Che cosa abbiamo potuto dire a scuola dopo la delusione venuta fuori a causa di un certo tipo di antimafia?
Di cosa abbiamo parlato a scuola nei giorni scorsi ricordando la “Strage di Capaci”? Che cosa abbiamo potuto dire dopo la delusione venuta fuori a causa di un certo tipo di antimafia, per lo più gridata, di facciata e per secondi fini?
La prima questione, dopo tanti anni, si è tentata di cambiarla già nei termini perché la protagonista non fosse più la “strage” che mette in luce l’azione della mafia; in realtà i veri protagonisti sono stati coloro che hanno dato la vita (già prima e non solo in virtù della tragedia) per la giustizia e per la lotta alla criminalità organizzata, dunque dovremmo farne memoria come giorno “Degli eroi di Capaci”. Le parole, però, possono cambiare solamente quando cambia la mentalità, il senso critico è chiamato in causa, l’educazione diventa strumento di libertà, la comunicazione occasione per difendere la verità. È ora che “romanzi criminali”, “piovre”, “gomorre” lascino il posto ad una lettura dei fenomeni mafiosi fatta dal punto di vista di chi la combatte nel silenzio e con coraggio, con abnegazione e lontano dai riflettori.
Ciò non vuol dire negare il male, i cattivi, la mafia, mettendo la testa sotto la sabbia, bensì affermare che – proprio perché questi esistono e sono pericolosi – ci sono pure tanti uomini e donne di grande valore che li affrontano e li vincono quotidianamente. Per farlo soffrono, vengono isolati, rischiano, muoiono, ma proprio per questo fanno paura! Fanno paura ai benpensanti e ai “professionisti dell’antimafia” perché mostrano con la vita e con la morte le loro ipocrisie; intimoriscono la mafia poiché essa sa bene di non essere invincibile, diversamente non avrebbe motivo di uccidere. Uccide perché ha paura, come nel caso dell’assassinio di Padre Pino Puglisi: la mafia ha talmente tremato in quegli anni ed in quella zona di Palermo a causa di un povero prete, non solo da prenderlo vigliaccamente alle spalle e sparargli, ma anche tentando di far passare la cosa come una rapina. Questo è stato detto e va raccontato agli studenti di oggi e di domani, perché quegli “eroi” (che eroi non volevano essere) diventino modelli!
E così – grazie a loro – si è potuto rispondere pure alla seconda questione, quella dell’antimafia di convenienza: Falcone, Borsellino, Impastato, Livatino, Puglisi e tanti altri, defunti e vivi, testimoniano in modo chiaro che non c’è alcun motivo di sventolare ai quattro venti la bandiera dell’antimafia, che tutti dovremmo essere contro la mafia e ogni atteggiamento mafioso, facendo il nostro dovere laddove ci troviamo, ciascuno secondo le proprie responsabilità. Naturalmente le responsabilità sono diverse a seconda dell’età, del contesto, del ruolo, del lavoro, e viverle con onestà, passione, spirito di servizio, sacrificio, trasparenza, coerenza, costanza, speranza, competenza è ciò che rende “eroi”.
Sugli striscioni dei cortei, per essere veri e concreti, non basta più scrivere “La mafia è una montagna di merda”, ma – per esempio - “Io da oggi non fumerò più uno spinello perché l’erba è spacciata dalla mafia e la arricchisce” e pure “Qualora mi rubassero l’auto o il motorino, non cercherei l’amico dell’amico per farmelo dare pagando, bensì denunciando il furto, il mio cosiddetto amico e il suo amico”! Così le parole, le marce, le commemorazioni diventano lotta comune, sostegno alle istituzioni sul campo, strumento per educare
Marco Pappalardo
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