuali (c’erano davvero tutti i bei nomi di allora e anche di oggi) pubblicarono sull’Espresso un messaggio di protesta in cui si ribadiva che “Calabresi porta la responsabilità della fine di Pinelli”. Poi, dopo un linciaggio mediatico durato quasi due anni, si arrivò all’assassinio in quella mattina del maggio del 1972.
Ma chi era Luigi Calabresi? Con le parole scritte nel 1992 da Leonardo Marino, autista del commando che lo freddò, “Calabresi era solo un poliziotto che faceva il suo mestiere. Ma allora, per noi, il poliziotto “buono” non esisteva”. Certamente Calabresi era un uomo capace di “elette virtù civiche ed alto senso del dovere”, come recita la motivazione del conferimento di medaglia d’oro assegnata nel 2004, ma per comprenderlo fino in fondo bisogna andare oltre. Nella foto ricordo dell’ultimo anno di liceo, era il 1957/58, Calabresi scrisse questo verso di Trilussa: “Sarà, ma trovo strano / che me possa guidà chi nun ce vede. / La cieca, allora, me pijò la mano / e sussurrò: “Cammina!”. Era la Fede.”
Lugi Calabresi era un cattolico osservante, un uomo che provava ad impastare la sua vita quotidiana con il Vangelo. Su di lui è aperta anche una causa di beatificazione. In uno scritto pubblicato dal settimanale “Epoca” che risale al periodo precedente il suo ingresso in polizia egli diceva: “Sono affascinato dall’esperienza che può fare in polizia uno come me, che vuol vivere una vita profondamente, integralmente cristiana. (…) Oggi quello che conta è il successo, questa medaglia di basso conio che su di una faccia porta stampato il denaro e dall’altra il sesso. Se volessi intascare e magari spendere medaglie come questa non andrei in polizia (…) Purtroppo sono fatto in un certo modo, appartengo a un gruppo di giovani che vuole andare controcorrente”.
Calabresi si formò nel movimento Oasi del gesuita romano Virginio Rotondi, il quale all’indomani della morte del Commissario, a chi voleva conoscere chi fosse realmente quest’uomo scriveva: “Cerchino e troveranno come eri consegnato a Cristo: totalmente”.
Per capire meglio queste parole è da leggere il libro che ha fatto da base alla fiction Rai, “Gli anni spezzati. Il Commissario” di Luciano Garibaldi, e anche “Luigi Calabresi. Un profilo per la storia” di Giordano Brunettin. Infatti, nelle pieghe della vita di Luigi Calabresi si trova tutto il senso di questa “consegna a Cristo”. E c’è molto da imparare. Per tutti.
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