Intervista a mons. Ersilio Tonini.Un Dio castigatore che si serve delle sciagure per punire gli uomini? Oppure un Dio indifferente...? Niente di tutto questo. Nelle gigantesche onde dello tsunami possiamo vedere, con gli occhi della fede, il misterioso segno del Dio della misericordia. Un Padre che guida la storia con mano provvidente e sa trarre il bene anche dai mali peggiori. Ne è convinto il cardinale Ersilio Tonini, osservatore attento e appassionato che, alla luce della fede e della ragione, legge la realtà quotidiana nella prospettiva dell'infinito.
del 01 gennaio 2005
Un Dio castigatore che si serve delle sciagure per punire gli uomini? Oppure un Dio indifferente, che si mantiene a distanza, che lascia scatenare le forze cieche delle natura senza preoccuparsi di intervenire? Niente di tutto questo. Nelle gigantesche onde dello tsunami che hanno travolto il Sud-Est asiatico possiamo vedere, con gli occhi della fede, il misterioso segno del Dio della misericordia. Un Padre che guida la storia con mano provvidente e sa trarre il bene anche dai mali peggiori. Ne è convinto il cardinale Ersilio Tonini, osservatore attento e appassionato che, alla luce della fede e della ragione, legge la realtà quotidiana nella prospettiva dell'infinito.
Eminenza, entriamo nel 2005 con gli occhi colmi di orrore per questa devastante tragedia e sembra che non ci sia pi√π spazio per la speranza. Quale indicazione trarre per il domani che ci attende?
Questa sciagura immensa, smisurata, accecante, è una vampata provvidenziale, uno sfolgorio di luce, perché ci aiuta a capire la verità del momento storico.
Non le sembra difficile cogliere raggi di luce in questo scenario di morte?
Certo, eppure possiamo farlo. Dobbiamo guardare lontano. Proviamo a pensare alla storia di questi ultimi secoli. Noi occidentali veniamo da epoche in cui abbiamo occupato il globo, magari rubandoci poi a vicenda la terra. Così abbiamo finito col perderci nei particolarismi. Abbiamo giocato con le contrapposizioni, con la meschinità degli interessi di bottega: uno Stato contro l'altro, un blocco contro l'altro. Questa sciagura immensa ci fa capire che l'uomo è chiamato a un destino universale, che ogni situazione di ingiustizia, in qualsiasi parte del mondo, ci riguarda da vicino, ci appartiene.
Era necessario contare le vittime a migliaia per ricordarci di questa responsabilità?
Da sempre, in ogni epoca, l'uomo ha avuto bisogno di richiami forti. Lo stesso succede in questo momento storico. Nel 1989, dopo la caduta delle dittature dell'Est, abbiamo immaginato un mondo tranquillo, normalizzato, governato dalle multinazionali e dalla tecnologia. Si pensava che sarebbe stato sufficiente ricorrere alle conoscenze scientifiche per volgere a nostro vantaggio tutte le forze dell'universo.
Idea che poi si è mostrata per quello che era: delirio di onnipotenza.
Certo, eravamo vittime di una visione poco lungimirante, incapace di scorgere qualcosa al di là degli interessi di parte. In questo modo eravamo in grandissimo ritardo sulla realtà. Adesso abbiamo aperto gli occhi.
Adesso? Intende dopo la tragedia del Sud-Est asiatico?
Sì, soltanto adesso sentiamo il bisogno di correre, intervenire, verificare. Chi si è mai preoccupato dello sviluppo economico della Thailandia? Oppure dell'esistenza di un apparato di protezione civile in Indonesia? Ebbene, adesso abbiamo capito che anche questi aspetti, apparentemente lontanissimi dalla nostra vita, dai nostri interessi, dai nostri orizzonti, ci riguardano direttamente.
È esagerato parlare di un segno provvidenziale che, in modo imperscrutabile e misterioso, si rende evidente nella sciagura?
No, è proprio così. Questa ecatombe ci aiuta ad aprire gli occhi. Adesso ci rendiamo conto che non ce la faremo a vivere tranquillamente, da soli, isolati nelle nostre illusorie sicurezze, in un singolo Paese o anche in un singolo continente. La prossimità si fa più larga, il lontano diventa vicino.
Era già successo dopo l'11 settembre.
Sì, il crollo delle Torri Gemelle ci aveva indotto a sentirci tutti americani. Poi c'è stata la sciagura del terrorismo mondiale, la guerra in Iraq, il nostro trepidare per gli ostaggi catturati, talvolta uccisi, talvolta rilasciati.
