“Educare generando futuro. I minori di origine straniera in oratorio: dall'integrazione alla condivisione": la ricerca della Caritas Ambrosiana.
La società va di corsa e gli oratori si adeguano più velocemente di quanto possa fare qualsiasi dispositivo di legge: i processi di integrazione, infatti, dei quali si discute ogni due per tre nei salotti televisivi e nelle stanze della politica, sono ormai radicati nella società e la Caritas Ambrosiana, con la ricerca "Educare generando futuro", ha aggiunto una fotografia, forse inattesa nelle proporzioni, del fenomeno. Partiamo da questo dato: quasi un terzo dei bambini che frequentano le attività dell'oratorio nella Diocesi di Milano è di origine straniera, il 60% è di fede cattolica, il 25% di fede islamica, il 10% di altre fedi cristiane. «La presenza di ragazzi stranieri in oratorio è una ricchezza per la nostra azione educativa - spiega don Samuele Marelli, direttore della Fondazione oratori milanesi. - La stragrande maggioranza dei piccoli stranieri è cattolica: la diversità di fede non ostacola il percorso di annuncio di Gesù che i nostri oratori compiono con l'accoglienza, il gioco, le attività formative e il catechismo».
Si diceva dell'elasticità e della capacità degli oratori di immergersi nel proprio tempo: ecco, quelli della diocesi di Milano risultano un vero e proprio modello, palestre d'integrazione a cielo aperto in cui si allena "quel meticciato di civiltà e culture" richiamato più volte anche dall'arcivescovo Scola. Su questo si fonderanno, secondo il pensiero di papa Francesco, le città del presente e del futuro. E la fede, elemento cardine della vita dell'oratorio, dimostra la sua modernità ponendosi non come ostacolo all'incontro di ragazzi provenienti da ogni angolo del mondo ma, all'opposto, come motore per la condivisione.
Dalla ricerca emerge che sono di origine straniera il 27% dei ragazzi che frequentano l’oratorio estivo, circa il 26% di quelli che seguono le lezioni al doposcuola parrocchiale, il 15% di coloro che partecipano ai gruppi sportivi oratoriani. Addirittura in alcuni oratori della diocesi di Milano la presenza di minori stranieri raggiunge percentuali vicine al 40-50% sul totale dei frequentanti. Percentuali più alte se paragonate al coinvolgimento complessivo degli stranieri, compresi dunque anche gli adulti, nella vita delle parrocchie che si attesta attorno al 10%.
La presenza dei ragazzi di origine straniera in oratorio è dunque più significativa di quella dei loro genitori negli altri ambiti della vita parrocchiale e non trova ostacolo nella religione professata. Benché, infatti, l’educazione alla fede sia «la base e il cardine di tutte le attività che l’oratorio propone, dall’altra parte essa non sempre rappresenta un elemento discriminante per chi non professa la religione cristiano-cattolica».
Le relazioni di amicizia con i propri coetanei sembrano più determinanti dell’appartenenza al gruppo nazionale nella scelta dei giovani di origine straniera di frequentare l’oratorio. Il 33,3% dichiara di avere iniziato a partecipare alle attività perché già lo facevano amici e compagni di scuola, solo il 20,3% perché erano presenti in parrocchia propri connazionali.
In generale “i fattori di incentivo o ostacolo alla partecipazione dei minori stranieri alla vita dell’oratorio dipendono dalla capacità di creare relazioni espressa da chi anima quotidianamente queste realtà: i catechisti, gli animatori e gli educatori”. A costoro i giovani di origine straniera riconoscono un atteggiamento di apertura, tanto che in una scala di valutazione da 1 a 10 attribuiscono un sette. A tale riconoscimento, tuttavia, la ricerca sottolinea che non corrisponde ancora un capacità di adattare le attività proposte, perché siano maggiormente rispondenti ai bisogni legati alla presenza crescente di diverse culture.
Va riconosciuto che l’oratorio è il luogo della parrocchia dove più di altri i cittadini nati in un altro Paese si sentono a casa propria. Oltre la metà, il 52%, delle parrocchie ha almeno un animatore straniero, mentre le comunità ecclesiali dove è presente almeno un cittadino straniero nel consiglio parrocchiale sono circa il 24%, quelle che hanno almeno un catechista immigrato sono il 19%: «di fronte alla sfida dell’interculturalità nel nostro paese, gli oratori sono ancora oggi uno dei luoghi più avanzati e maggiormente coinvolti nei processi di accoglienza e di integrazione dei minori stranieri: le parrocchie mantengono la propria dimensione solidale, sono capaci di accogliere tutti indistintamente, anche coloro che provengono da altri paesi e che professano una fede diversa».
Per don Samuele Marelli «la presenza dei minori di origine straniera evidenzia la necessità di mirare ad un’integrazione attraverso la cifra della relazione: una relazione che sappia gettare le proprie basi anche dentro le fatiche e i limiti posti dalla diversità della lingua, della cultura di provenienza e degli atteggiamenti, delle presenza più o meno discontinua, delle diffidenza nell’accogliere le iniziative». La sfida è duplice. «Aiutare i giovani a cresce e, facendolo, far crescere anche l’oratorio».
«Possiamo dire chiaramente di avere iniziato un secondo momento nelle vicenda migratoria del nostro paese. Un secondo momento che esige risposte diverse da quelle date finora, anche dalla Chiesa», osserva don Giancarlo Quadri, responsabile della Pastorale per i Migranti della Diocesi ambrosiana.
«Ai ragazzi figli di immigrati che già frequentano i nostri ambienti dobbiamo trovare il modo di dire che essi non sono accolti in quanto bisognosi di qualche attenzione, ma perché li vogliamo considerare dei nostri, portatori del nostro stesso futuro, e perché di loro abbiamo bisogno: del coraggio dei loro genitori che hanno lasciato la propria terra, del loro spirito di sacrificio e di adattamento», sottolinea don Roberto Davanzo, direttore di Caritas Ambrosiana.
Alberto Paci
Versione app: 3.25.0 (f932362)