Tutti eventi che hanno provocato sofferenze. Eppure in questa tragedia del Sud-Est asiatico il nostro coinvolgimento emotivo sembra superiore.
Questo è il dato più significativo che sembra emergere in questi giorni e che mi sento di salutare com e una conquista eccezionale. Sta nascendo un senso di appartenenza universale che ci fa trepidare non soltanto per le vittime italiane, ma per tutti i centomila e più scomparsi sotto le ondate del maremoto. Qui sta la novità positiva e anche il dato di speranza. La storia che fino adesso ci aveva diviso, sta mostrando tutta la sua miseria e ci obbliga a cogliere prospettive diverse. Prendiamo la guerra tra palestinesi e israeliani. Ebbene, dopo la tragedia del Sud-Est asiatico, ci appare in tutta la sua assurdità.
In questa prospettiva di teologia della storia, sembrerebbe quasi che questa sciagura fosse necessaria.
In maniera solo apparentemente paradossale, possiamo dire di sì. Ma d'altra parte non è una novità. Nell'antica storia biblica le deportazioni sono state necessarie al popolo ebraico per capire il messaggio di salvezza di cui era depositario. Hitler, la tragedia del nazismo e il processo di Norimberga sono serviti per schiudere le porte a un'Europa diversa, fondata su un nuovo umanesimo. Certo, sono momenti che lasciano umanamente attoniti, ma che hanno cambiato la storia.
È Dio quindi che, attraverso le vie misteriose del dolore, suggerisce all'uomo di riorientare la storia, di modificare le sue scelte e i suoi interventi?
Certo, è Dio che governa la storia e, sotto la sua guida, sotto le sue sollecitazioni, siamo tutti chiamati a farci delle domande. Cosa dice lo Spirito Santo all'umanità di oggi? Dice che questa generazione ha un compito incredibile ma affascinante: liberarsi per sempre dai vecchi schemi, dalla logica suicida delle appartenenze e dei separatismi, degli interessi di bottega.
Quindi la tragedia dello tsunami diventa occasione per riflettere e per agire.
Sì, è davvero il caso di avviare una grande riflessione per capire che noi occidentali dobbiamo assumerci nuove responsabilità e aprire gli occhi sul mondo. Anche la politica gioca un ruolo fondamentale. Possibile che non ci si rendesse conto che quelle zone non erano protette, che l'ecosistema andava difeso da certi attacchi? Abbiamo dimenticato il destino di milioni di uomini e adesso ce ne accorgiamo a carissimo prezzo.
È questo il male necessario attraverso il quale Dio ci richiama alla nostra responsabilità?
Dio ci ha affidato la storia e la custodia del mondo ma, in questa occasione come in tante altre pagine buie dei secoli passati, abbiamo esercitato male la nostra responsabilità. Questa è una svolta decisiva per capire che la nostra posizione è inadeguata, che occorre un movimento universale delle coscienze se vogliamo cambiare le cose.
Lei è fiducioso?
Sì, lo slancio collettivo di solidarietà dopo la tragedia ci dice che la coscienza dell'umanità è ancora sana, intatta. Dobbiamo dire che nella sciagura accadono grandi episodi di bene, si scopre una generosità insospettata.
È sbagliato pensare che i grandi cambiamenti della società cominciano nei cuori di ciascuno di noi?
Tutt'altro. Grazie alle sue radici cristiane, la nostra civiltà ha da sempre intuito che il destino dell'umanità è unico. Come quando in una famiglia muore il padre, i fratelli devono assumere delle responsabilità. Noi, in questa tragedia, dobbiamo fare così e dobbiamo farlo capire ai nostri ragazzi. C'è un futuro che li aspetta.
Da una grande tragedia, dunque, una grande opportunità di rinascita.
Sì, questo è un momento di grande purificazione, come quelle tempeste estive che squarciano il cielo e poi lo lasciano più terso e più azzurro di prima. È Dio che ci offre questa grande opportunità. Aiutiamo con generosità chi ha bisogno del nostro aiuto, ma facciamo in modo che la carità non sia soltanto elemosina, ma sapienza, come ha fatto l'America a favore dell'Europa dopo la seconda guerra mondiale. Questa è l'occasione che Dio ci offre per cambiare mentalità e per colmare un ritardo. Gridiamo a tutti la tragica bellezza di questo momento.
 
Luciano Moia
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